Discorso del Vescovo Giuseppe nella festa del Santissimo Salvatore

Mia cara Cefalù,
in questa calda sera d’agosto, a conclusione della solennità della Trasfigurazione di nostro Signore Gesù Cristo, ti consegni a noi non solo con tutti i parametri della bellezza e dello splendore di una città di mare, ma anche come l’eterna culla dell’incontro di tante civiltà, di popoli e differenti culture.
Abbiamo attraversato processionalmente con la reliquia della Croce e l’immagine di Gesù Salvatore le tue vie; abbiamo visto nell’intrigo affascinante dei tuoi vicoli le tracce dello scorrere del tempo coperto dall’azzurro benedicente del cielo e del mare.
Sono stato sempre convinto che nella nostra amata Cefalù il Creatore non si sia risparmiato nel farci contemplare le opere della Sua creazione: lo fa per mezzo della maestosità di questa rocca sulla quale svetta la luminosa croce di Cristo. di quest’anno fa per noi tutti anche questa sera con una “trasfigurazione speciale” della Sua onnipotenza che ci raggiunge attraversando la via della sacralità della festa.
Permettetemi di rivolgere un saluto affettuoso ai partecipanti alla ‘ntinna a mari 2022 e al suo vincitore Giuseppe Brocato.
Anche l’uomo si fa partecipe della creazione di Dio; l’uomo che, come canta Gringoire nel Notre Dame de Paris, «con tante pietre e tanti giorni ha elevato le sue torri con le sue mani popolari». «E tutto sale su, verso le stelle. Su mura e vetrate la scrittura è architettura»: così come nella nostra amata Cattedrale che proprio ieri sera abbiamo visto “addumata” regalandoci attraverso le sue architetture uno spettacolo irripetibile. E stasera, sotto lo sguardo di questa splendida luna, pare che le stelle si affaccino a noi dagli invisibili “balconi” dell’eternità.
Gioisco nell’annunciare che nei prossimi mesi inizieranno i lavori di restauro della Cattedrale, chiesa madre di questa Ecclesia Cephalocensis.
Rivolgo ora il mio saluto alla nuova Amministrazione comunale di Cefalù nella persona del primo cittadino, il Prof. Daniele Salvatore Tumminello. A Lei, Signor Sindaco, rivolgo l’augurio di un servizio proficuo per il bene della nostra Città.
Come Pastore di questa amata Chiesa Cefaludense Le raccomando, in modo speciale, l’attenzione verso i giovani. Ella che ha fatto dell’insegnamento non solo una professione, ma una missione conosce bene le loro difficoltà e i loro desideri.
«Ora più che mai è tempo di progettare il futuro: troppi giovani lasciano la nostra Città per inseguire con tenacia e coraggio i loro sogni. Offrite loro occasioni concrete di lavoro e cercate soluzioni per trattenerli: tendete loro non solo gli orecchi, ma soprattutto le mani. Aprite il vostro cuore di padri e di madri!»: così scrivevo nella lettera indirizzata alla Città di Cefalù e ai candidati sindaci in occasione della festa della Repubblica.
Molti genitori oggi vivono l’amara esperienza di avere tra le mura di casa un figlio che appartiene alla categoria dei Neet. Quei giovani che non studiano, non lavorano e neppure cercano un impiego. In Italia, secondo l’ultimo rapporto Eurispes, sarebbero tre milioni. Un esercito di figli con accanto madri e padri che passano le notti senza dormire perché ognuno di loro ha perso la sua rivoluzione.
Ecco, stasera vorrei tanto che il mio, il nostro pensiero, la mia e la nostra preghiera a Gesù Sabbàturi avesse come destinatari specialissimi questi figli del nostro tempo. Sono giovani intelligenti, dotati di una spiccata sensibilità che forse li rende particolarmente fragili, insicuri, inquieti. Con le ali dei loro sogni spezzate: attorno a noi ce ne sono tanti.
Ancora una volta, carissimi fratelli e sorelle, vi chiedo di sognare con me perché si possa realizzare al più presto il progetto per inaugurare a Cefalù un corso di laurea in medicina. La Diocesi di Cefalù si è resa da subito disponibile per sostenere il progetto in partnership tra la Fondazione Gemelli-Giglio, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Università di Palermo.
