Luglio 1943, bombe su Termini Imerese

Nella notte tra 9 e il 10 luglio di 75 anni fa ebbe inizio lo sbarco anglo-americano in Sicilia. L’imponente intervento aero-navale, anticipato dal lancio di paracadutisti, chiamato in codice “Operazione Husky” segnò il primo passo per l’invasione della penisola italiana. Fu a Casablanca, in Marocco che si decise di attuare il piano per lo sbarco sulle coste siciliane, durante la segretissima Conferenza di Casablaca, chiamata in codice “Symbol” a cui parteciparono i Capi di Stato Maggiore Alleati. Tuttavia, prima del grande sbarco in Sicilia, gli inglesi, attraverso l’Operazione Corkscrew (un’azione militare preliminare che avrebbe dovuto occupare Pantelleria e l’arcipelago delle Pelagie per costituire una testa di ponte per la Sicilia) avevano iniziato sin dal maggio 1943 a bombardare le isole di Pantelleria e le isole Pelagie (Lampedusa, Linosa e Lampione). I bombardamenti si erano poi intensificati maggiormente a partire dal giorno 8 giugno, soprattutto sull’isola di Pantelleria, rilevante centro di osservazione posto nel mezzo del Canale di Sicilia, colpendo l’importante aeroporto in località Margana. Il giorno 11 giugno l’isola di Pantelleria capitolò e la stessa sorte toccò a Lampedusa il giorno seguente. A seguire Linosa il 13, e Lampione il 14 giugno; a questo punto il Canale di Sicilia era interamente sotto il controllo anglo-americano. Lo sbarco Alleato avvenne la mattina del 10 luglio nella zona sud-orientale della Sicilia: nel Golfo di Gela e nel Golfo di Noto, e coinvolse rispettivamente la 7ª Armata statunitense al comando del generale George Smith Patton, e l’8ª Armata britannica comandata dal generale Bernard Law Montgomery, complessivamente circa 160.000 uomini. La difesa dell’Isola era affidata alla 6ª Armata al comando del Generale Alfredo Guzzoni e comprendeva alla vigilia dell’invasione, circa 200.000 militari italiani e circa 30.000 soldati tedeschi. Gli inglesi occuparono velocemente Siracusa, ma furono arrestati il 18 luglio nei pressi di Catania, mentre gli statunitensi avanzando verso nord-ovest, conquistarono Palermo il 22 luglio; poi, i soldati a stelle e strisce, continuando lungo la costa settentrionale e muovendo verso la città di Messina, la occuparono il giorno 17 agosto. Però sin dall’11 agosto il Generale Hans Valentin Hube, inviato in Sicilia dal comando supremo tedesco e subentrato al Generale Guzzoni, aveva dato disposizioni per l’evacuazione dell’Isola. In realtà Hube, allestì un’efficace ed agile difesa e permise attraverso l’Operazione Lehrgang, lo spostamento in Calabria delle unità italo-tedesche e i relativi rifornimenti, utilizzando ogni tipo di imbarcazione per attraversare lo Stretto di Messina. L’Operazione Husky, una delle più importanti operazioni anfibie dell’intero conflitto per la conquista della Sicilia e l’inizio della campagna d’Italia si concluse pertanto con la resa di Messina il 17 agosto 1943, dopo 38 giorni di guerra.

Abbiamo chiesto al ricercatore storico militare Donaldo Di Cristofalo (1) di parlaci in che maniera la città di Termini Imerese fu coinvolta nell’Operazione Husky, e che vide il 22 luglio la presa di Palermo (città, munita di un rilevante porto per il controllo della costa settentrionale della Sicilia), per opera della 3rd Infantry Division, e appunto Termini Imerese importante snodo viario e acqueo verso l’entroterra, occupata dai soldati della 45ª Divisione americana, quel lontano venerdì del 23 luglio 1943.

«Oggi, 12 luglio di 75 anni fa, quel 1943 in piena Seconda Guerra Mondiale, per la nostra Città cominciavano quattro giorni di bombardamenti e mitragliamenti aerei che avrebbero portato morte e distruzione, proiettando una popolazione già impaurita e prostrata da privazioni e sfollamenti a guardare in faccia il volto della guerra.

Una guerra che già da tempo aveva cominciato a coinvolgere anche la popolazione civile, con bombardamenti non più mirati solo alla distruzione di obiettivi strettamente militari, ma diretti anche sul tessuto urbano delle città, nel tentativo di terrorizzare la gente e fare implodere il regime fascista.

