Il Carnevale di Palermo, documentato esaurientemente, sin dal XVI secolo, ha sempre suscitato nel suo popolo e nei siciliani, una grande attrazione, specialmente sotto il viceregno di Pietro Teller de Giron duca di Ossuna. Tuttavia, a Palermo, nei secoli XVIII, XIX e nel primo trentennio del XX secolo, la manifestazione carnascialesca ebbe una notevole rilevanza, tanto da far nascerne in essa uno speciale e particolare interesse. Infatti, questa originale, importante e articolata festa popolare, un tempo viva e brillante, fu menzionata e fatta conoscere ai numerosi lettori da uno dei massimi scrittori del secondo Ottocento italiano, Carlo Lorenzini, in arte Collodi, creatore del noto romanzo “Le Avventure di Pinocchio. Storia di un burattino”. Lo scrittore e giornalista fiorentino descrisse la figura del “Nannu” palermitano, nella sua opera dal titolo: “Il viaggio per l’Italia di Giannettino”, esattamente, nel III volume al capitolo XXXII “Per le vie della città”.
Il “Viaggio” fu un libro per ragazzi, molto popolare nel nostro Paese, una sorta di tour-guida per l’Italia, ed anche un importante fenomeno editoriale internazionale. Il giornalista Lorenzini, universalmente noto, principalmente con lo pseudonimo di Collodi, descrisse la figura del “Nannu” sul carro trionfale, che sfilava a Palermo, lungo il Corso Vittorio Emanuele, ossia l’arteria principale che prima del 1860 era chiamata via Toledo, dal nome del vicerè spagnolo Don Garcia di Toledo che così volle intitolare la strada più antica della città, il Cassaro. La storica manifestazione carnevalesca culminava a Piazza Vigliena, popolarmente conosciuta dai palermitani come i “Quattro Cantoni”, con la bruciatura della maschera del “Nannu”, il simbolo del Carnevale.
L’opera di Collodi, fu pubblicata a Firenze inizialmente in tre volumi, nel periodo compreso tra il 1880 e il 1886, da Felice Paggi Libraio Editore, rispettivamente: 1° volume (parte prima, l’Italia superiore, 1880); 2° volume (parte seconda, l’Italia centrale, 1883); e 3° volume (parte terza, l’Italia meridionale, 1886). L’originale opera, suddivisa in tre parti, per la sua funzione educativa, fu particolarmente consigliata dagli insegnanti come libro di lettura e affiancata ai testi di scuola ufficiali. Con questi volumi, corredati da generose illustrazioni, i fanciulli poterono scoprire, attraverso la loro particolare descrizione, improntata con uno stile colloquiale e giornalistico, le meraviglie storico-geografiche di un’Italia post-unitaria, della seconda metà dell’Ottocento, quest’ultimo secolo, caratterizzato dall’ascesa e dall’affermazione politico-sociale della media e alta borghesia.
I tre volumi ebbero un ruolo pedagogico, una vera e propria concentrazione di alcune materie scolastiche per ragazzi: la geografia e la storia, con richiami al Risorgimento italiano. Non a caso l’opera di Collodi fu data alle stampe nell’epoca in cui l’allora Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia, Francesco Crispi fu promotore di manuali a contenuto essenzialmente patriottico. Il 1° volume l’Italia superiore, fu così salutato da un giornalista del Messaggero di Roma: Bisogna leggerlo, per farsi un’idea della malizia, dell’astuzia, e di tutte le arti alle quali ricorre l’autore, per costringere il giovane lettore a leggere senza saltare un rigo solo. Il Viaggio per l’Italia ha il doppio scopo di insegnare la geografia e la storia italiana, lo scopo è abilmente mascherato da un dialogo vivo, divertente […] il ragazzo legge, capisce e impara senza fatica (1). Inoltre, come spiegò il filologo e lessicografo Giuseppe Rigutini, nella presentazione al lettore del 1° volume e di cui vi propongo qui uno stralcio “… Il concetto del Collodi è quello di far conoscere ai giovanetti l’Italia nei suoi monumenti, nelle sue glorie antiche o recenti, nelle industrie nei commerci e in tutto ciò che può dare ad essi la cognizione della nostra patria, e con la cognizione il sentimento e l’amore della medesima, avvezzandoli per tal modo a considerarsi non come o toscani o piemontesi o lombardi o veneti o romani o napoletani o siciliani, ma come italiani; a metter fin di principio il sentimento nazionale nel luogo del provinciale o municipale, e a fare amare di eguale amore qualunque parte della Italia; perché ciascuna ha pregi e meriti particolari per essere amata…” (2). Nell’opera “Il viaggio per l’Italia di Giannettino”, ad accompagnare i numerosi lettori in quest’organizzato viaggio esperienziale, fu il giovinetto “Giannettino”, seguito dal suo inseparabile precettore il dottor “Boccadoro”.
