La guerra italo-turca. Le torpediniere italiane forzano i Dardanelli

Nel primo decennio del 1900 la sola Libia, ultimo lembo dell’Africa mediterranea, rimase incontaminata da ogni tentativo di ingerenza delle potenze europee. La Gran Bretagna già in precedenza aveva acquisito il controllo fisico di Cipro, Egitto e del Canale di Suez. Mentre, la Francia, dopo essersi impadronita della Tunisia e dell’Algeria, in continuo movimento stava fagocitando anche il territorio del Marocco. In questo quadro geografico – coloniale, l’Italia, dopo aver assopito i disastrosi eventi militari di Dogali (1887) e di Adua (1896), riprese, sotto il Governo di Giovanni Giolitti (1842-1928), le mire espansionistiche verso il continente antico.

 

Infatti, restaurate le finanze interne e rimesse in efficienza le forze armate, l’interesse nazionale fu rivolto verso la conquista della “Quarta sponda” (ossia le province ottomane della Tripolitania e della Cirenaica), che avrebbe portato l’Italia oltre a riacquisire una centralità nel Mediterraneo, rafforzare anche gli interessi commerciali e finanziari in quei territori. Una sorta di rivincita colonialista dopo le passate sconfitte in Etiopia.

L’attenzione si sveltì quando la Francia si assicurò il possesso di fatto del Marocco. Con tutto ciò, i rapporti di amicizia tra l’Impero osmanico e il Regno d’Italia si incrinarono, quando […] Il governo Giovine-Turco costituzionale in Turchia – pel quale furono fatte in Italia tante dimostrazioni di simpatia – si è mostrato sempre più ostile all’estendersi dell’influenza e della penetrazione economica dell’Italia nella Tripolitania […] (Cfr. Illustrazione Italiana 5 Novembre 1911).

Questa tensione politica tra l’Italia e l’Impero Ottomano, come vedremo, sfociò nel conflitto armato. La violenza nei confronti di cittadini italiani in Cirenaica e Tripolitania fu il casus belli che portò alla campagna di Libia.

Giacomo De Martino

Il giovane Regno sabaudo, dal canto suo preparò l’azione militare in assoluta segretezza, fin quando l’incaricato d’affari a Costantinopoli, Giacomo De Martino (1868-1957), il 28 settembre presentò al Gran Visir e Ministro degli Esteri ottomano İbrahim Hakkı Pascha (1862-1918) un ultimatum (quest’ultimo, il De Martino l’aveva ricevuto telegraficamente da Roma nella notte tra il 26 e 27).

[…] Altezza, ho l’onore di comunicarle per ordine del mio Governo che, in presenza dell’agitazione popolare che minaccia di prendere proporzioni allarmanti, il Governo italiano si trova obbligato a non poter attendere che le negoziazioni si dilunghino e domanda una risposta entro ventiquattro ore. Spirato questo termine, l’armata italiana occuperà la Tripolitania ed il territorio di Bengasi. De Martino consegnava quindi la nota scritta. La conversazione è durata tredici minuti. La nota consegnata ad Hakki-pascià non era altro che l’ultimatum, che tutti i giornali hanno pubblicato, e che si può riassumere in questa formula: «O assentiamo all’occupazione della Tripolitania e della Cirenaica da parte degl’italiani, salvo a regolare la situazione fra i due Stati ad occupazione avvenuta: o presa di possesso con le armi e guerra fra l’Italia e la Turchia: appena spirate le 24 ore» […] (Cfr. Illustrazione Italiana 5 Novembre 1911).

[…] La nota turca fu presentata ufficialmente a Roma, al ministro degli esteri marchese Di San Giuliano (Ndr. Antonino Paternò-Castello 1852-1914), dall’incaricato di affari di Turchia, nelle prime ore del mattino del 29; poi vi fu a Roma un Consiglio di ministri; e prima delle 18 il nostro ministero degli esteri diramò questo comunicato: «Non avendo il Governo ottomano accolto le domande contenute nell’ultimatum italiano, l’Italia e la Turchia sono da oggi 29 settembre alle ore 14.30 in istato di guerra. Il R. Governo provvederà egualmente alla sicurezza degli italiani e degli stranieri di qualunque nazionalità in Tripolitania e in Cirenaica con tutti i mezzi a sua disposizione. Sarà immediatamente notificato alle Potenze neutrali il blocco. Di tutta la costa della Tripolitania e della Cirenaica» (Cfr. Illustrazione Italiana 5 Novembre 1911).