Si dibatte ancora su chi abbia cominciato questo tipo di guerra, gli Inglesi o i Tedeschi, di fatto tutti i contendenti si adeguarono presto ad una strategia del coinvolgimento totale delle nazioni belligeranti, una distruzione indiscriminata che doveva accelerare la conclusione del conflitto, chiunque fosse a vincerlo. Altrettanto dibattuto è il giudizio sull’utilità di tale approccio ai risultati finali della guerra, fino all’utilizzo della bomba atomica in Giappone. Di certo, all’impressionante numero di caduti nei campi di battaglia, si aggiunse quello non minore di vittime civili inermi, per non dire delle distruzioni che sconvolsero l’aspetto degli agglomerati urbani, in alcuni casi ancora visibili dopo tre quarti di secolo.

Termini Imerese, con la sua posizione di snodo stradale, ferroviario, portuale, non mancò di interessare i pianificatori della campagna aerea Alleata, specie in vista della programmata invasione. Eppure, alla luce di quello che accadde nel resto dell’Isola, delle vittime e delle distruzioni operate nelle principali città siciliane, così come in centri minori, la nostra Città subì offese minori, un numero di vittime statisticamente irrilevante, pur nella drammaticità di ogni singola morte, di ogni singola distruzione.

Come non ricordare Palermo, il cui centro storico adiacente al porto fu sostanzialmente raso al suolo. Il 9 maggio 1943 il capoluogo regionale subisce un vero e proprio bombardamento a tappeto, con la morte di 373 persone, il ferimento di oltre 400 ed estese distruzioni. I termitani vissero tale nefasta giornata, osservando ed udendo le centinaia di aerei statunitensi che, sorvolando la nostra città, si diressero su Palermo da una direzione inedita, che colse di sorpresa le difese antiaeree.

Il successivo 11 maggio, un centro minore come Marsala, subì un analogo bombardamento, ma i morti furono oltre mille, un macabro primato nazionale nel rapporto tra abitanti e vittime.

A Termini Imerese il numero delle vittime, tra morti e feriti, non è dato certo, con una fonte che lo fa ascendere a 36, con una decina di abitazioni civili distrutte o fortemente danneggiate. Ripetutamente colpiti il porto, le banchine, le attività industriali ivi presenti (Mormino), la stazione ferroviaria e la strada nazionale.

In tutto è stato possibile ricostruire 8 incursioni aeree aventi come obiettivo Termini Imerese, la prima il 14 giugno 1943, ad opera di velivoli inglesi decollati da Malta, l’ultimo il 18 luglio 1943, da parte di cacciabombardieri USA con base in nord Africa.

Tra lunedì 12 luglio e la notte sul 14, sulla Città si alternano cacciabombardieri e bombardieri (B-25) americani che colpiscono un piccolo convoglio navale, poi il porto, ed infine l’abitato. La distribuzione dei colpi inferti è tale da ritenere che gli equipaggi mirassero ad obiettivi militari o di importanza logistica (porto e stazione in primis), ma che la scarsa accuratezza dei lanci abbia infine coinvolto edifici civili.

Il 23 luglio, con l’arrivo delle truppe statunitensi, Termini Imerese esce dagli elenchi dei pianificatori Alleati come bersaglio. Potrebbe diventarlo a parti invertite per Tedeschi ed Italiani, cosa che accade per Palermo (limitatamente al porto), ma fortunatamente ciò non succede, se non per un singolo siluramento di una nave da sbarco USA poco fuori dal porto, ad opera di un aereo italiano. Ma questa è un’altra storia».

(1) Donaldo Di Cristofalo: Geologo, vive e lavora a Termini Imerese (PA). Ha cominciato a volare con gli ultraleggeri per poi transitare in Aviazione Generale, prendendo il “brevetto” di II grado all’Aero Club di Palermo e mantenendolo in attività per cinque anni circa. Adesso si accontenta di qualche sporadico volo in ULM, di divorare riviste e libri e di frequentare, ovunque possibile, manifestazioni aeree. (www.vocidihangar.it).

Foto a corredo dell’articolo: Termini Imerese, Stabilimento Zolfi Mormino, bombardamento 12 o 13 luglio 1943. Ph. Pasquale Mormino.

Giuseppe Longo
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@longoredazione

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