Antonio Gussio: il tipografo di Cefalù, una vita dedicata alla città e alla sua famiglia

Antonio Gussio, conosciuto da tutti come “il tipografo di Cefalù”, è stato una figura centrale della vita sociale, culturale e familiare della città. Nato il 2 novembre 1915, da Giuseppe e Maria Di Stefano, Antonio ha vissuto una vita segnata da eventi storici, passioni personali e un amore incondizionato per la sua città natale. Il suo nome è legato a una professione artigianale che, nel corso degli anni, ha rappresentato un simbolo di tradizione, di cultura e di impegno per Cefalù e per la sua comunità. Un uomo che ha visto la sua città trasformarsi, ma che ha saputo mantenere vive le radici della sua identità attraverso il lavoro, la famiglia e la passione per la storia locale.

Le origini e la giovinezza

Antonio Gussio nacque a Cefalù il 2 novembre 1915, il quinto di sette fratelli, in una famiglia che, pur non vivendo nel lusso, aveva forti legami con il territorio e con i valori tradizionali. Suo padre, Giuseppe, era un tipografo, ma anche un uomo con una grande passione per l’insegnamento della fisica e per lo sport, oltre che un amministratore comunale. Sua madre, Maria Di Stefano, era una donna di casa dai bei boccoli neri, una figura di riferimento per tutta la famiglia, sempre dedita ai suoi figli e alla gestione domestica. La famiglia Gussio era dunque una famiglia benestante per gli standard dell’epoca, ma non certo una famiglia di grandi ricchezze. Tuttavia, Antonio fu cresciuto con un forte senso di responsabilità, di lavoro e di impegno verso la comunità.

Sin da piccolo, Antonio manifestò interesse per i mestieri artigianali e per il lavoro manuale. A 19 anni, nel 1934, decise di intraprendere la carriera militare, arruolandosi nell’esercito italiano. La sua destinazione fu la caserma di Giaveno, un piccolo paese vicino a Torino, dove si unì alla divisione di artiglieria. La Seconda Guerra Mondiale, però, segnò la sua vita in modo indelebile. Antonio partecipò alla guerra e fu fatto prigioniero in Sudafrica, dove trascorse un periodo difficile e traumatico. Le esperienze della guerra lo segnarono profondamente, e per molti anni soffrì di incubi notturni ricorrenti, che gli ricordavano le difficoltà vissute durante quei terribili anni.

Il ritorno in Italia nel 1945 segnò una nuova fase della sua vita. Nonostante il trauma della prigionia, Antonio trovò la forza di riprendersi e di tornare alla sua vita civile. Negli anni successivi, decise di cercare la stabilità familiare e lavorativa, convinto che una famiglia fosse il fondamento per costruire una vita sana e serena.

L’incontro con Agostina Monteleone

Nel 1947, durante un congedo dal servizio militare, Antonio rientrò a Cefalù, dove incontrò Agostina Monteleone, che tutti chiamavano “Albina”. Albina, figlia di un caposquadra delle ferrovie, viveva vicino al casello ferroviario, un luogo che divenne simbolico per la loro storia. Dopo un periodo di conoscenza, Antonio e Agostina si sposarono il 3 gennaio 1948 nella chiesa del SS. Salvatore alla Torre, il luogo che sarebbe rimasto legato alla loro vita matrimoniale e familiare.

La loro unione fu coronata dalla nascita di due figli: Maria Rosa, nel 1948, e Clelia, nel 1957. La piccola Maria Rosa, battezzata nella chiesa in cui i genitori si erano sposati, divenne il centro affettivo della loro vita familiare. Il matrimonio tra Antonio e Agostina fu contraddistinto da una profonda complicità e amore, con Antonio che si dedicò con impegno alla crescita della sua famiglia, e Agostina che si occupava della casa e dei figli.

Nel corso degli anni, il matrimonio tra Antonio e Agostina divenne simbolo di stabilità e affetto, con un grande rispetto reciproco e una dedizione senza pari alla famiglia. La loro casa fu sempre un punto di riferimento per i figli e per i nipoti, una casa dove l’amore per Cefalù e per le sue tradizioni veniva trasmesso di generazione in generazione.