Marchese di San Giuliano

Per “L’impresa di Libia” fu costituito uno speciale Corpo di spedizione al comando del Generale Carlo Caneva (1845-1922), formato da reparti organici: Reggimenti di fanteria, squadroni, batterie, compagnie del genio, di sanità e sussistenza, in totale, inizialmente, circa 34.000 uomini (1), e fortemente sostenuto dalla Regia Marina. Lo sbarco a Tripoli, delle forze italiane, avvenne in due ondate, e incontrò un’accanita resistenza da parte delle truppe turche e della cavalleria berbera, tanto che l’Italia dovette incrementare le file del proprio esercito.

Pertanto, la guerra in terra di Libia non fu una “passeggiata militare” come la stampa nazionalistica aveva titolato sulle pagine dei giornali, oppure come sovente si era conversato nei circoli militari. Ciò nonostante, le preliminari brillanti operazioni navali della nostra Marina furono salutate in Italia da un’ondata di entusiasmo e ottimismo. Soprattutto per la rischiosa, quanto fulminea operazione navale dei Dardanelli.

In realtà, sin dagli inizi della guerra di Libia, la Regia Marina che aveva il completo controllo dei mari, aveva già predisposto un piano per forzare lo Stretto dei Dardanelli. Inoltre, tentò più volte di costringere la flotta turca ad affrontare i combattimenti in mare aperto. Ma gli ottomani avevano sempre evitato lo scontro, arroccandosi al sicuro, lungo il braccio di mare che collega il mar di Marmara all’Egeo.

La flotta italiana si era spinta sino ai litorali ottomani per assicurarsi le basi d’appoggio, e di conseguenza bloccare la fascia costiera egea. Furono occupate Rodi e le isole del Dodecaneso, e il tanto desiderato piano militare per forzare l’Ellesponto, alla fine si concretizzò. Infatti, l’incursione nel Canale dei Dardanelli (Çanakkale Boğazı), fu affidata al Capitano di Vascello, Enrico Millo (1865-1930) al comando di 5 torpediniere d’alto mare: Astore, Centauro, Climene, Perseo e Spica. Proprio sul silurante Climene era imbarcato il nostro concittadino termitano Agostino Longo (1889-1967), cannoniere scelto.

Nella notte tra il 18 e il 19 luglio la formazione si spinse coraggiosamente per circa 11 miglia, all’interno del braccio di mare, giungendo sino agli sbarramenti di Costantinopoli. L’intento era quello di colpire con i siluri le grandi e pesanti navi da guerra nemiche ormeggiate nella rada di Nagara. Ma, una volta scoperte dalle vedette di sorveglianza ottomana, e nonostante l’incidente allo Spica, le nostre unità navali elusero gli energici tiri di artiglieria, invertirono la rotta e si ricongiunsero alle navi di appoggio: l’incrociatore corazzato Vettor Pisani, e i cacciatorpediniere Nembo e Borea.

L’incrociatore Vettor Pisani ormeggiato alla fonda

L’impresa italiana dei Dardanelli ebbe un grosso eco internazionale e generò delle ripercussioni in seno alla politica turca. In realtà, il Governo di Costantinopoli fu costretto a dimettersi, e si formò un nuovo governo più incline alla pace, guidato da Kiamil Pascià (1832- 1913).

Intanto, le operazioni terrestri, aeree e navali dell’Italia in Libia preoccuparono Vienna e le grandi potenze europee, circa un’eventuale ripercussione sull’equilibrio balcanico, sempre più fragile e incerto. Per questo, la diplomazia fece pressione affinché Roma e Costantinopoli concludessero le ostilità.

Tuttavia, pochi giorni prima che venisse firmato Il Trattato di Losanna (18 ottobre 1912) tra l’Italia e l’Impero Ottomano, si verificò una insurrezione che portò alla guerra la Sublime Porta, contro la Grecia, la Serbia e la Bulgaria, uniti per la prima volta nella Lega Balcanica (cui si aggiunse in seguito anche il Montenegro), per intraprendere l’indipendenza dei paesi balcanici. Il casus belli fu lo stesso come per l’Italia: i maltrattamenti dei propri cittadini. La guerra si estese a tutta la parte meridionale dei Balcani. Così iniziava la Prima guerra balcanica (8 ottobre 1912 – 30 maggio 1913), seguirà la Seconda guerra balcanica (29 giugno – 10 agosto 1913), e ambedue si conclusero con i rispettivi Trattati: di Londra (30 maggio 1913) e di Bucarest (10 agosto 1913). A questo punto, i Balcani erano diventati “una polveriera”, la Prima Guerra Mondiale stava per esplodere, ma questa è un’altra storia.

