Seconda Guerra Mondiale. La caduta di Pantelleria – Operazione Corkscrew

Seconda Guerra Mondiale. La caduta di Pantelleria – Operazione Corkscrew.
L’11 giugno di 80 anni fa capitolava Pantelleria, definita dalla stampa di regime la “Gibilterra italiana”. Infatti, dopo un’incessante offensiva aerea anglo-americana (18 e 30 maggio 1943), furono decisivi per la resa della guarnigione i cannoneggiamenti navali britannici compiuti dall’1 all’’11 giugno. Tuttavia, già nella notte tra il 10 e l’11 maggio, l’isola, distante circa 150 miglia a nord-ovest da Malta, era stata posta sotto stretta sorveglianza da parte di alcune motosiluranti della Royal Navy, per impedire i rifornimenti provenienti dal territorio metropolitano. Sin dall’ottobre del 1940 gli inglesi avevano dimostrato un certo interesse verso questo primo lembo di terra italiana, situata nel Mediterraneo centro-occidentale.
In realtà, era stata pianificata un’invasione, definita con il nome in codice “Operazione Workshop”. Subito tralasciata per dare spazio a un primo progetto di occupazione della Sicilia, definito piano “Influx”. Anch’esso abbandonato l’anno successivo, su decisione dei Capi dello Stato maggiore unificato, poiché giunse nell’isola un’unità aerea tedesca particolarmente addestrata per la guerra sul mare, il X Fliegerkorps. Un altro decisivo passo dei britannici verso uno sbarco in Sicilia fu il progetto “Whipcord”. Quest’ulteriore tentativo fu interrotto nell’ottobre del 1941 per la grande offensiva della British Army in Africa settentrionale, denominata “Operazione Crusader”, lanciata nel novembre dello stesso anno, per liberare Tobruk dall’assedio delle truppe italo-tedesche.
Il 20 gennaio 1943 a Casablanca, in Marocco, nella conferenza segreta, chiamata “Operazione Symbol”, s’intrapresero importanti colloqui decisionali: tra questi, anche la programmazione dell’invasione della Sicilia al termine della guerra in Africa settentrionale. Difatti, dopo la guerra nel deserto (10 giugno 1940 – 13 maggio 1943), l’attenzione degli alleati si diresse verso la maggiore isola del Mediterraneo, che costituiva la testa di ponte: il primo tassello della vittoria verso il territorio europeo, ma, non prima di aver conquistato Pantelleria e le isole Pelagie, mediante l’Operazione Corkscrew.
Il Presidio di Pantelleria, posto sotto il comando dall’ammiraglio Gino Pavesi, dipendeva da “Supermarina” (tramite il Comando Militare Marittimo Autonomo della Sicilia), e fu sede di un importante e strategico aeroporto militare. Inoltre, la piccola isola, situata nel mezzo del Canale di Sicilia, e geologicamente costituita da irti e scoscese rocce, era munita di hangar in caverna, depositi sotterranei di carburante e munizioni, serbatoi d’acqua potabile, pozzi e viveri di vario genere che rendeva la piazzaforte inespugnabile.
Ciò nonostante […] L’isola era completamente dipendente dai rifornimenti via mare e alla data del 25 maggio 1943 l’autosufficienza viveri per la popolazione e le Forze Armate era calcolata in trenta giorni, mentre al momento della resa (11 giugno) essa era di 14-15 giorni […]. Cfr. Alberto Santoni, “Le operazioni in Sicilia e in Calabria (luglio-settembre 1943)”.
La forza militare era formata di circa 11.000 soldati, distribuiti in: un Comando di Milizia Marittima (MILMART), un reparto del R.E. sotto la dipendenza del Generale di Brigata Achille Maffei, e da un reparto di militari tedeschi. Il comando dell’aeroporto di “Margana” era stato affidato al Tenente Colonnello Giovanni Battista Raverdino. Dopo i bombardamenti avvenuti tra il 6 e il 10 giugno 1943, l’avamposto si arrese allo sbarco della 1^ Divisione britannica, comandata dal Major General Walter Clutterbuck. Un mese più tardi, nella notte tra il 9 e il 10 luglio, con l’Operazione Husky (10 luglio -17 agosto 1943), si concretizzava lo sbarco in Sicilia: la manovra aeronavale, in quel momento, considerata la più imponente e complessa della Seconda Guerra Mondiale.
Prima di passare la parola al Dott. Geol. Donaldo Di Cristofalo (1), circa l’operazione Corkscrew, mi piace riportare uno stralcio del Professor Alberto Santoni, nel suo “Le operazioni in Sicilia e in Calabria, estratto dal Cap. V “La caduta di Pantelleria e di Lampedusa e la fase preparatoria di Husky”.
[…] L’unico esempio nella storia di un’isola fortificata arresasi al solo potere aereo nemico fu quello fornito da Pantelleria che, come abbiamo accennato, dipendeva dallo stato Maggiore della R. Marina, al pari delle più meridionali isole Pelagie di Lampedusa, Linosa e Lampione […].

Note:
(1) Geologo, già funzionario presso il Comune di Termini Imerese (PA), appassionato di storia militare e membro del “Comitato spontaneo per lo studio delle fortificazioni militari”.

