A Cefalù un corto sulla comunità sorda di Butembo

Antonio Spanò è entrato in contatto con la Comunità Sorda di Butembo che porta sulle proprie spalle gli effetti della guerra civile nel Nord Kivu. E’ rimasto così colpito dal loro bisogno di comunicare e di raccontarsi che è nata in lui l’esigenza di far conoscere le loro storie attraverso la loro intima prospettiva, interessandosi in particolare alla vita di quattro donne. Ecco il documentario Inner Me che presenta alla terza edizione del Cefalàù film festival. Lo abbiamo intervistato.

Chi è Antonio Spanò e come nasce la passione per il cinema e per il cortometraggio in particolare?
Sono cresciuto senza televisione in casa per scelta di mia madre (che non smetterò mai di ringraziare) che mi portava al cinema  a vedere le retrospettive dei grandi autori del cinema (Kurosawa, Bergman, Ford etc). Mi sono laureato in giurisprudenza ma nonostante questo la “malattia” per il cinema ha avuto la meglio e ho deciso di dedicarmi ai documentari. Non faccio distinzione tra lungometraggi o cortometraggi perché ogni storia ha la sua durata naturale.

Qual è il lavoro che presenti alla terza edizione del Cefalù film festival?
Durante il lavoro al mio precedente film “The Silent Chaos”, nato in origine come documentario sugli effetti della guerra civile nel Nord Kivu, sono entrato in contatto con la Comunità Sorda di Butembo, che mi ha accolto, accettato e ispirato nel raccontare la guerra civile anche attraverso le loro esperienze. Sono rimasto così colpito dal loro bisogno di comunicare e di raccontarsi che è nata in me l’esigenza di far conoscere le loro storie attraverso la loro intima prospettiva, interessandomi in particolare alla vita di quattro donne. Così è nata l’idea di un nuovo documentario, così è nata l’idea di Inner Me.

Inner Me è la nostra voce interiore. Quella voce che è così chiara dentro di noi ma così difficile da esprimere. Dentro ogni essere umano, indipendentemente dalle sue caratteristiche fisiche e caratteriali, risiede la voce del pensiero, l’Inner Me. Comunicare e creare relazioni sono necessità primarie per ognuno di noi; come regista mi sento spinto a raccontare storie che esprimano le sfide e le difficoltà che si compiono nel tentativo di comunicare agli altri il nostro mondo interiore, quello che pensiamo, quello che sentiamo e che desideriamo. Queste battaglie influenzano la nostra relazione con il mondo esterno.

Hai un particolare progetto al quale sei particolarmente legato?
Dovrei dire “Inner Me” essendo l’ultimo ma in verità sono legato a tutti i miei progetti perché fanno parte di un percorso di crescita come artista e fanno parte di me. In tutti i miei lavori ho messo tanta energia e amore e non posso aver preferenze.

Giri il mondo. C’è un paese al quale sei maggiormente legato e perchè?
Ho girato in molti paesi (Iraq, Haiti, Libia) ma sono particolarmente legato al Congo. Ho girato tre film là e sto girando il mio primo lungometraggio sempre in Congo. E’ un rapporto di amore-odio che va avanti dal 2011. C’è qualcosa di magico che mi attira là per un motivo o l’altro.

Cosa pensi della situazione del cinema indipendente?
Penso che il cinema indipendente in Italia sia un movimento in crescita, spero solo che se ne accorgano prima o poi sanche i produttori e i buyers delle televisioni. La vera domanda da porre sarebbe se ci sia un futuro per il cinema indipendente. Al giorno d’oggi far cinema è più accessibile in termini di budget ma è diventato un mercato motlo più complesso di 20 anni fa.

Quali difficoltà si incontrano per emerge nel mondo della cinematografia?
Credo che le difficoltà siano le stesse che si incontrano in altri settori del lavoro. Purtroppo non basta la competenza e il talento per emergere ma entrano in gioco numerosi fattori. Sicuramente bisogna essere più fortunati che bravi.

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