La carriera professionale: la tipografia e l’artigianato

Nel 1949, dopo il congedo definitivo dal servizio militare, Antonio tornò a Cefalù e subentrò alla tipografia di suo padre, Peppino Gussio, che aveva fondato la tipografia nell’ottocento. Questa attività, che per molti anni aveva rappresentato un importante punto di riferimento per la comunità cefalutana, divenne il centro della sua vita professionale. Antonio prese in mano l’attività con passione e dedizione, continuando a stampare manifesti, partecipazioni per matrimoni, cerimonie, e materiali per la curia vescovile di Cefalù.

Il lavoro in tipografia divenne il principale mezzo di sostentamento per Antonio e la sua famiglia. Nonostante le difficoltà economiche e sociali degli anni, Antonio riuscì a mantenere viva la tradizione della tipografia e a portarla avanti con passione e competenza. La sua attività fu un punto di riferimento per tanti, e la tipografia divenne un simbolo di qualità e affidabilità per tutta la cittadina.

Nel 1959, la morte del padre Peppino lasciò Antonio da solo a gestire l’attività di famiglia. Nonostante il dolore per la perdita, Antonio si prese cura della madre e della sorella, che vivevano con lui e con la sua famiglia nell’appartamento sopra la tipografia. La tipografia di Antonio Gussio divenne il cuore pulsante della sua vita, e il suo impegno nella cura della tradizione tipografica locale lo rese una figura rispettata nella comunità.

Il trasferimento in Piemonte

Nel 1971, la famiglia Gussio si trasferì in Piemonte, nella città di Arona, sul lago Maggiore. Maria Rosa, ormai adulta e sposata, aveva deciso di stabilirsi nella regione insieme al marito, e Antonio e Agostina decisero di seguirla, lasciando Cefalù per intraprendere una nuova fase della loro vita. Antonio si ritirò dalla gestione della tipografia, che passò nelle mani del fratello Salvatore, e si dedicò alla famiglia e alla vita in Piemonte.

La nuova vita a Arona non impedì ad Antonio di tornare a Cefalù ogni estate. Sebbene la malattia di Parkinson avesse iniziato a minare la sua salute, Antonio continuò a mantenere vivi i suoi ricordi e la sua passione per la città natale. Le visite estive a Cefalù diventarono momenti di nostalgia e riflessione per lui, che con dolore osservava il cambiamento della sua città, sempre più lontana dalla Cefalù che aveva conosciuto nella sua giovinezza.

La malattia e la fine di un’era

Nel 1990, la malattia di Parkinson iniziò a progredire e a rendere la vita di Antonio sempre più difficile. Nonostante ciò, Antonio non smise mai di camminare, di passeggiare lungo il lago Maggiore o tra le colline piemontesi. Il suo spirito rimase forte fino agli ultimi giorni della sua vita, quando una breve malattia lo portò a entrare in coma il 13 giugno 2003. Tre giorni dopo, il 16 giugno, Antonio Gussio si spense, lasciando un vuoto incolmabile nella sua famiglia e nella comunità di Cefalù. La sua morte avvenne in silenzio, come lui stesso aveva vissuto, con il sorriso tra le labbra e un segno di saluto, senza mai voler essere di peso.

L’eredità di Antonio Gussio

Antonio Gussio ha lasciato un’eredità che va al di là della sua professione di tipografo. La sua vita è stata una testimonianza di dedizione alla famiglia, alla comunità e alla tradizione. Come artigiano, come padre e come cittadino, Antonio ha contribuito in modo significativo alla storia di Cefalù. La sua passione per la sua città, per la sua famiglia e per il lavoro ben fatto è un esempio per tutti.

Oggi, la memoria di Antonio Gussio vive nei ricordi di chi lo ha conosciuto e nei racconti di chi ha avuto la fortuna di apprezzare il suo impegno e la sua dedizione. La sua vita ci insegna che l’amore per le proprie radici, per la propria famiglia e per il proprio lavoro può diventare un motore di crescita e di bellezza, non solo per sé stessi, ma anche per le generazioni future.


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