La descrizione di Collodi, in merito al carnevale di Palermo, e in particolar modo al fantoccio del “Nannu”, integra e arricchisce la nostra ricerca, come peraltro aveva già fatto in modo esaustivo lo scrittore e giornalista Enrico Onufrio (3) nel 1882. Il “Nannu” palermitano, ossia, un gigantesco vecchione imbottito di stracci e bambagia veniva bruciato insieme al suo carro. Infatti, il vegliardo, veniva arso e la sua testa, in precedenza riempita di polvere da cannone, deflagrava, spargendo sul capo degli astanti una pioggia di faville d’oro. Detto ciò, non mi resta altro che riportare qui quanto io ho osservato nelle pagine del “Viaggio” e che vedrà il ritorno del “monello Giannettino”. In realtà, il romanzo, intitolato “Giannettino”, pubblicato nel 1877, fu il primo di una serie di libri facenti parte della Biblioteca Scolastica dell’editore Felice Paggi e che si concluse nel 1890. Pertanto, dopo quest’ultimo componimento seguirono in ordine cronologico: “Il viaggio per l’Italia di Giannettino. Parte prima” (1880). “La grammatica di Giannettino per le scuole elementari”, (1883). “Il viaggio per l’Italia di Giannettino. Parte seconda” (1883). “L’abbaco di Giannettino per le scuole elementari” (1884). La geografia di Giannettino (1886). “Il viaggio per l’Italia di Giannettino. Parte terza” (1886), e l’ultimo della serie “La lanterna magica di Giannettino” pubblicato nel 1890, l’anno della morte di Collodi.
“Il viaggio per l’Italia di Giannettino. Parte terza”. CAPITOLO XXXII – Per le vie della città
Appena sbarcato a Palermo, ebbi subito una bella fortuna: la fortuna, cioè, che il Dottore incontrò nella sala dell’albergo un suo grandissimo amico, il signor Onofrio, un bravo giovine, ma bravo di molto. Com’è naturale, si scambiarono fra di loro mille feste; e poi il Dottore disse all’amico:
- Vuoi farmi un piacere?
- Un piacere solo, è poco: per uno solo, non mi ci metto neppure – rispose scherzando il signor Onofrio.
- Ti ringrazio. Devi dunque sapere che un telegramma pervenutomi a Reggio da un’Accademia di Storia e Lettere, di cui sono segretario, mi condanna a fare con ogni sollecitudine dei riscontri sopra alcuni codici della vostra ricca biblioteca. Se io fossi solo e libero di me, pazienza: ma, come vedi, ho in mia compagnia questo giovinetto, che non viaggia davvero per passare le sue giornate fra i codici e le pergamene….
- Ho capito tutto. Domattina verrò qui a prendere il tuo giovinetto, e penserò io a fargli da cicerone.
E mantenne la promessa. Il primo giorno mi condusse a passeggiare per le due principali strade di Palermo: la
Via Macqueda e il Corso Vittorio Emanuele
Queste due belle e lunghissime strade, incrociandosi fra loro, tagliano la città in quattro parti, press’a poco così:
Il punto dove le due strade s’incrociano, si dovrebbe chiamare Piazza Vigliena: ma i palermitani, invece, lo chiamano
I quattro Cantoni
Qual è la più bella di queste due strade? – la più bella, la più signorile, la più affollata via di Palermo, è il Corso Vittorio Emanuele. Questa strada, prima del 1860, portava il nome di Via Toledo, perché così piacque battezzarla a Don Garcia di Toledo, viceré spagnolo.
- Bada però – mi disse il signor Onofrio – se tu domandi a un nostro popolano dove rimane la via Toledo, o Vittorio Emanuele, novantanove per cento non te la sa insegnare: perché per il popolo palermitano quella via si chiama e si chiamerà sempre il
Cassaro
- Che cosa vuol dir “Cassaro”?
- E’ una parola, che viene dall’arabo “Alcassar”, e vuol dire castello o luogo fortificato. Infatti, sotto i saraceni, chiamavasi “Alcassar” il Palazzo reale, che trovasi in fondo al Corso e che diede il nome alla strada.