L’impatto con la pandemia ha profondamente mutato il rapporto con il lavoro e ha evidenziato la nostra lacerante fragilità di fronte alle malattie.
Volgiamo ora lo sguardo a un orizzonte più ampio, oltre la nostra bella Cefalù: il nostro tempo, carissimi, è segnato da tante paure.
Un pericoloso pseudo-feudalesimo tenta di insabbiare la democrazia con il sorgere silente di un’ingiustizia strutturale che sta alla base delle relazioni sociopolitiche, bruciando le attese e le speranze degli onesti.
L’individualismo, per certi aspetti, continua la sua corsa: nella situazione attuale ci sono i sommersi e i salvati. Alcuni ricchi, come i gestori delle mega piattaforme digitali, sono diventati più ricchi e potenti, mettendo a rischio la democrazia; si teme l’incubo di una società della sorveglianza che può sfociare nella genesi di nuove “democrature”.
Di quei regimi politici improntati alle regole formali della democrazia, ma nei comportamenti ispirati ad autoritarismi sostanziali. Parliamo ancora di divari sociali, povertà, il ritorno dell’inflazione da analizzare non come un solo dato statistico, ma come un fattore importante che orienta comportamenti di famiglie e imprese; la consapevolezza dell’emergenza climatica, finalmente riconosciuta come priorità assoluta, causata dai modelli di produzione e dai lussuosi stili di vita partoriti dal capitalismo consumista globalizzato. Non si è riusciti ad associare, in nome dello sviluppo sostenibile, l’economia all’ecologia.
C’è ancora la guerra che, alle porte dell’Europa, ci ricorda la logica brutale dei rapporti gestiti dalla forza che prendono il sopravvento anche sulle sanzioni emanate dalle “tigri di carta” occidentali. Un modo amaro e crudele per ricordarci che la pace si fonda sulla giustizia sociale.
Tutti viviamo nella società del rischi; tutti vi siamo esposti. Questo non significa che viviamo in un mondo più pericoloso di prima. Prenderne atto non è solo un gesto di responsabilità, ma ci aiuta a non trasformare le emergenze in panico e le paure in catastrofi.
Oggi i rischi sono transnazionali come quello legato al radicale cambiamento climatico.
Ci troviamo gli uni legati agli altri al di là delle frontiere, culture e religioni. Parliamo di casa comune, di spazio pubblico mondiale: le certezze si sono trasformate in incertezze prefabbricate.
E poi succede che tutti siamo raccoglitori di lacrime nei nostri ambienti di lavoro, nelle nostre case. Non sono lacrime virtuali. Ti raggiungono, attraversano l’anima della tua coscienza. Lacrime in cui vi è la potenza del fragore della voce della sofferenza e della disperazione.
Lacrime che ogni giorno arrivano tramite le news dalla rassegna stampa.
Le lacrime dei genitori e dei fratelli di Giulia e Alessia travolti da un treno a Riccione, le lacrime di una diciottenne violentata e picchiata all’uscita di una discoteca, le lacrime della piccola Diana abbandonata in casa per sei giorni, morta di stenti.
Salvaci tu, Signore!
Nel Vangelo di quest’oggi, ci viene ricordato che Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte, su un alto monte. Possibilmente questi tre discepoli erano, tra i dodici, coloro che in quel momento stavano per smarrirsi, schiacciati da paura e sconforto. Sarà l’ascolto della Parola di Dio a ridare voce ai loro sogni, al cammino della loro vita. Impariamo da Gesù a prendere per mano i giovani che non riescono più a sognare, a sperare nel domani. Conversiamo con loro non solo e non tanto con le nostre parole, ma spezzando la Parola. Potrebbe raggiungerli e trasfigurarli, donar loro quella “Luce” che può farli uscire dal sepolcro della rassegnazione e della sfiducia.
Affido queste mie riflessioni a tutti voi perché i cuori battano all’unisono con l’orologio della storia.
Affido queste analisi al mondo della politica, al nuovo Sindaco, a tutto il Consiglio comunale perché sentano la grave responsabilità delle loro scelte.
Consegno soprattutto le lacrime a Gesù Salvatore: O Signore raccogli nell’otre della tua misericordia tutte queste lacrime e trasformale in perle di consolazione. Amen.
E allora diciamo insieme, a una sola voce: “Viva Gesù Sabbàturi!”.

Cambia impostazioni privacy
Torna in alto