“Mitemi”: personale di scultura di Sebastiano Catania

Sono passati 25 anni dall’ultima mostra personale di un artista cefaludese schivo e poco propenso ad esporre l’importante risultato del suo lavoro: si tratta di Sebastiano Catania che, finalmente, spinto dal figlio Riccardo che ha curato tutti gli aspetti relativi all’evento, presso la “Galleria Ristorante” di Cefalù, presenta due percorsi della sua vasta produzione: sbalzi su rame e terrecotte.

Probabilmente Catania è più conosciuto come scultore di metalli, anche per avere insegnato a lungo (ma, direi, per avere trascorso quasi tutta la sua vita) presso il Liceo Artistico di Cefalù, proprio come docente del laboratorio per la lavorazione dei metalli e per aver prodotto opere molto note nel nostro territorio e oltre.

Tra queste mi piace ricordare la Via Crucis in bronzo collocata nella Chiesa di sant’Agata (villaggio dei pescatori di Cefalù), opera di grande interesse artistico e di suggestione intellettuale di rilievo; l’imponente portone bronzeo della Chiesa dell’Immacolata di Alia, in cui l’arte si coniuga con una meticolosa ricerca teologica; La donna vestita di sole, anch’essa in bronzo, collocata nella chiesa dello Spirito Santo di Cefalù… e tante altre opere, dalla microfusione alle installazioni con materiale riciclato, dagli smalti alle ampie composizioni, che non cito per evitare una lunga elencazione.

Per tutto questo, vedere, o rivedere, oggi i suoi sbalzi in rame è solo una conferma della sua maestria nel trasformare i metalli, in questo caso con un sapiente gioco di forme lavorate in negativo, per trasmettere la sua visione del mondo e dell’esistenza, fatta del riconoscimento dell’abisso in cui l’uomo può precipitare, ma anche dell’altezza in cui si può librare. Gli sbalzi in mostra raccontano il percorso del nostro artista, dalle opere realizzate quando era ancora uno studente a quelle che hanno attraversato gli anni Settanta e Ottanta.

E se da una parte il dolore del mondo si esprime con opere come Senza futuro e Urlo, in cui volti, corpi, tronchi e rami si intrecciano e sovrappongono in forme tra surrealismo ed espressionismo, in Geometrie musicali, che allude alla grande passione dell’artista per la musica, l’uomo sembra assolto dalle sue colpe, attraverso volute che rinviano alla chiave di violino (ma anche alla chiocciola) e alleggeriscono la materia per purificarla verso la forma più eterea e astratta di arte: la musica, appunto.

Ciò che però maggiormente colpisce dell’esposizione presso la “Galleria” di Cefalù è l’altro percorso, il più recente: quello delle terrecotte.

Lo scultore Sebastiano Catania ha sempre lavorato l’argilla con grande passione e ha realizzato tante opere in terracotta, ma spesso solo come momento di passaggio per approdare alle opere in bronzo, secondo la tecnica della cera persa. Negli ultimi anni, l’argilla e la terracotta non sono state più considerate come strumento per arrivare ad altro, ma hanno acquistato una loro autonomia, sono diventate il fine, non il mezzo. Ritengo che questo sia del tutto coerente con le tematiche presenti nell’attuale mostra, come quella della reminiscenza e della memoria, perché anche il ritorno all’argilla, alla terra quindi, è una forma di rievocazione delle origini, un recupero del ricordo ancestrale, una riappropriazione della materia primigenia, della terra madre. È evidente che in questo percorso di memoria  e di ritorno alla terra, il mito, da cui trae origine gran parte della nostra tradizione culturale, sia il sostrato da cui plasmare e partorire le immagini scultoree.

