L’argomento di questo articolo, che certamente non ha la pretesa di essere esaustivo né completo, riguarda il panico, un sintomo che colpisce molte persone.
A partire dall’esperienza clinica, mi sono resa conto che le descrizioni di tale sintomo, siano esse portate da un giovane di vent’anni o da un uomo di sessanta, contengono elementi comuni quali “improvvisamente ho avuto paura di morire…mi sento mancare il fiato…ho paura di impazzire o di perdere il controllo”, come se ci fosse un modo collettivo e unico di viverlo.
In realtà non è così poiché vi è un modo soggettivo di vivere le difficoltà e ciò avviene in relazione alle storie di vita di ciascuno di noi e alle modalità che abbiamo sperimentato e acquisito dall’esperienza.
Premesso ciò, potremmo definire l’attacco di panico come un episodio di ansia acuta non gestibile dal paziente poiché sente di non avere (nè forse di avere mai avuto) il giusto sostegno per farvi fronte e il tema centrale risulta essere la paura; solitamente la manifestazione, improvvisa e incontrollata, è accompagnata da una varietà di sintomi quali tachicardia, sudorazione, tremori fini, dolore al petto, nausea, instabilità, sensazione di testa leggera e brividi. A questi sintomi, prettamente fisiologici e che hanno a che fare anche con l’ansia, si accompagnano sintomi psicologici che hanno a che fare con la paura di perdere il controllo o di impazzire, la paura di morire, la sensazione di irrealtà o di essere staccati da se stessi (Gianni Francesetti, Attacchi di panico e postmodernità).
Inoltre, chi ne soffre tende a descrivere il sintomo associato ad una specifica condizione o luogo: “mi trovavo in macchina quando improvvisamente mi sono sentito morire” oppure “stavo passando proprio da quel ponte quando mi sono sentito soffocare” ed è così che, quasi come a volere scacciare la “maledizione”, non “portiamo più la macchina” o “non passiamo più da quel ponte”, credendo o pensando che tali privazioni possano far scomparire quel “mostro”.
Col passare del tempo, tutto diventa più difficile e semplici azioni, come fare una semplice passeggiata o andare dal parrucchiere, si trasformano in veri e propri incubi: in altre parole, perdiamo pezzi della nostra quotidianità e tutta la nostra vita si “organizza” in funzione del sintomo.
Chi soffre di attacchi di panico vive in una prigione piena di limiti, fobie e paure dove colui che detiene la chiave e il potere non ha un volto, non ha una forma chiara e definita, sappiamo solo che si chiama panico e la “parola” diventa l’unico strumento che può ristabilire un senso ed un significato al caos che sta vivendo.