Caro San Giuseppe,
è la prima volta che mi accingo a scrivere una lettera a un santo. Ti confesso che nel farlo non vivo alcuna forma di disagio. Come nelle preghiere ho deciso subito di darti del “tu” senza alcun esplicito o formale permesso. Quel “tu” che azzera ogni possibile distanziamento sociale, o meglio, ecclesiale tra il Cielo e la terra. Tra la tua meritata aureola e la mia povertà. Tra noi di quaggiù e voi tutti di lassù.
Sarà perché mi sei stato accanto fin dal primo vagito: portiamo lo stesso nome. E poi, mamma e papà hanno scelto che fossi battezzato il 19 marzo, il giorno della tua festa; un modo semplice e bello per affidarmi alla tua protezione.
Da bambino sei stato il primo santo che ho conosciuto: al catechismo, a casa, a scuola mi parlavano, ci parlavano sempre di Te come lo sposo di Maria e il padre putativo di Gesù.
Ricordo ancora quel delicato imbarazzo, unito a quel rossore “chiazzato”, che faceva capolino sul viso delle “signorine” catechiste alle domande sul vero significato dell’aggettivo putativo che ti faceva eterna compagnia.
La tua paternità biologica per qualcuno è rimasta incastonata tra gli scogli degli orizzonti soltanto umani.
È stata ostruita da quell’annuncio che ha allargato gli orizzonti della tua paternità: «Il bambino che è generato in Lei viene dallo Spirito Santo». (Mt 2,20). In realtà si è trattata di un’ostruzione tiepidamente provvisoria.
È stata solennemente rimossa dalle invisibili mani dello Spirito Santo che hanno sapientemente guidato quel bisturi che tu, caro San Giuseppe, custodivi nel cassetto della tua coscienza: l’essere un “uomo giusto”.
L’esatta canalizzazione del cuore della tua paternità è stata possibile e senza alcun intoppo per la tua pronta e sfolgorante ubbidienza: quando ti svegliato dal sonno, hai fatto come ti aveva ordinato l’angelo del Signore. Una rimozione che ha generato delle espansioni e dilatazioni sconfinate, impensabili. Da padre putativo del Bambino Gesù sei diventato per noi tutti il padre della Divina Provvidenza, il patrono e custode della Chiesa cattolica, il protettore degli sposi e dei papà. Quell’epiteto “putativo” oggi sembra diventato obsoleto. Ma invece ha avuto il suo “riscatto”. Un meritato “riscatto” che Papa Francesco vuole farci riscoprire e comprendere in pienezza con l’indizione di un anno speciale tutto dedicato a Te. Per una riscoperta della tua identità. Del tuo continuare a stare in mezzo a noi da lassù. Dobbiamo imparare a conoscerti per quello che sei veramente.
A partire dal guardare il tuo cuore di padre. Ed è a questo tuo cuore che inoltro questa lettera con le richieste che ne seguiranno.
Prima però vorrei ancora percorrere con Te, caro San Giuseppe, un altro tratto della galleria dei ricordi che ci legano.
Possibilmente e soprattutto quelli che mi hanno permesso di sbirciare con gli occhi di un bambino dentro il tuo cuore di padre.
L’ho incrociato tenendoti “tra le mani”, ogni anno. Precisamente quando insieme a papà Ernesto ai fratellini e alle sorelline preparavamo il nostro modesto presepe. Tu non eri per noi una semplice e colorata statuetta d’argilla: eri un attore principale.
Con una postazione inamovibile: accanto a una culla e di fronte a Maria. Un modo simbolicamente eloquente per insegnarci che ogni paternità guarda la maternità e viceversa. Sono inscindibili. Una contemplazione biunivoca.
Ti ho conosciuto anche come il padre dei lavoratori. Nei e dai tanti quadri che incorniciavano la tua immagine nelle diverse botteghe della mia Catania. Dal fruttivendolo, al tabaccaio, al sarto. Dal calzolaio, al falegname, al fabbro c’eri Tu: stempiato, i capelli lunghi e una folta barba bianca. Qualche ruga e occhi stanchi, ma spalancati, anzi sgranati.
C’eri Tu perché il padre della Divina Provvidenza. Sotto il quadro vi stava una piccolissima lampadina sempre accesa.
Ti sto scrivendo caro San Giuseppe, volutamente alle porte della festa che ti ricorda come “il lavoratore” e protettore dei lavoratori. Nel giorno di quest’altra festa che ti appartiene, comprendi bene che ogni preghiera che troverai in quest’epistola è sottoscritta anche da chi ha un lavoro, da chi lo cerca, da chi lo ha perso. Tutti veniamo a Te. Con le nostre lampade accese.
Tra le mura di casa ho imparato che raggiungiamo e sperimentiamo la bellezza della tua inossidabile paternità con la preghiera. Aleggia un altro prezioso ricordo. Nei giorni della novena a Te dedicata di fronte alla tua icona ornata di arance e limoni a chiedevamo grandi e piccini pane, salute e pace. Un affidamento filiale e fiduciale. Una supplica che mai sfiorava la lamentazione anche nel grido disperato di quanti allungavano con l’acqua i sughi delle minestrine pur di riempiere i piatti di tutti.
A distanza di tanti anni, in questo tempo buio della pandemia ritorno a bussare al tuo cuore di padre. Lo faccio accanto ed insieme a quell’esercito sconfinato di lavoratori e di papà che hanno dovuto tristemente abbassare le saracinesche dei loro negozi, dei ristoranti, dei bar, degli alberghi. Del loro lavoro. A quanti hanno dovuto togliere le tende del loro “pane” dai nostri mercati, dalle nostre piazze.
Per molti si tratta di tende e saracinesche chiuse da più di un anno. Con riaperture brevissime che mi ricordano il cucchiaino d’acqua posato sulla bocca del malato agonizzante. A tanti restano le ultime briciole di pane e le ultime gocce d’acqua per sfamare e dissetare moglie e figli. Troppi devono pagare senza fatturare, tanti soffrono in silenzio, tanti scendono nelle piazze.
Tu, caro padre San Giuseppe, hai già ascoltato il grido e raccolto le lacrime di tanti papà, mamme, figli e figlie al tempo della seconda grande guerra. Delle grandi guerre, delle carestie, delle schiaccianti crisi economiche.
Riascolta il grido di chi oggi si sente dimenticato nel combattere questa nuova guerra tra le tenebre, al buio. Perché ci troviamo a lottare contro un nemico diverso, un “Erode invisibile” che ci nasconde il suo volto. Ma che spara addosso, lascia feriti, toglie la vita.
Ci toglie il pane, ci ruba la pace. Ci porta alla disperazione.
Fa’ che il tempo della pandemia ci desti dal sonno dell’egoismo, del perbenismo, dell’onnipotenza umana.
Una notte di migliaia e migliaia di anni fa Tu ti sei alzato. Hai preso con te Gesù e sua Madre e sei scappato da un Erode che voleva uccidere la vita.
Eccoti la nostra ultima preghiera: Tu che conosci anche nella notte le vie della salvezza, della vita, indicaci la via da percorrere per ritrovare la vita. Quella vera che appartiene agli uomini giusti e dalla fede autentica e incrollabile, della quale tu sei e sarai padre e modello per sempre. Se ci siamo allontanati da essa, Ti prego, fa’ che guardando a te con occhi nuovi possiamo ritrovarla e percorrerla con il passo della sinodalità.
Tuo.
Giuseppe