Carissimi figli,
questa mattina, grazie ai mezzi di comunicazione, ho la gioia di entrare nelle vostre case. Voglio farlo in punta di piedi: me lo impone il delicatissimo momento storico che tutti stiamo vivendo. Me lo chiede la voce della mia coscienza di Pastore e Padre.
Una voce che mi esorta a fare entrare nei nostri cuori soltanto la Parola di Dio con la Sua autorevolezza, forza e sconfinata tenerezza. Facciamoci piccoli, infinitamente piccoli. La Parola di Dio ci unisce, riuscendo ad abbattere ogni forma d’isolamento sociale, di distanza e di sicurezza interpersonale che in queste ore sono tanto vitali.
Vi esorto, figli carissimi, per questa sofferta perdita temporanea del contatto fisico, della carezza, dell’abbraccio a non permettere ai nostri cuori di cauterizzarsi. Non sentiamoci abbandonati da Dio; non sentiamoci orfani. Non permettiamo all’intelligenza della nostra fede e alla nostra memoria di dimenticare quello che significa per noi essere figli di Dio. Ingabbiati tra le mura delle nostre case, stiamo facendo tutti l’esperienza di vivere in una società iper-tecnicizzata, cablata, capace di comunicare tutto in tempo reale.
Siamo tutti connessi: tutti online. Questo ci consente di essere costantemente informati, di comunicare tra di noi, di raggiungere i nostri figli, amici e parenti. È un miracolo dell’intelligenza dell’uomo che dà respiro ai nostri affetti. Adesso connettiamoci con Dio e con la Sua Parola. Poco fa l’abbiamo ascoltata.
Condividiamola. Per dare respiro alla nostra fede. Conosciamo il brano della Samaritana. Non possiamo fermarci alla semplice analisi del racconto. Saliamo un altro gradino.
Proviamo a far dialogare la Parola del Signore con il nostro presente. Con l’oggi. Ricordiamoci che la Parola di Dio è eterna e perciò ci raggiunge. L’autore del quarto Vangelo ci consegna un ritratto di Gesù tutto da scoprire. Vediamolo nei dettagli. Ne scegliamo quattro: Gesù è affaticato per il viaggio. Poi sta seduto presso il pozzo di Giacobbe. Dialoga con una donna. L’ultimo dettaglio si lega a un’ora del giorno: era circa mezzogiorno. Gesù è affaticato, stanco per il viaggio.
Agostino dice: «Arrivò stanco perché portava il peso della carne debole. Giunse al pozzo perché egli è disceso fino al fondo di questa nostra dimora»[1].
Gesù pur essendo Figlio di Dio, ha voluto sperimentare il limite della fragilità umana. «Quaerens me, sedisti lassus» (Cercandomi, ti sedesti stanco), ricorda il Dies Irae nella sua grande invocazione di misericordia, alludendo al racconto della samaritana, e continua: «Mi hai redento con il supplizio della Croce, che tanto sforzo non sia vano!».
Continuiamo a vedere la fatica di Gesù nel diuturno servizio dei tanti medici, infermieri, volontari che stanno accanto ai nostri fratelli colpiti dal COVID-19. Da Wuhan a Cologno, da Palermo a New York.
Nella foto dell’infermiera che, per la tremenda stanchezza, ha fatto di una scrivania il suo letto e di un computer il suo cuscino c’è il riflesso dell’immagine del nostro Gesù affaticato.
Elena Pagliarini sia per noi l’icona dei tanti servi per amore che come Gesù sanno donarsi senza misure, mettendo in gioco la propria vita. Sono testimonianze limpide. Con la nostra preghiera e la nostra gratitudine stiamo accanto a questa schiera innumerevole di “angeli”. Qualcuno è già un “martire” del servizio alla Vita. Proseguiamo la nostra riflessione.
Gesù è seduto ai piedi di un pozzo.
Siamo costretti a fermarci per una pausa necessaria a ritardare e, speriamo, a fermare la propagazione del virus. Sembra che il tempo sia stato sospeso, tutto si è d’un tratto fermato, lo spazio è stato circoscritto dentro le mura domestiche, l’attenzione è tutta riservata ora al bene prezioso della salute fisica.
I limiti imposti dal Governo nazionale in positivo ci danno la consapevolezza che esistono valori altri che prima non erano considerati.
La normalità diventa grandiosa come l’ossigeno per respirare.
