Il «confine» … tra me e te

Le dermatosi psicosomatiche, tema introdotto qualche settimana fa, hanno incidenza o diffusione sempre più in aumento e spesso compaiono dopo che la persona ha vissuto situazioni traumatiche che ne hanno scosso l’equilibrio psico-fisico o ne hanno messo a repentaglio la stabilità emotiva.

E’ possibile che ci siano anche fattori genetici predisponenti, ovvero altri casi in famiglia e a volte è come se la malattia rimanesse latente, fin quando accade qualcosa che la fa erompere; inoltre, nel decorso si possono alternare fasi di remissione a stati di recrudescenza.

Ecco alcuni esempi: qualche mese dopo un delicato intervento chirurgico, il corpo comincia a ricoprirsi di arrossamenti pruriginosi (orticaria), che si presentano e spariscono repentinamente per poi ritornare; dopo aver rischiato la vita in un incidente automobilistico, esplode un’alopecia; a seguito di un evento luttuoso, si riacutizza una psoriasi.

Cosa accomuna questi casi? Ci può essere qualcosa di simile nell’epilogo descritto?

E’ difficile spiegare come mai lo shock subìto, abbia preso proprio quella forma sintomatica e non un’altra, poiché sono accertate le differenze e le specificità dei meccanismi psico-fisici di ciascuno di noi; tuttavia, l’esperienza clinica mi insegna che alla base di questi fenomeni è spesso rintracciabile una pseudo reazione che ha i connotati del “blocco” emozionale. In altri termini questi individui hanno “trattenuto” inconsapevolmente l’angoscia, non hanno potuto “consegnare” all’altro l’espressione autentica del loro dolore, hanno interrotto il libero fluire tra il “sentire” e l’“esprimere”; in modo automatico è scattato un divieto interiore, assimilabile a un “non devo” – “non posso”. Esso è il frutto di un “apprendimento” antico, acquisito nelle relazioni originarie con i genitori ovvero le figure di riferimento affettivo più significative.

Se questi sono stati percepiti come “piccoli” o inadeguati a dare sostegno, il passo successivo sarà stato acquisire l’autonomia in modo prematuro e, tanto precoce quanto fallace.

Non aver potuto “dipendere” in modo sano, non aver potuto “affidarsi” quando era giusto e necessario, ha portato a enfatizzare il senso di indipendenza che, come capacità di fare da sé senza poter contare sull’altro, ha alimentato una vera e propria “paura del legame”.

Così la pelle -“confine” tra noi e l’altro- esprime quando si ammala, come tale confine non sia più in equilibrio e può far vedere ciò che “non si può” dire: la sofferenza per un bisogno di contatto e di legame, rimasto deluso o inappagato.

Sebbene il sintomo abbia una forte valenza organica, la psicoterapia sostiene il processo di “consapevolezza” delle modalità con cui l’individuo entra “in contatto” con l’altro e promuove il recupero della “spontaneità” come modo autentico e sano di relazionarsi; ciò accade all’interno dell’esperienza psicoterapica in quanto relazione nuova, fiduciosa e sicura.

Del resto … non ci può essere cambiamento senza “consapevolezza”.

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