Abbiamo chiesto allo storico navale Virginio Trucco (2) di parlarci nel contesto della guerra italo-turca, dell’Impresa dei Dardanelli, e delle unità: Astore, Centauro, Climene Perseo e Spica facenti parte della 3a Squadriglia Torpediniere, che operarono nelle acque del Basso Egeo e del Dodecaneso con compiti di vigilanza e protezione del traffico nazionale.

«Nei primi giorni del luglio 1912, il ministro della Marina vice ammiraglio Pasquale Leonardi Cuttolica, il capo di stato maggiore vice ammiraglio Carlo Rocca Rey e il responsabile dell’ispettorato siluranti capitano di vascello Enrico Millo, si riunirono nel massimo segreto presso il ministero della marina a Roma, per discutere i particolari per il forzamento dello stretto dei Dardanelli e il siluramento della flotta turca, quella che sarà una delle più ardite azioni compiute da una marina da guerra.

Enrico Millo circa 1915

Lo stato maggiore della marina fin dai primi giorni della guerra, scoppiata improvvisamente il 29 settembre 1911, aveva sempre sostenuto che per costringere la Turchia alla resa occorreva colpirla al cuore del suo impero. Ma il governo aveva sempre negato l’autorizzazione, poiché l’impresa avrebbe inevitabilmente creato problemi diplomatici. Ma ora, dopo dieci mesi di guerra, con risultati militari modesti e trattative diplomatiche per la pace (dove i turchi, cercavano di ritardarle il più possibile, sperando in un intervento della diplomazia internazionale), l’operazione militare sembrava l’unica possibilità, per costringere la Turchia alla resa.

Il tutto iniziò nel lontano 1881, quando noncurante degli interessi italiani già presenti in Tunisia, la Francia la occupò militarmente e la dichiarò suo protettorato, cosa che porto l’Italia ad aderire alla triplice alleanza con Germania e Austria.

Nel maggio 1911 prendendo come spunto una rivolta contro il sultano del Marocco, la Francia inviò un corpo di spedizione, ma questa volta il Kaiser Guglielmo II, che aveva anche lui aspirazioni sulla sponda africana del Mediterraneo, inviò la Cannoniera Phanter a sostegno del sultano, il fine del kaiser era quello di ottenere una contropartita territoriale dalla Francia, alla fine i due paesi si accordarono per l’occupazione della Libia da parte della Germania.

Il governo italiano decise di impedire l’inserimento di un’altra potenza in Tripolitania e Cirenaica, vista la particolare situazione internazionale favorevole all’Italia, decise per l’invasione della Libia. Frettolosamente il 26 di settembre il governo emanò le disposizioni per la mobilitazione dell’esercito, mentre nella notte fra il 26 e 27 settembre inviò al nostro ambasciatore a Costantinopoli l’ultimatum da presentare al governo turco con scadenza alle 14.00 del 29, una vaga risposta del sultano giunse prima della scadenza dell’ultimatum, ma non ritenendola soddisfacente, l’Italia si considerò in guerra.

La flotta turca era composta da due corrazzate, 3 incrociatori protetti, 14 cacciatorpediniere e 25 torpediniere, a queste l’Italia contrapponeva 10 corazzate, 9 incrociatori corazzati, 3 incrociatori protetti, 21 cacciatorpediniere e 40 torpediniere, la superiorità navale italiana era il valore determinante per il successo della spedizione, solo il dominio del mare permetteva all’Italia di inviare uomini e materiali con continuità per la riuscita dell’impresa, preoccupante era il nucleo maggiore della flotta turca che si trovava nel porto di Beirut, anche se inferiori, avrebbero potuto creare problemi nella delicata fase degli sbarchi, tanto che quando il 19 settembre le navi lasciarono il porto, si creò una certa apprensione nello stato maggiore della marina finché non fu informato che il 28 di settembre la squadra aveva dato fondo nei Dardanelli.

