Avevo letto da poco il necrologio su Cefalunews, e tre minuti dopo avevo già fatto il biglietto dell’aereo Alitalia, da Bologna a Palermo, con scalo a Roma. Sarei arrivato in tempo per il funerale, e non sarei mai mancato, per nessuna ragione al mondo. Lo avevo visto 10 anni prima al funerale di mio padre, Enzo Fava, e lui in prima fila, piangeva come un bambino, perché da giovani, oltre a correre insieme (a piedi!!!) li univa una amicizia storica, la stessa che legava e lega la mia famiglia alla famiglia Spinosa.
Ora, dovete sapere che a volte al Nord Italia, quando il cielo grigio dura più di una settimana di seguito, (e credetemi, capita spesso) per non farmi prendere dalla depressione, uso un mio personale trucco. Chiudo gli occhi, mi isolo dal resto del mondo, e con la mente mi trasferisco virtualmente nei posti a me più cari, ovviamente a Cefalù. E così magari mi trovo con il corpo in un cantiere al centro di l’Aquila o di Bologna o Milano, ma in realtà la mia mente viaggia, ed immagino di essere verso la Kalura, oppure in fondo al Lungomare, o in Piazza Duomo, oppure molto spesso sulla vecchia panchina arrugginita che c’è al Molo, a guardare le case vecchie dei pescatori sovrastati dall’immensa mole della Rocca, e con le due “Torri” della Cattedrale che spuntano in lontananza. Vaglielo a spiegare ad uno di Milano o di Bologna cosa significa tutto questo. Non lo capirebbe mai.
E così, appena sceso dall’aereo, avendo saputo che Lui era ancora alla Camera Mortuaria dell’Ospedale, mi precipitai subito li. Entrato in quella brutta stanza lo vidi disteso, immobile, silenzioso. Francamente tentavo di capire cosa ci facesse messo in quella posizione per lui innaturale, e soprattutto come mai non mi venisse a salutare con quel suo sorriso aperto, ironico ed illuminante, per raccontarmi la sua “polemica quotidiana”, di qualsiasi argomento si trattasse. Nel frattempo dopo di me vidi entrare tanta gente, molti con i capelli bianchi, tanti amici e piloti con i quali si erano condivise mille avventure, sempre a tutto gas, ed erano tutti con gli occhi rossi e pieni di lacrime, ma ancora non capivo o non volevo capire. Ma quando vidi entrare il grande Ninni Runfola, (passavo interi pomeriggi davanti alla sua Lancia Stratos con la scritta Cia posteggiata sul carrello in Via Principe Umberto), il quale aveva uno sguardo commosso ed impenetrabile, solo allora realizzai che qualcosa non andava, che non era una “di quelle cose” organizzate dal Barone per chissà quale evento, ma che stavolta la strada era finita, e che per lui, forse, non era rimasta che la sua “Ultima Curva”. Non mi piaceva per niente tutto quello che vedevo, e così pensai di usare il mio solito trucco, quello di cui vi parlavo poco fa, ossia chiudere gli occhi e traferirmi altrove, magari dentro una specie di storia immaginaria, una di quelle storie mai vissute, ma sempre desiderate.
Mi ritrovai così sotto il grande striscione con la scritta PARTENZA. C’era nell’aria quel meraviglioso odore di olio di ricino, che si respirava in tutte le gare in salita del mondo, ma che per la Cefalù Gibilmanna si trasformava nel profumo più bello che la mia infanzia mi aveva regalato. Le stupende macchine da corsa erano già tutte schierate e pronte per la partenza, e la folla si accalcava trepidante, quando ad un certo punto tutti si spostarono, la folla si aprì, ed apparve Lui. Stava guidando la sua stupenda Alfa Romeo GTV di colore giallino, come sempre, come ogni volta prima che iniziasse la Sua gara. Lui era sempre l’ultimo a passare prima della gara, in una sorta di passerella che con malcelata vanità si regalava. U Baruni ccè…putiemu accuminciari !!!!
Pino Spinosa riconobbe il figlio del suo vecchio amico Enzo sotto lo striscione della Partenza, e mi disse subito di salire con lui sulla Sua Alfa Romeo. Io avevo sempre sognato di fare questo, di salire su quella macchina a farmi la Cefalù Gibilmanna accanto a lui, prima della corsa. Forse era ancora più bello proprio perché rimarrà per sempre un sogno. E così partimmo, lungo i 12 km e mezzo della corsa in salita più bella del mondo. Il Barone guidava e parlava, raccontandomi tutta la sua vita, sportiva e non, e di come la Cefalù Gibilmanna fosse stata la sua creatura più bella, la più amata, forse l’unica donna con la quale avrebbe mai tradito la sua adorata Aurora. La aveva inventata lui nel 1968, con una specie di scommessa vinta con il grande Angelo Giliberti. E poi tante altre storie ancora, di piloti, di cavalli, di motonautica, di gare di Kart, di barche a vela….. praticamente ad ogni curva corrispondeva una sua invenzione, una sua idea, che difendeva con grinta e testardaggine, facendosi amici ed a volte anche qualche nemico, che lo portarono persino una volta a sfiorare l’arresto vero e proprio. Mentre il Barone guidava, in questa sua ultima, bellissima struggente arrampicata verso il Santuario, vedevo scorrere al mio fianco tutti i posti che adoravo, e dove almeno una volta mi ero fermato per vedere passare le macchine da corsa.
