“A mio avviso, oggi in Italia abbiamo un grande esempio di cinema “alternativo”, profondamente indipedendente perchè libero e sperimentale, quello di Pietro Marcello”. Lo afferma il regista Stefano Virgilio Cipressi che partecipa alla terza edizione del Cefalù film festival.
Chi è Stefano Virgilio Cipressi e come nasce la passione per il cinema e per il cortometraggio in particolare?
Sono un filmaker indipendente, cresciuto a Roma ma di origini campane.
Sono un filmaker indipendente, cresciuto a Roma ma di origini campane.
Non saprei dire con certezza quando è nata la passione per il cinema. Sono stati alcuni film, visti nel corso del tempo, a far scoppiare l’amore. Quei film che vedi e di cui ti innamori, e che rivedi spesso nei momenti di frustrazione per ricordrati che
il cinema è quello che vorresti fare nella vita, nonostante le difficoltà. Stranger than paradise, Due o tre cose che so di lei, Hiroshima mon amour, Paisà, Il passaggio della linea, Paris Texas, e molti altri.
Hai un particolare progetto al quale sei particolarmente legato?
Sono molto legato a L’invention de la cinématographie, che è il mio lavoro più libero, autonomo dal punto di vista produttivo e anarchico dal punto di vista della struttura. Un cortometraggio in cui ho potuto pensare esclusivamente a temi e modi del racconto che mi stavano a cuore.
Sono molto legato a L’invention de la cinématographie, che è il mio lavoro più libero, autonomo dal punto di vista produttivo e anarchico dal punto di vista della struttura. Un cortometraggio in cui ho potuto pensare esclusivamente a temi e modi del racconto che mi stavano a cuore.
Sono molto affezionato anche ai miei primi lavori, documentari indipendenti sul mondo del lavoro e dei diritti umani, che sono stati per me soprattutto una scuola di etica del cinema.
Cosa pensi della situazione del cinema indipendente?
Gli autori del cinema indipendente oggi possono contare su costi minori legati al digitale e forme di distribuzione e produzione alternative, anche se questo non rende certo meno difficile riuscire a fare cinema e farlo arrivare nelle sale. Il punto però dirimente è ragionare sul termine “indipendente”, che non può ridursi solo a tutto ciò che non è mainstream. L’indipendenza è soprattutto una condizione mentale degli autori, il coraggio di lavorare sul linguaggio senza le costrizioni delle mode e delle convenienze del momento. A mio avviso, oggi in Italia abbiamo un grande esempio di cinema “alternativo”, profondamente indipedendente perchè libero e sperimentale, quello di Pietro Marcello.
Gli autori del cinema indipendente oggi possono contare su costi minori legati al digitale e forme di distribuzione e produzione alternative, anche se questo non rende certo meno difficile riuscire a fare cinema e farlo arrivare nelle sale. Il punto però dirimente è ragionare sul termine “indipendente”, che non può ridursi solo a tutto ciò che non è mainstream. L’indipendenza è soprattutto una condizione mentale degli autori, il coraggio di lavorare sul linguaggio senza le costrizioni delle mode e delle convenienze del momento. A mio avviso, oggi in Italia abbiamo un grande esempio di cinema “alternativo”, profondamente indipedendente perchè libero e sperimentale, quello di Pietro Marcello.
Quali difficoltà si incontrano per emerge nel mondo della cinematografia?
Il grande problema del cinema italiano è di matrice produttiva: si cerca solo ciò che “intrattiene” ed è immediatamente “vendibile”. Il problema economico è la base di quello culturale, l’assuefazione a un certo tipo di cinema e la sparizione di decine di film che restano nascosti. Detto ciò, credo che la questione non sia come emergere singolarmente, ma come venir fuori come “movimento”, come riuscire a proporre ad un pubblico non di nicchia temi, modi, strutture, sperimentazioni che rendano manifesto questo: il cinema è tante cose, e non può ridursi alle strutture convenzionali del cinema cosiddetto commerciale. Anche qui, la storia di quest’arte è piena di autori e movimenti che in certi periodi hanno spazzato via il pensiero dominante sul cinema; gli italiani e i francesi lo sanno bene, poichè a casa loro sono nati il Neorealismo e la Nouvelle Vague.
Il grande problema del cinema italiano è di matrice produttiva: si cerca solo ciò che “intrattiene” ed è immediatamente “vendibile”. Il problema economico è la base di quello culturale, l’assuefazione a un certo tipo di cinema e la sparizione di decine di film che restano nascosti. Detto ciò, credo che la questione non sia come emergere singolarmente, ma come venir fuori come “movimento”, come riuscire a proporre ad un pubblico non di nicchia temi, modi, strutture, sperimentazioni che rendano manifesto questo: il cinema è tante cose, e non può ridursi alle strutture convenzionali del cinema cosiddetto commerciale. Anche qui, la storia di quest’arte è piena di autori e movimenti che in certi periodi hanno spazzato via il pensiero dominante sul cinema; gli italiani e i francesi lo sanno bene, poichè a casa loro sono nati il Neorealismo e la Nouvelle Vague.
Che messaggio senti di lanciare agli organizzatori del Cefalù film festival?
Agli organizzatori rivolgo un grazie sincero per l’attenzione riservata a corti autoprodotti come quello del sottoscritto, perchè fare cinema è spesso un’impresa, e per il cinema dal basso e autoprodotto il lavoro degli organizzatori dei festival diventa un sostegno fondamentale per la circolazione dei film, e quindi delle idee.
Agli organizzatori rivolgo un grazie sincero per l’attenzione riservata a corti autoprodotti come quello del sottoscritto, perchè fare cinema è spesso un’impresa, e per il cinema dal basso e autoprodotto il lavoro degli organizzatori dei festival diventa un sostegno fondamentale per la circolazione dei film, e quindi delle idee.