Cacciatorpediniere Nembo, nella configurazione originale a due fumaioli

Il 29 settembre il Duca degli Abruzzi al comando dell’ispettorato delle siluranti, ricevette l’ordine di sorvegliare la costa albanese per impedire al nemico di uscire in mare. Allo scadere dell’ultimatum, i cacciatorpediniere Artigliere e Corazziere avvistarono e attaccarono due torpediniere turche nei pressi di Prevesa affondandone una. Il giorno dopo furono intercettati un cacciatorpediniere e una torpediniera a Igoumenitsa e dopo un breve combattimento furono affondati tutte e due, l’Austria preoccupata di un eventuale invasione dell’Albania, protestò immediatamente, tanto che il governo ordinò di cessare le azioni offensive in Adriatico. Nonostante tutto il 5 ottobre unità italiane entrarono a San Giovanni di Medua per ispezionare una nave neutrale, da terra aprirono il fuoco e le nostre navi risposero bombardando le posizioni turche. L’Austria si convinse che l’Italia mirava anche all’occupazione dell’Albania e inviò una nota, dove lamentava l’accaduto e chiese il rispetto degli accordi, pena contromisure militari, ad appoggio della nota spostò le sue navi da Pola a Cattaro. A questo punto il ministro della marina ordinò di sospendere tutte le operazioni in Adriatico.

Intanto il 28 settembre prima della scadenza dell’ultimatum si trovavano davanti a Tripoli 2 corazzate, 4 incrociatori, 2 esploratori e 6 cacciatorpediniere, il primo ottobre circa metà della flotta era schierata davanti alla città, il 3 ottobre dopo aver intimato la resa, la squadra iniziò il bombardamento dei forti Hamidiè e Sultania posti a difesa della città, all’alba del 5 le navi sbarcarono una compagnia di 970 uomini che occupò il forte Sultania e una seconda compagnia di 770 fu fatta sbarcare alle 15.00 che occupò il porto e l’abitato, subito dopo lo sbarco i marinai costituirono una linea di difesa intorno a Tripoli. Negli stessi giorni compagnie da sbarco della Marina occuparono Tobruk. Solo il giorno 13 i marinai furono sostituiti dai soldati del Regio Esercito, tornarono alle navi ma sempre pronti ad intervenire, dopo poco tempo tutte le principali città furono occupate, sempre con l’ausilio di compagnie da sbarco della Marina. Visti i pochi progressi che venivano dal fronte terrestre, il governo informò l’Austria che avrebbe portato la guerra nell’Egeo, furono così occupate alcune isole con l’assicurazione che sarebbero state lasciate a conflitto ultimato.

Il 5 novembre l’ammiraglio Revel presentò un piano per l’attacco ai Dardanelli, che ripresentò il 29 di febbraio, e ricevette l’ordine di procedere verso la metà di marzo. L’ammiraglio mise a punto tutti i particolari, la parte principale era affidata a sei torpediniere, mentre una corazzata, 3 incrociatori, un incrociatore ausiliario e due cacciatorpediniere dovevano scortare le torpediniere, all’ultimo momento si scoprì che i turchi avuto qualche sentore avevano spostato la flotta nel Mar di Marmara e intensificato la sorveglianza, un secondo attacco fu tentato nella notte fra il 17 e 18 aprile, mentre le unità maggiori si tenevano pronte ad intervenire, le siluranti si avvicinavano allo stretto, ma il mare mosso impediva di mantenere la formazione quindi l’operazione venne di nuovo sospesa, la mattina dopo la squadra italiana tentò di attirare le navi turche fuori dagli stretti, mentre 3 corazzate e 3 incrociatori si tenevano nascosti dietro l’isola di Imbros altri 3 incrociatori si portarono davanti agli stretti ma non accadde nulla, dopo due ore le navi rimaste nascoste si avvicinarono ai Dardanelli, da dove stava uscendo un cacciatorpediniere con compiti esplorativi, i tre incrociatori iniziarono ad inseguire l’unità turca, che batté in ritirata, quando le unità giunsero a circa ottomila metri dalla costa i forti ottomani aprirono il fuoco, le navi italiane risposero, lo scontro durò circa 2 ore, le navi italiani spararono 550 colpi provocando notevoli danni ai forti.

