Il termine “depressione” rimanda ad un quadro psicopatologico variegato e complesso, eppure fa talmente parte del linguaggio comune da perdere specificità, sfumando in confusioni o sovrapposizioni con stati psicologici che indicano disagio e non necessariamente psicopatologia.
Parlando di depressione si pensa al tono dell’umore dimesso, all’apatia, all’incapacità di sentire e utilizzare le proprie risorse o forze psicofisiche, alla perdita di interesse o di piacere per le attività del quotidiano.
A queste condizioni si possono associare sentimenti di bassa autostima, senso di colpa, difficoltà di concentrazione, insonnia o al contrario ipersonnia, alterazioni dell’appetito con conseguente aumento o diminuzione del peso corporeo; inoltre, ci possono essere pensieri inerenti la morte, ideazioni o tentativi di suicidio. In tale breve elencazione si può cogliere il continuum di gravità lungo il quale può declinarsi l’“esperienza depressiva”.
Subire un lutto, avere preoccupazioni per il proprio stato di salute o per quello dei propri cari, perdere il lavoro, doversi trasferire, chiudere una storia sentimentale, indicano eventi qualitativamente differenti ma che rimandano ad una comune matrice di “perdita”; la consapevolezza e il confronto con tale vissuto, demoralizzano la persona e la portano a vivere stati emotivi di sconforto, abbattimento e tristezza.
Quando lo stato depressivo emerge a seguito di simili circostanze, si definisce reattivo, indica una modalità con cui l’individuo tenta di rispondere ai fatti accaduti e configura un’esperienza di “sana” sofferenza. Solitamente è uno stato transitorio e fisiologico ad una fase di ripresa in cui torneranno atteggiamenti volitivi e l’auspicabile recupero delle risorse individuali.
Ciò rimanda ai tempi soggettivi di metabolizzazione degli eventi che dipendono dalla “resilienza” personale, cioè la capacità di far fronte alle difficoltà in modo dinamico e funzionale, e dalla capacità di accedere al sostegno della propria rete di riferimento/rifornimento affettivo, relazionale e sociale.
Diverso è il caso della depressione endogena che esita senza un’apparente o comprensibile causa esterna e che come una melanconia o male dell’anima, dilaga, invade l’emotività, compromette pesantemente la qualità e la bellezza della vita dell’individuo.
Il dramma si ha quando il dolore è sterile, non riveste alcuna funzione adattiva o evolutiva, si nutre di incolmabili solitudini e non permette di accedere al superamento dell’esperienza come possibilità di maturazione per l’individuo.
Ogni sofferenza o amarezza della vita porta con sé un’opportunità, per quanto ciò spesso non trovi accoglimento nel nostro cuore; forse «la guarigione arriva quando ci scrolliamo di dosso la nostra idea di quali avrebbero dovuto essere le nostre condizioni di vita e ci disponiamo ad accettare, e magari apprezzare, ciò che semplicemente è» (Norwood R.).