Per celebrare il 90° anniversario della morte del Patriota e letterato termitano Francesco Denaro Pandolfini (1843-1929) si terrà a Termini Imerese (PA) alle ore 11.00, presso l’Istituto di Istruzione Superiore di Seconda Grado “Gregorio Ugdulena” la conferenza dal titolo: “I Patrioti termitani”. La manifestazione verrà patrocinata dal Comune di Termini Imerese; dall’Istituto di Istruzione Superiore di Secondo Grado “Gregorio Ugdulena”: dall’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia Sezione di Palermo; dal Comitato Spontaneo Studio Fortificazioni Militari; dall’Archeoclub d’Italia Sezione di Termini Imerese; dall’Archeoclub d’Italia Sezione Cefalù; dall’Accademia Mediterranea Euracea di Scienze, Lettere e Arti – Termini Imerese; dal Gruppo Ricerca Ecologica; dall’Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici; daRodoArte Associazione Onlus e da TeleTermini.
Programma
Saluti: Prof.ssa Patrizia Graziano (Dirigente Scolastico)
Relatori:
Generale Mario Piraino (Storico)
“Francesco Denaro Pandolfini e i picciotti termitani”
Patrizia Bova (Accademia Mediterranea Euracea di Scienze, Lettere e Arti, Termini Imerese), Dott. Geol. PhD Antonio Contino (Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare, Università di Palermo)
“Il Castello di Termini Imerese tra Geologia e Storia”
Michele Nigro S.Ten. Rcpl G.d.F. (Ricercatore Storico Militare)
“La Guardia di Finanza nel Risorgimento siciliano”
Introduce e modera: Dott. Rosario Ribbene (Giornalista)
Sarà presente: Dott. Girolamo Di Fazio (Commissario Straordinario della Città di Termini Imerese)
Inoltre, saranno presenti, il Dott. Sergio Merlino D’Amore, Presidente dell’Archeoclub d’Italia, sede di Termini Imerese e la Prof.ssa Flora Rizzo, Presidente dell’Archeoclub d’Italia sede di Cefalù.
Dopo il vano tentativo rivoluzionario iniziato a Termini il 4 aprile del 1860, portato avanti con entusiasmo dai suoi patrioti, sulla scia dei moti che si svolsero lo stesso giorno a Palermo; il 12 aprile, i termitani, in seguito a due intensi giorni di resistenza, dovettero desistere, arrendendosi all’artiglieria borbonica che dal Real Castello cannoneggiava la città. La stessa sorte era già toccata poco prima agli insorti palermitani (rivolta della Gancia), per i quali il loro tentativo di insurrezione era stato soffocato nel sangue. Il 15 aprile, le forze militari borboniche ripresero il controllo della città terminese, intimando la consegna delle armi (circa 400 fucili) che sistematicamente furono requisiti. Il 5 maggio, dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala, in numerose città siciliane si accesero molti focolai di rivolta. A Termini la sommossa antiborbonica iniziò il giorno 11, durante la notte fu innalzata la bandiera tricolore nel quartiere della “Maestranza” (gravitante sull’attuale via Vittorio Emanuele). Il giorno successivo, gli agitatori termitani diedero vita a un corteo che si concluse al “Caricatore” (attuale Piazza Crispi), dove il patriota Calcedonio Geraci issò il tricolore sulla statua di S. Francesco di Paola, posta all’inizio della scalinata nell’odierna via Ostia. Il 16 aprile, i tumulti cominciarono a dipanarsi nella città, costringendo i soldati borbonici a ritirarsi all’interno del Castello. Il giorno dopo si costituì un Comitato civico che fu presieduto da Salvatore Coppola, a cui si unirono ancora una volta Enrico Iannelli, Giacinto Lo Faso e Liborio Arrigo. Il neo comitato rivoluzionario formato così da: Liborio Arrigo, Agostino Quattrocchi, Salvatore Coppola, Giacinto Lo Faso, Francesco De Luca, e Rosario Salvo, oltre che a tutelare l’ordine pubblico, si occupò di trasmettere a Garibaldi un messaggio di sostegno, di organizzare squadre di “picciotti” da inviare nelle zone di combattimento, anche di raccogliere denaro, armi, polvere da sparo e piombo. In quei giorni turbolenti, incessanti furono i colpi di cannone sparati dalla fortezza regia verso la città, a cui si unirono anche i cannoneggiamenti della regia pirofregata Archimede, rimasta alla fonda nella rada di Termini. Il 27 aprile, una volta spezzate le ultime resistenze borboniche, Garibaldi entrò a Palermo e firmato un armistizio, questo fu esteso anche alla guarnigione borbonica asserragliata nel castello di Termini. Il 5 giugno del 1860, tutto il personale del castello si imbarcò sull’Archimede al comando del capitano di fregata Carlo Flores, lasciando per sempre Termini dopo un lungo predominio. Sul castello venne innalzato il tricolore. In seguito, i termitani vittime dei danni causati dai bombardamenti, si scagliarono contro il baluardo, incominciando a smantellarlo pietra su pietra, affinché nessun presidio militare vi avesse trovato più ricovero.