A questo punto la Turchia reagì in maniera pericolosa, chiudendo gli stretti al traffico commerciale, provocando le vivaci reazioni delle nazioni europee. I Turchi speravano che le diplomazie avrebbero obbligato l’Italia ad abbandonare l’impresa. Ma il 2 maggio 1912 le pressioni europee e soprattutto della Russia costrinsero i turchi a riaprire gli stretti. All’inizio di giugno dopo molte difficoltà si svolsero a Losanna incontri riservatissimi, ma i turchi dimostrarono di non voler giungere ad un accordo, fu così rispolverata l’idea di attaccare le navi nei Dardanelli.

Il cacciatorpediniere Borea all’ormeggio nel 1914

Dopo i colloqui al ministero, ai primi di luglio, il CV Millo lasciò Roma e a bordo dell’incrociatore Vettor Pisani raggiunse il 12 Stampalia, con la scusa di effettuare lavori idrografici nelle isole occupate. Quindi si spostò nella baia di Parthana nell’isola di Lero, dove lo aspettavano 5 delle più recenti torpediniere. Lo Spica della classe Sirio, costruita nei cantieri Schichau di Elbing (città vicino Danzica), varato il 15 luglio del 1905 con un dislocamento di 210 T era armata con tre lancia siluri da 450 mm e tre cannoni da 47mm, la potenza dell’apparato motore era di 3000 CV e le consentiva di oltrepassare i 25 nodi, fu radiata il 24 marzo 1923. Le altre 4 Perseo, Astore, Climene e Centauro appartenevano alla classe Pegaso di 18 unità. Perseo, Climene e Centauro furono costruite dai cantieri Pattison di Napoli, L’Astore dai cantieri Orlando di Sestri Levante. Dislocavano 216.5 T e avevano lo stesso armamento e velocità dello Spica. Il Perseo fu varato nel dicembre del 1905 ed affondò il 6 febbraio del 1917 nei pressi di Stromboli in seguito a collisione con L’Astore. L’Astore fu varato nel giugno del 1907 e fu radiato nel 1923. Il Climene fu varato nel maggio del 1909 e vi fu installata una caldaia a nafta, mentre quelle delle altre unità erano alimentate a carbone, fu radiato nel 1926. Il Centauro fu varato nel 1906 e il 5 novembre del 1921 si arenò nel golfo di Adalia (Turchia) andando completamente distrutto. L’operazione fissata per il 16 luglio, fu spostata al 18.

Le torpediniere scortate dal Vettor Pisani e due cacciatorpediniere lasciarono Lero alle 18.00. A loro sostegno le seguivano a distanza le Corazzate Vittorio Emanuele, Regina Elena, Roma e Napoli e gli incrociatori Pisa, Amalfi e San Marco, pronti a intervenire nel caso di un contrattacco turco. Alle 23.30 dopo che Millo aveva trasbordato sullo Spica, le torpediniere lasciarono la loro scorta ravvicinata e verso mezzanotte alla velocità di 12 nodi imboccarono i Dardanelli, poco dopo, Millo, rilevata una leggera corrente contraria aumentò la velocità a 15 nodi, diversi proiettori dei forti erano accesi, le unità italiane non furono avvistate, verso le 00.40 un proiettore del forte di Capo Helles inquadrò l’Astore seguendolo per alcuni minuti. Immediatamente venne dato l’allarme e fu aperto il fuoco sulle torpediniere, alcuni colpi caddero in prossimità delle torpediniere, ritenendo la difesa fiacca, Millo decise di continuare ad avanzare per poi decidere sul da farsi, i suoi ordini, infatti, prevedevano che se l’attacco fosse risultato troppo pericoloso l’azione doveva ridursi ad una semplice ricognizione, quindi ordinò di aumentare la velocità a 20 nodi e si avvicinò alla costa europea.

Le unità inquadrate dai proiettori navigavano sotto il fuoco nemico, diversi colpi perforarono il fumaiolo dello Spica, alcuni colpi di piccolo calibro colpirono il Perseo nello scafo e in coperta, L’Astore fu colpito due volte nello scafo e diverse altre alle sovrastrutture, ma continuavano ad addentrarsi nello stretto, dopo aver percorso circa 11 miglia dall’entrata dello stretto ed a circa 2 dagli ancoraggi turchi, lo Spica incappò in un’ostruzione di cavi d’acciaio che bloccò l’elica, dato che la batteria di Kilid Bar aveva aperto il fuoco saturando lo spazio libero dalle ostruzioni presso la punta, Millo al fine di evitare la perdita di vite umane e delle navi, non appena lo Spica fu libero e le eliche furono di nuovo in moto, ordinò alla squadriglia di invertire la rotta ed uscì dai Dardanelli, anche se l’uscita fu più difficoltosa dell’entrata, riportando solo lievi danni e nessuna perdita umana.