Croce Parrino, Cippuni, Allegracuore, Prima Croce….poi sua maestà la Curva dello Spaccio……la Staccata di Villa Oddo, il Belsoggiorno….. Poi accade qualcosa che non avrei mai immaginato. In ognuno di questi posti, ad ogni curva della Cefalù Gibilmanna, comparvero ad uno ad uno tutti i “suoi” piloti, tutti quelli che avevano conquistato la vittoria almeno una volta sulle strade del Santuario. C’erano Pietro Lo Piccolo, Amphicar, Spadafora, Ninni Vaccarella, Enrico Grimaldi, Benny Rosolia, Gianni Cassibba, Gianfranco, Gabriele Ciuti, … e poi Michel Pignard, Jean Luis Bos, i Fratelli Almeras, Antonino Iaria……. Erano tutti sul percorso, ed al passaggio del Barone, si sporgevano a salutarlo con la mano, a rendergli omaggio con l’ultimo grazie……erano li tutti per lui. Lui salutava e sorrideva….era la sua ultima passerella, e lui rallentò persino l’andatura, per farsela durare il più a lungo possibile. Era si felice, ma io non lo vedevo ancora pienamente felice. Sapeva che quella era la sua ultima corsa verso il Santuario, e che tutta quella gente era venuta li per lui, ma era come se gli mancasse ancora qualcosa. O qualcuno.
E così arrivammo all’ultima curva. Quella che c’è prima dell’arrivo, una destra /sinistra che se non la fai bene assaggi il muro di cemento di fronte. Il Barone si fermo prima della curva, si voltò verso di me, mi abbracciò forte, e mi disse di scendere dalla macchina, perché quella curva, l’ultima della sua vita, l’avrebbe fatta da solo. Era triste Pino Spinosa, da Cefalù, detto il Barone. Vi racconto un segreto. Io al Barone Spinosa avevo sempre dato del Lei, non so perché, forse per un segno di rispetto o di riconoscenza. Ma stavolta decisi di non farlo. Scesi dalla macchina, apri il suo sportello e gli dissi:” Barone, non essere triste, credi davvero che non ci sia più nulla o…nessuno ??
Facemmo gli ultimi metri della Sua Corsa a piedi, e dietro l’ultima curva..….illuminata dal sole più bello che Gibilmanna aveva mai visto, e splendente dello stesso colore azzurro del cielo, apparve l’Osella Cebora di Mauro Nesti, posteggiata proprio sotto la scritta ARRIVO. Il grande Mauro scese dalla macchina, si tolse il casco, ed il suo viso si illuminò di un sorriso bellissimo quanto felice, lo stesso sorriso che si stampò sul volto di Pino Spinosa. “Ti stavo aspettando Barone”, esclamò il grande pilota. Si ritrovarono così, nell’azzurro infinito del Cielo di Gibilmanna, il più grande pilota di tutti i tempi nelle corse in salita, ed il più grande organizzatore di eventi sportivi che Cefalù avesse mai avuto. Poi Nesti venne incontro al Barone, e senza dire nulla si abbracciarono, in un lungo, bellissimo infinito abbraccio, il reciproco omaggio tra due uomini, due campioni, che per tutta la loro vita e per tutto quello che avevano fatto, ci avevano regalato una lista infinita di sogni. Ma non era finita li.
Dietro la macchina di Nesti c’erano tutti i piloti cefaludesi, del passato e del presente, tutti quelli che grazie all’invenzione del Barone avevano deciso di indossare tuta, guanti e casco, e di salire, almeno una volta nella vita su una macchina da corsa, e fare di corsa la Cefalù Gibilmanna. Non dissero nulla. Si alzarono in piedi, e tutti insieme, chi ridendo e chi piangendo, iniziarono un lungo bellissimo ed infinito applauso. Si chiama Standing Ovation, l’ultimo commosso omaggio che si tributa quando un grande esce di scena. Hai fatto la tua ultima curva, e questo applauso, questa Standing Ovation è per te, Barone Pino Spinosa da Cefalù. Grazie di tutto.
Cara Signora Aurora, ora che questo racconto è finito, devo chiederti un regalo. Il Barone, in tutte le Edizioni delle Cefalù Gibilmanna, quando saliva sul palco per dare la corona di alloro al vincitore, indossava sempre e soltanto una camicia. Una camicia bianca, con stampate le bandiere di tutti i circuiti del mondo. Mi piacerebbe un giorno, nella remota ipotesi che dimagrissi 20 kg. poterla indossare almeno una volta.
Andrea Fava