Cefalù: 31 anni fa il discorso di addio che ha provocato il terremoto in città

Era il 31 dicembre del 1987, vigilia di Capodanno, quando il vescovo Emanuele Catarincchia pronuncia il discorso d’addio nella cattedrale di Cefalù. Un discorso che ha provocato un vero e proprio terremoto nella cittadina normanna. Dal pulpito della Basilica normanna il vescovo giovane, aveva appena compiuto 61 anni, quella sera tuona contro la classe politica locale per le ingerenze di mafia e massoneria nella vita politica e amministrativa di Cefalù. Pesantissime le accuse che hanno provocato l’apertura di un’inchiesta da parte del procuratore della Repubblica di Termini Imerese Ugo Saito.

Catarinicchia la sera di quell’ultimo giorno del 1987 chiedeva di liberare Cefalù dalle due emme: mafia e massoneria. La città, diceva il Vescovo, è stata manomessa, sono stati prodotti danni ecologici, edilizi, all’assetto urbanistico e la spartizione delle assunzioni negli uffici pubblici. La giunta comunale di quei giorni era retta dalla Democrazia cristiana e dal partito comunista.  Le dichiarazioni di Catarinicchia vengono riprese dai grandi quotidiani e fanno il giro del mondo. Per la prima volta nella storia della cittadina normanna un Vescovo alza la voce per descrivere i problemi della città.

«La classe dirigente di questa città – diceva Catarinicchia – è stata sempre più attenta al bene personale, particolare o di gruppo, che non all’interesse generale». Parole dure anche per la classe politica che il Presule definisce molto divisa non per colpa delle ideologie o dei programmi ma per interessi più o meno particolari. Il Vescovo chiama ad un serio esame di coscienza quanti erano preposti alla vita amministrativa e avevano responsabilità dal punto di vista istituzionale. E aggiunge: «Questa città ha una componente mafiosa non di stampo tradizionale ed una prepotenza oscura capace di manovrare e di riuscire a qualunque costo, che lascia molto pensierosi. E poi c’è la massoneria che era in sonno e che ora si è svegliata». Catarinicchia descrive nei dettagli quanto accadeva a Cefalù. «Qualcosa di pauroso. C’è un tale imbroglio di potere da mandare in svendita Cefalù. La città sta per essere svenduta. Ci pensino i cittadini, perché sui poteri occulti, comunque essi si chiamino, si gioca sempre l’interesse della comunità. Non è mia competenza individuare come, dove, di che cosa si sono impadroniti o come sono riusciti a farlo. Non fatemi passare per coraggioso, quanto dico è sotto gli occhi di tutti ogni giorno. Solo chi non vuol vedere non vede». Le sue dichiarazioni scuotono il Municipio cefaludese e, soprattutto, il consiglio comunale dove la democrazia cristiana aveva quattordici consiglieri. Un vero e proprio terremoto si abbatte su tutte le istituzioni. Increduli verso quanto aveva dichiarato il vescovo, invece, restano alcuni ambienti ecclesiali della cittadina normanna.

Per il giovane vescovo bisognava azzerare tutto e ci voleva un ricambio perché proprio questi poteri rischiavano di schiacciare la città. Ci voleva un ricambio totale in tutte le istituzioni: dalla magistratura, al Comune, persino alle unità sanitarie locali. Catarinicchia lascia Cefalù la mattina del 30 gennaio del 1988. Otto giorni prima, in Cattedrale legge il suo testamento di povertà che aveva preparato al suo arrivo nella cittadina normanna dove pensava di finire i suoi giorni.

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