Il risultato militare dell’azione non fu eclatante ma ebbe effetti psicologici tremendi, i forti avevano sparato a casaccio senza vedere ne sapere contro cosa sparavano. Le navi turche erano state sorprese con i fuochi spenti e nonostante avessero acceso i proiettori non erano riusciti ad individuare le torpediniere italiane. Il governo turco fu costretto a dimettersi ed il nuovo governo fu più propenso alla pace che diede un nuovo impulso alle trattative in corso a Losanna, la pace fu firmata il 18 ottobre del 1912.

Sull’onda dell’impresa, gli inglesi tre anni dopo pensarono di porte replicare l’azione contro i Dardanelli, cosa che non si rilevò facile e portò all’insuccesso della spedizione di Gallipoli».

 

Note:

(1) L’Esercito Italiano Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico.

(2) Virginio Trucco è nato a Roma, ha frequentato l’Istituto Tecnico Nautico “Marcantonio Colonna”, conseguendo il Diploma di Aspirante al comando di navi della Marina Mercantile. Nel 1979,frequenta il corso AUC (Allievo Ufficiale di Complemento) presso l’Accademia Navale di Livorno, prestando servizio come Ufficiale dal 1979 al 1981. Già dipendente di Trenitalia S.p.A. lo storico navale Virginio Trucco è membro dell’Associazione Culturale BETASOM (www.betasom.it).

 

Bibliografia e sitografia

Enrico Corradini, “Cronache della conquista di Tripoli”, Illustrazione Italiana Anno XXXVIII n. 45 – 5 Novembre 1911.

AA.VV. Album ricordo Dardanelli 18-19 Luglio 1912, Macchi, 1913.

Navi e Marinai D’Italia. Le grandi battaglie del XX secolo. Storia della Marina.

Paolo Maltese, L’impresa di Libia, in Storia Illustrata N° 167, ottobre 1971.

Stato Maggiore dell’Esercito. “L’Esercito Italiano”, Ufficio Storico. Roma, Dicembre 1982.

Carlo Rinaldi, “I dirigibili italiani nella campagna di Libia”, Storia Militare N° 18, marzo 1995.

Hall, Richard C. “Le guerre balcaniche, 1912-1913: preludio alla Prima Guerra Mondiale”. Routledge, (2000).

Gian Paolo Ferraioli, “Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. Vita di Antonino di San Giuliano (1852-1914)”, Rubbettino, 2007.

Ferdinando Pedriali, “Aerei italiani in Libia (1911-1912)” , Storia Militare N°170/novembre 2007.

Alberto Caminiti, “Gallipoli 1915 – la campagna dei Dardanelli”, Koinè, 2008.

Paul G. Halpern, “La grande guerra nel Mediterraneo. Vol. 1 1914-1916”, Editrice Goriziana, 2009.

Giuseppe Longo 2014, “Verso il Centenario della Prima Guerra Mondiale 1914/2014”, Cefalùnews, 5 febbraio.

Giuseppe Longo 2014, “Cento anni fa scoppiava la Prima Guerra Mondiale (1914-2014)” Cefalùnews, 28 luglio.

Fabio Gramellini, Storia della Guerra Italo-Turca (1911-1912), Cartacanta, 2018.

Giuseppe Longo, “Conferenza per il Centenario della Prima Guerra Mondiale”, Società Operaia di Mutuo Soccorso “Paolo Balsamo, Termini Imerese, 24 novembre 2018.

www.marina.difesa.it

www.iwm.org.uk

www.britannica.com

https://encyclopedia.1914-1918-online.net/home/

http://www.agenziabozzo.it

Si ringrazia Angelo Casà dell’Archeoclub d’Italia Himera di Termini Imerese per il materiale fotografico inerente le Torpediniere d’alto mare Astore, Centauro, Climene, Perseo e Spica.

Si ringrazia la Prof.ssa Rosa Lo Bianco, Presidente dell’Archeoclub d’Italia Himera, Termini Imerese.

Foto di copertina: R. Nave “Vettor Pisani” – Torpediniere d’alto mare “Spica” – “Climene”, – “Perseo” – “Centauro” e “Astore”

Giuseppe Longo
giuseppelongoredazione@gmail.com
@longoredazione

 

Cambia impostazioni privacy
Torna in alto