Odisseo/Ulisse, con tutte le poliedriche qualità con cui è entrato nel nostro immaginario collettivo, diventando un simbolo irrinunciabile, è protagonista di Mitemi: egli che, “bello di fama e di sventura”, nel suo lungo e travagliato peregrinare per mare alla volta di Itaca, conosce soste e incontri, divagazioni e distrazioni, dolci fanciulle, sirene, maghe, ninfe…

E se di Ulisse bisogna parlare, allora anche in questo caso bisogna partire dalle origini, dalla scelta di Paride che, di fronte alle magnifiche offerte delle dee Atena ed Era, la sapienza e il valore guerriero da un lato, e il potere e la ricchezza dall’altro, sceglie l’amore e la bellezza proposti da Afrodite, in particolare la bellezza della donna più bella del mondo, Elena, sposa di Menelao di Sparta: e proprio dal rapimento di Elena ha origine la guerra di Troia.

La scultura La scelta di Paride rende pienamente il senso del trasporto amoroso che oscura qualsiasi altra possibilità, che annienta il desiderio di qualsiasi altro dono, fosse anche il potere o la ricchezza: dalla base che sembra forma astratta (ma l’astrazione parte sempre dalla realtà, come dimostrano altre opere in mostra) emergono i due corpi, prima fusi, poi sempre più distinti, corpi congiunti in uno slancio passionale che piega ad arco il corpo femminile, arco da cui scocca la freccia del piacere. L’abbandono è totale, il corpo è retto dalle braccia maschili in un’estatica dimensione.

Finita la guerra, Ulisse intraprende il viaggio di ritorno ad Itaca, viaggio, come dicevo, più volte interrotto da molteplici seduzioni, tra le quali quella della maga Circe.

La scultura La seduzione di Circe si sviluppa in orizzontale e i corpi, sempre emergenti dalla materia, sono adagiati su una base, come un talamo d’amore cui si accede da tre gradini che poi si avvolgono a spirale (la spirale dell’amore e della seduzione) mentre i corpi si avviluppano nell’amplesso, Ma a ben guardare, il talamo è un ippocampo, figura affascinante per la sua duplicità, un po’ cavallo un po’ pesce, un po’ terra un po’ mare. Ed eccolo nella scultura di Sebastiano Catania, la sua testa quasi un cuscino, la sua coda un’elegante voluta.

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La seduzione di Circe

Stessa atmosfera evocativa in un’altra scultura, Il sogno di Calipso, la ninfa che trattiene con sé Ulisse per sette anni, in cui la fusione delle immagini è più netta e la gamba della dea marina sfuma nella spirale dell’ippocampo.

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Il sogno di Calipso

In verticale si sviluppano le opere Ulisse e Nausicaa e Ulisse e la sirena, ricondotta quest’ultima alla originaria immagine, liberata da tutte le interpretazioni successive che hanno codificato l’idea della sirena come donna/pesce: al visitatore della mostra lascio, in questo caso, il piacere di scoprire queste opere, come un Ulisse, viaggiatore curioso.

L’artista Catania, per le sue opere scultoree, ha tratto spunto anche da altri “mitemi”, legati tutti dal filo conduttore dell’amore, ora drammatico, ora dolce.

Nascono così Ettore e Andromaca e Medea e Giasone.

In particolare in Medea e Giasone la fusione dei corpi è più ampia ed è resa da linee dolcemente curve e sinuose, come braccia e gambe indistinte, e il distacco avviene solo a livello delle spalle delle due figure, che formano quasi un cuore: i volti, però, restano distanti, uniti solo da uno sguardo: presagio della tragica conclusione della loro vicenda?

 

Totale è invece l’impeto che unisce Enea e Didone, scultura fortemente dinamica, in cui il movimenti è reso plasticamente dalla gamba destra della regina di Cartagine, vista in due diverse posizioni, quasi due sequenze, nell’atto di avvolgere Enea, come un passo di danza che si conclude nell’abbraccio infinito del corpo dell’uomo amato.

Amore dunque, sempre amore, Amore che risveglia Psiche, mito tra i più noti e più simbolici della tradizione. E così, Amore risveglia Psiche diventa, a mio parere, la scultura/sintesi di tutto il percorso espositivo, qui presentato solo attraverso una selezione di opere, con i due corpi distesi e abbracciati in un letto di ippocampo.

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La mostra è visitabile nei mesi di aprile e maggio e, probabilmente, anche oltre.

 

Rosalba Gallà

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