«Posizionata quasi al centro del braccio di mare che separa Capo Bon in Tunisia dall’estremità ovest della Sicilia, l’isola di Pantelleria appare come un guardia in grado di controllare perfettamente il traffico navale tra il Mediterraneo occidentale e quello orientale.
Eppure quei 100 chilometri tra Pantelleria e la Sicilia furono sufficienti agli Inglesi, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, per rifornire Malta e con essa dominare di fatto il Mare Nostrum.
Esattamente 80 anni fa, l’11 giugno 1943, Pantelleria si arrendeva agli Alleati, determinando la prima perdita di suolo nazionale di tutte le forze dell’Asse dall’inizio della guerra.
Assieme alla incapacità di impadronirsi di Malta, vera spina nel fianco dell’Italia fascista, specie in relazione alle operazioni in Nord Africa, il non avere fatto di Pantelleria quella portaerei inaffondabile che avrebbe potuto costituire un elemento chiave nel Mediterraneo, costituisce uno di quegli argomenti che ancora oggi animano il dibattito storico-militare.
Se sono ormai condivisi dai più i motivi di carattere economico, industriale e politico che hanno condotto l’Italia alla sconfitta, prima di Germania e Giappone, gli aspetti più propriamente strategico-militare e dottrinario faticano a trovare risposte rispetto a quello che si fece, o meglio, non si fece.
Sia i Giapponesi che gli Americani, nel vasto teatro del Pacifico, dimostrarono come il ruolo di capital ship fosse ormai passato, in maniera drammatica e definitiva, dalle corazzate alle portaerei, e ci si riferisce a tutte le battaglie che si succedettero da Pearl Harbour fino alla baia di Tokyo, laddove o vi furono scontri diretti tra gruppi di portaerei (Mar dei Coralli, Midway, Isole di S.Cruz, Filippine, Golfo di Leyte) o queste, da parte americana, giocarono un ruolo fondamentale per la conquista delle isole del Pacifico che, con le loro guarnigioni nipponiche, costituivano un arco di difesa esterno del Giappone (da Guadalcanal, alle Salomone, alle Marianne).
Pur non dimenticando l’enorme sproporzione nella capacità industriale tra gli Stati Uniti e gli altri contendenti, la dottrina applicata d entrambi i contendenti fu quella dell’utilizzo degli aerei imbarcati contro obiettivi navali e di supporto alle forze di terra (appoggio aereo ravvicinato).
Ma già i Giapponesi, con l’affondamento della corazzata HMS Prince of Wales e dell’incrociatore da battaglia HMS Repulse, avvenuto in data 10 dicembre 1941 nello Stretto di Malacca, ad opera di aerei da bombardamento e siluranti della Marina nipponica, avevano anticipato questo fondamentale cambiamento della guerra per mare.
Sia i vertici politici che quelli militari dell’Italia fascista non colsero tale cambiamento, peraltro già dolorosamente annunciato dalla Notte di Taranto (12.11.1941).
L’aeroporto di Pantelleria rimase sempre sotto utilizzato, quando una dotazione sostanziosa di bombardieri in picchiata Ju 87 e di bombardieri/siluranti S.M. 79, con una adeguata scorta di caccia, e con una accentuata artiglieria antiaerea stratificata, avrebbe fatto di quest’isola una seria minaccia nei confronti di qualunque flotta avversaria che si fosse avventurata in quella strategica porzione del Mediterraneo.
Gli aerei utilizzati dai Giapponesi (G3M Nell, G4M Betty, D3A Val, B5N Kate) e dagli Americani (TBD Devastator, SBN Dauntles, ma anche i successivi TBF Avenger e SB2C Helldiver), non avevano caratteristiche superiori rispetto ai citati aerei tedeschi ed italiani. Operavano invece con tattiche molto avanzate di saturazione, erano disponibili in gran numero (almeno fin quando l’aviazione di marina nipponica non venne sostanzialmente distrutta dall’US Navy) e con equipaggi ben addestrati e motivati.
Nei fatti, quando l’Ammiraglio Pavesi consegnò l’isola agli Inglesi, coi suoi 11.400 uomini ed equipaggiamenti, era ormai troppo tardi. Lo scacchiere del Nord Africa era compromesso, gli Alleati, a gennaio, a Casablanca, avevano tracciato le sorti della guerra nel teatro del Mediterraneo, con l’attacco all’Italia, prima nazione dell’Asse da portare alla resa incondizionata. Il controllo delle acque e del cielo da parte degli Alleati era incontrastato, e quindi una difesa ad oltranza di Pantelleria avrebbe significato solo inutili perdite umane, senza spostare di un solo giorno la caduta di Mussolini».

Bibliografia e sitografia:
Alberto Santoni, Le operazioni in Sicilia e in Calabria (luglio-settembre 1943). USSME, Roma, 1989.
Giuseppe Longo 2017, Seconda Guerra Mondiale: Operazione di Mezzo Giugno – Battaglia di Pantelleria – Cefalunews, 14 giugno.
Francesco Mattesini, L’attività aerea italo – tedesca nel Mediterraneo – Il contributo del X Fliegerkorps, gennaio-maggio 1941, Ufficio Storico Stato Maggiore Aeronautica, 2003.
Alberto Da Zara, Pelle d’Ammiraglio, Ufficio Storico Marina Militare, 2015
Giuseppe Longo Le postazioni militari costiere siciliane nel quadro delle operazioni belliche del secondo conflitto mondiale, in Pagine sul secondo conflitto mondiale in Sicilia e nel distretto di Termini Imerese, Istituto Siciliano Studi Politici ed Economici (I.S.P.E.) 2021, seconda edizione.
Giuseppe Longo 2023, Seconda Guerra Mondiale: la Conferenza di Casablanca (1943-2023), Cefalunews, 12 maggio.
www.marina.difesa.it

Foto a corredo dell’articolo: Isola di Pantelleria, da “Pantelleria Archivio Storico”.

Giuseppe Longo

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