Siamo quasi forzati a riscoprire il grande bene della famiglia e la necessità di coltivare e approfondire le relazioni interpersonali reali. Ma Gesù proprio in questa pausa cerca il dialogo per comunicarci il dono della vita. L’immagine del pozzo ci rimanda subito all’acqua che dà vita; è il simbolo della Sapienza divina che dà la vita e, quindi, dell’insegnamento di Gesù. Ci rimanda al dialogo di Dio con il Suo Popolo.
Papa Francesco ci ha detto che “anche in questi momenti Dio ci sta parlando”. Dio ci dà appuntamento al pozzo dell’esistenza per cercare e domandare quello che è essenziale per vivere.
Vi leggo un invito all’essenzialità. A compiere un viaggio di ritorno verso l’essenziale in ogni ambito della nostra vita, della fede, del nostro essere uomini, del nostro essere cristiani.
Intanto, si avvicina una donna, una Samaritana per attingere dell’acqua.
Accade qualcosa d’impensabile, di sconvolgente. Gesù rivela senza censure, il Suo vero Volto. Lo fa rivolgendosi a una samaritana, in quel contesto storico ritenuta alla stregua di una pagana. Di questa donna senza un nome, senza un’età sappiamo solo ciò che è fondamentale per poterle dare oggi la sua giusta identità, per poterla riconoscere: non sa, non conosce il dono di Dio, non conosce il Cristo.
Questa donna potrebbe essere la nostra società, non più cristiana, quasi pagana. Proprio con lei Gesù vuole dialogare. Non lo arresta lo scoglio di un passato fatto d’incomprensioni o di assenza totale di rapporti. Le inoltra un’esplicita richiesta: «Dammi da bere». In questo “imperativo d’amore” che esce dalle labbra del Cristo e che deve attraversare i fondali delle nostre coscienze, cerchiamo questa mattina di leggervi un appello che Dio ci rivolge. A partire dalla Sua Parola, acqua che zampilla per la vita eterna.
Nel «Dammi da bere» di Gesù c’è la Sua piena umanità. Tutto il Suo spogliarsi per Amore. Il Venerdì Santo risentiremo di nuovo questa richiesta “ho sete”. Noi gli daremo da bere “aceto” (cfr. Gv 19, 28-29); dal suo costato aperto, invece, scaturirà sangue ed acqua (Cfr. Gv 19,34).
E così ci ricorderemo della sua promessa: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno» (Gv 7,37). Tra poco loderemo Il tre volte santo nella preghiera del prefazio: «Il Cristo, chiedendo alla Samaritana l’acqua da bere, già aveva suscitato in lei il dono della fede e di questa fede ebbe sete così grande da accendere in lei il fuoco dell’amore di Dio»[2].
«Dammi da bere»: è un grido che ci indica la prospettiva dalla quale bisogna ripartire; una prospettiva che sappia declinare scelte legate alla vita come dono d’amore.
In queste ore così difficili il è anche il grido dei nostri ammalati colpiti dal virus, degli anziani, dei bambini, dei poveri, delle persone più fragili, avvolti da tristezza e angoscia. A loro diamo l’acqua della testimonianza della nostra preghiera che narra la nostra fede e che dà voce alla speranza. Non priviamoli di quest’acqua viva.
Era circa mezzogiorno.
Dell’incontro tra la Samaritana e Gesù è riportata l’ora: era circa mezzogiorno. Era l’ora del caldo; il sole picchiava. C’era il peso della stanchezza, si cercava ristoro. Quel mezzogiorno, per noi è l’ora della pandemia.
Un infuocato virus invisibile vuole bruciare la vita. Sentiamo nel picco di questa indescrivibile desertificazione della vita e del tempo l’arrivo di Gesù con la sua Parola.
Corriamo tutti ai piedi di Gesù: come i samaritani di duemila anni fa supplichiamoLo di rimanere con noi.
Per vedere in Lui il Salvatore del mondo.
Concedi, o Dio, all’Umanità intera, la samaritana del terzo millennio, di credere nella Tua Parola. Questa nostra preghiera la consegniamo a Maria Santissima di Gibilmanna, Patrona della nostra Diocesi.
Al cuore di questa Mamma che è la Regina dell’Universo: la Madre che governa col cuore e che vuole la salvezza di tutti i suoi figli.
✠ Giuseppe Marciante
Vescovo di Cefalù
[1] Agostino, Tractatus in Iohannem, 15,9.
[2] Messale Romano, Prefazio della III Domenica di Quaresima