Un po’ di tempo fa durante una seduta un paziente mi dice: «… ma dott.ssa, possiamo fare sempre quello che vogliamo?» ed io rispondo: «eh … ma come sarebbe non fare ciò che vogliamo? …».
Prendo spunto da questo breve inciso per introdurre un tema in apparenza controverso e relativo alla possibilità di conciliare la propria spontaneità o naturalezza con una serie di norme e a volte ingiunzioni apprese in famiglia e nella società.
Tutti nasciamo con l’autenticità del nostro “sentire” ma poi nel corso della crescita, in parte la perdiamo.
Mi riferisco all’educazione e all’apprendimento di regole comuni per un buon vivere sociale che pur essendo necessarie, a volte si traducono nel sacrificare e/o mortificare i nostri bisogni più intimi e sani.
Nel nostro modo di stare insieme agli altri, presto impariamo che non si può fare sempre ciò che si vuole, veniamo istruiti ai “si deve”/“non si deve”, “si può”/“non si può”, “è giusto”/“è sbagliato”.
Se pensiamo ai bambini piccoli è facile associare i loro comportamenti alla spontaneità e ammirare la loro disinvoltura come emergere di quell’agire naturale, semplice ed immediato con cui assecondano i propri desideri. L’immediatezza è autenticità, ma si distingue dall’impulsività incontrollata grazie alla capacità di assumersi la consapevole responsabilità di scegliere le proprie azioni e reazioni.
Facciamo un paio di esempi: siamo sommersi dal lavoro e un familiare o un amico ci chiede di sbrigare una commissione al suo posto; di istinto o con spontaneità diremmo di “no”, che non ce la facciamo, che siamo stanchi, ma anziché assecondare il bisogno naturale di riposare cominciamo a valutare l’opportunità o meno di opporci alla richiesta, temiamo le conseguenze, pensiamo di dare un dispiacere all’altro e alla fine ci imponiamo di adempiere al compito. Un ragazzino vuole andare in gita ma ha capito che i genitori non sono d’accordo, sente dentro l’energia del suo desiderio ma pensa che chiedere il permesso sarebbe inutile, mortifica il suo bisogno di vivere quella nuova esperienza e si arrende senza lottare, rinuncia prima ancora di tentare. Tutto ciò vuol dire reprimere le proprie esigenze, non essere autentici nelle relazioni e ancor più significa dover compiacere l’altro per farsi accettare, al caro prezzo però, di rinunciare a se stessi.
La spontaneità viene bloccata quando si permette al pensiero di frapporsi tra il percepire e l’agire, come se ci fosse una mediazione mentale che sbiadisce o fa perdere la consapevolezza di ciò che si sente, conducendo ad un’espressione di sé non autentica né originaria. Questa modalità, se perpetrata e mantenuta nel tempo come schema immodificabile, non è sana e costituisce la base dell’esperienza nevrotica. La spontaneità invece è la capacità di rimanere fedeli a se stessi pur sapendo auto regolarsi nei rapporti con gli altri, con la fiducia che i propri bisogni più profondi sono buoni e con il coraggio di portarli avanti.