Francesco Denaro Pandolfini, da giovane prese parte ai moti rivoluzionari del 1860, dandone un resoconto scritto nel suo: “Cronache Terminesi dell’anno 1860”, pubblicato cinque anni dopo. Ricordiamo questo patriota e letterato termitano attraverso le pagine di Ignazio Candioto nella sua “Civitas Splendidissima” (Termini Imerese). Leggenda e storia con documenti. A cura del Fascio di Combattimento di Termini Imerese e pro Opere Assistenziali. Scuola Salesiana del Libro, 1940, XII+273+7 pp.
«Mi sia concesso, prima di por fine a questi brevi note di glorie nostre, di parlare anche di Francesco Denaro Pandolfini che, apprezzatissimo e stimatissimo per il suo ingegno e per le sue opere fuori della sua, della nostra Città, in Italia ed all’Estero, non ha avuto, fino ad oggi, dai suoi concittadini, per onorarne la memoria, che la intitolazione di una strada.
Nato l’11 novembre 1843, educato nel nostro Liceo all’amore per le lettere ed all’amore di Patria, prese parte, giovanissimo, militando, si direbbe oggi, tra gli estremisti, alla rivoluzione del 1860, descritta da lui cinque anni dopo in un opuscolo che menò allora grande rumore.
Fiero della parte avuta nella redenzione della Patria “non mosse ciglio né piegò sua costa” neanche dinanzi alle minacce più gravi: disdegnoso dei mezzi termini, fu disinteressato, franco, leale ed onesto fin quasi, direi, all’assurdo.
A soli 24 anni insegnò lettere in Palermo negli istituti Margherita, Epicarmo, Veneziano e Randazzo, e fu membro stimatissimo dell’Accademia di lettere e scienze ed arti presieduta in quell’epoca dal dotto latinista Giuseppe De Spuches, Principe di Galati.
Fu intimissimo del Pitrè, di Ugo Antonio Amico, di Eliodoro Lombardo, di Salomone Marino, del Marinuzzi, di Mons. Di Giovanni, di Mons. Carini.
A causa della malferma salute, fu costretto a rinunziare ad una cattedra di liceo offertagli dal Senatore Perez, allora Ministro della Pubblica Istruzione, e più tardi, ad un posto a sua libera scelta nella biblioteca Vaticana, offertogli da Mons. Carini. Tornato in patria per la morte del padre, vi rimase: ebbe affidata la direzione didattica nelle nostre scuole e per trenta anni dedicò la sua vita alla scuola ed alle lettere. Scrittore forbito, poeta squisito, di profonda dottrina, eccelse su tutti i poeti del suo tempo con le sue versioni di latino.
Di esse, la illustre poetessa Vittoria Aganoor Pompili ebbe a scrivere all’Autore: «Queste non sono versioni, ma Ovidio, Propezio, Tibullo e Claudiano stessi che scrivono o meglio riscrivono in italiano i loro versi latini, che in italiano dicono i loro pensieri e le loro fantasie, i sentimenti favoriti della loro anima».
Ed il Prof. Romorino in «Atene e Roma» del dicembre 1904 N.ro 71-72 ebbe a scrivere: «di traduzioni in versi di poeti latini se ne pubblicano tante, ma di rado avviene imbattersi in versioni così spontanee, così veramente poetiche, come quelle che si leggono in questo libro di Saggi…
Il pregio principale di questi saggi di versioni sta non tanto nella quasi sempre riproduzione fedele del pensiero e dei sentimenti dell’Autore tradotto, quanto nella spontaneità delle frase e nella scorrevolezza armoniosa del verso.
Non ti pare di avere davanti delle traduzioni, ma di componimenti originali e di recente fattura… Già s’era fatto conoscere nella repubblica letteraria con un volume di versi originali che fu accolto con plauso dagli intelligenti come prodotto di una ricca e facile vena. Ora con questo volume di versioni ha dato la prova dei buoni studi suoi ed ha fatto vedere con quale preparazione a base di classicismo abbia egli nutrito il suo spirito».
All’amore per le Muse accoppiò quello per la sua terra e per l’Italia, e fu uno dei primi che abbe la chiara visione di quanto il Fascismo avrebbe fatto per l’Italia nostra, e nei colloqui che raramente aveva con gli intimi che lo visitavano durante la sua solitudine, mostrava la sua profonda ammirazione per il Duce che entusiasticamente raffrontava con Cesare, Napoleone e Macchiavelli.
Morì, compianto da tutta la cittadinanza e dal mondo letterario italiano, il 3 aprile 1929.
Di lui lasciò un autoritratto in un sonetto inedito che con l’autorizzazione della figlia sig.na Quirina mi piace trascrivere:
Su questa fronte crin castagno e folto,
picciolo occhio, ceruleo, vivace,
sottil corpo, bel collo, asciutto il volto,
rapido agli atti, nei disegni audace.
Nelle vesti negletto e disinvolto,
un po rude, fantastico, tenace,
sempre a schietto linguaggio il labbro sciolto,
muovo la guerra e poi desio la pace.
Pronto all’ira, al perdono, al pianto, al riso,
ama i bimbi e i poeti il genio mio,
amico ai buoni, ai farabutti inviso.
Nell’età verde amai le donne anch’io:
or delle donne alla beltà del viso
credo soltanto e sol confido in Dio.
Si ringrazia il Gen. Mario Piraino per le notizie storiche e la dott.ssa Claudia Raimondo, direttrice della biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese, per aver autorizzato, con squisita gentilezza, la riproduzione fotografica del ritratto del Pandolfini.
Giuseppe Longo
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@longoredazione