Di Matteo: «chi ci doveva difendere è stato zitto»

«Quello che mi ha fatto più male è che rispetto alle accuse di usare strumentalmente il lavoro abbiamo avvertito un silenzio assordante e chi speravamo ci dovesse difendere è stato zitto. A partire dall’Anm e il Csm”. Lo ha affermato il pm della Direzione nazionale antimafia Nino Di Matteo intervenendo alla trasmissione “1/2 ora in più” di Lucia Annunziata, in onda sui Raitre. La replica non si è fatta attendere. L’Associazione nazionale magistrati dice di avere “sempre difeso dagli attacchi l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati”. In una nota, il presidente dell’Anm, Francesco Minisci, sottolinea che l’associazione di categoria delle toghe “continuerà sempre a difendere tutti i magistrati attaccati, pur non entrando mai nel merito delle vicende giudiziarie”.

Nel corso della trasmissione di Lucia Annunziata, Di Matteo ha lanciato pensati critiche. «Ho sempre creduto nella doverosità di questo processo qualunque esito avesse avuto. Ho la consapevolezza di aver fatto il mio dovere. La sentenza emessa da una corte qualificata che in cinque anni ha dato spazio a tutte le prove dell’accusa e della difesa, non ci ha colto di sorpresa. Il verdetto ha messo un punto fermo importante sancendo che mentre la mafia, tra il ’92 e il ’93, faceva sette stragi c’era chi all’interno dello Stato trattava con vertici di Cosa nostra e trasmetteva ai governi le sue richieste per far cessare la strategia stragista. E’ un punto importante – ha continuato Di Matteo – che può costituire un input per la riapertura anche delle indagini sulle stragi che probabilmente non furono opera solo di uomini di Cosa nostra».

Per il pm Di Matteo «gli ufficiali dei carabinieri sono stati condannati per avere svolto un ruolo di cinghia di trasmissione delle richieste della mafia nel ’92, quindi rispetto ai governi della Repubblica presieduti da Amato e Ciampi, mentre Dell’Utri è stato condannato per avere svolto il medesimo ruolo nel periodo successivo a quando Berlusconi è diventato premier. Questi sono stati i fatti per cui gli imputati sono stati condannati. È un fatto oggettivo. Poi resta da capire come mai, rispetto al fallito attentato all’Olimpico, nel 1994, Cosa nostra abbandonò le stragi e avviò una lunga fase di tregua nell’evitare il frontale attacco allo Stato. Questo dovrebbe essere uno spunto di riflessione. È ovvio che noi abbiamo agito verso soggetti che ritenevamo coinvolti sulla base di un quadro probatorio solido, ma non pensiamo che i carabinieri abbiano agito da soli. Non abbiamo avuto prove concrete per agire contro livelli più alti, ma pensiamo che i carabinieri siano stati mandati e incoraggiati da altri». E Di Matteo ha continuato dicendo: «I carabinieri che hanno trattato sono stati incoraggiati da qualcuno. Noi non riteniamo che il livello politico non fosse a conoscenza di quel che accadeva. Ci vorrebbe un ‘pentito di Stato’, uno delle istituzioni che faccia chiarezza e disegni in modo ancora più completo cosa avvenne negli anni delle stragi.  La sentenza è precisa e ritiene che Dell’Utri abbia fatto da cinghia di trasmissione nella minaccia mafiosa al governo – ha affermato Di Matteo – anche nel periodo successivo all’avvento alla presidenza del Consiglio di Berlusconi. In questo c’è un elemento di novità. C’era una sentenza definitiva che condannava Dell’Utri per il suo ruolo di tramite tra la mafia e Berlusconi fino al ’92. Ora questo verdetto sposta in avanti il ruolo di tramite esercitato da Dell’Utri tra Cosa nostra e Berlusconi. Né Silvio Berlusconi né altri hanno denunciato le minacce mafiose, né prima né dopo».

 

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