Quanto alla via Macqueda, mi fu fatto osservare, che proseguendo sempre diritta, cambia il suo nome in quello di via “Ruggero Settimo” e poi di via “della Libertà”: mentre il Corso Vittorio Emanuele, uscendo a Porta nuova, prende il nome di “Corso Calatafimi”, e si prolunga per la bellezza di altri tre chilometri, fino a poca distanza da Monreale.
E i Quattro Cantoni? Per i palermitani i Quattro Cantoni sono un punto centralissimo di ritrovo: sono, su per giù, quel che sarebbe la galleria per i Milanesi, Piazza San Marco per i Veneziani, Piazza Colonna per i Romani, e Via Calzaioli per noialtri fiorentini. I Quattro canti o angoli, che fanno cerchio alla piazza, hanno alla loro base una fontana di marmo, e una facciata ornata di rabeschi, di statue e di colonne.
- E’ qui, su questa piazza – mi disse l’amico – che i palermitani si danno gli appuntamenti, è qui che i giornalai strillano i loro giornali, è qui che si combinano gli affari, che si mettono su le dimostrazioni, e che si fanno le carnevalate.
- E’ molto allegro il carnevale a Palermo? – gli domandai.
- il carnevale di Palermo, da parecchi anni in poi, somiglia ai carnevali dell’altre città d’Italia: vale a dire, non è altro che un’allegria artificiale, la quale fa di tutto per parere allegra davvero, e spesso non ci riesce. Un po’ d’allegria spunta solamente negli ultimi giorni, quando, cioè, le feste carnevalesche stanno per finire. In quei giorni
‘U Nannu
Si trova ridotto agli sgoccioli, ed è a tocco e non tocco per andarsene nel mondo di là.
- E questo ‘U nannu chi verrebbe ad essere?
- Qui da noi si chiama ‘u nannu (ossia il nonno) un gigantesco vecchione tutto imbottito di stracci e bambagia, il quale raffigura il Carnevale. Bisogna vederlo con quella sua faccia di cuor contento, con quei suoi occhi imbambolati e un po’ birilli e con quella bella pappagorgia che gli scende giù fino a metà dello stomaco, come un tovagliolo. Di dove mai sia uscita fuori questa figura grottesca di buontempone, che biascica le litanie con una corona da rosario fatta di salsicce, e che sta preparandosi a morire di ribotte e di scorpacciate mal digerite? Nessuno lo sa e nessuno si cura di saperlo: intanto per tutti i vicoli e per tutti i chiassòli dei quartieri popolari, non senti che un lamento di donnicciole avvinazzate e in bernecche, che gridano come calandre: ‘U nannu sta murennu! ‘U nannu sta murennu! (il nonno sta per morire! Il nonno sta per morire!). Sul finir del carnevale ‘u nannu prende parte ai veglioni, alle feste e alle mascherate: e l’ultimo giorno, poi, dopo aver girato in su e in giù per il Corso sopra il suo carro trionfale, viene a fermarsi a mezzanotte qui, ai Quattro Cantoni, ossia nel luogo più centrale della città, per esservi incendiato. E qui si dà fuoco al carro e al povero nannu, il quale dileguasi in una gran vampata come un fagotto di capecchio. Il popolino urla e fa baccano intorno al rogo dell’idolo carnevalesco; e la testa del nannu, che in fin dei conti è una bomba di carta tutta ripiena di polvere da cannone, scoppia con grandissimo fracasso, lasciando ricadere sul capo degli spettatori una brillantissima pioggia di faville d’oro.
(1) Il Messaggero di Roma, 13 settembre 1880. In Chroniques italiennes, “Turismo, amor patrio e fantasia nel viaggio di Giannettino di Carlo Collodi” (2010) Elsa Damien (University of Manchester).
(2) Carlo Collodi – “Il viaggio per l’Italia di Giannettino. Parte terza” Felice Paggi Libraio-Editore. Ristampa anastatica dell’edizione del 1886. Ripubblicazione per il 180° dalla nascita dell’autore. Società Editrice Leading Edizioni (2006).
(3) Longo, 2016 – Enrico Onufrio ed il Carnevale palermitano tra primo e secondo Ottocento.
Foto a corredo dell’articolo, tratte dal libro, di Carlo Collodi “Il viaggio per l’Italia di Giannettino. Parte terza”, Felice Paggi Libraio-Editore 1886.
Giuseppe Longo
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