La Chiesa Madre di Montemaggiore Belsito è la basilica di Sant’agata che si trova in Piazza della Basilica. E’ intitolala alla patrona del paese ed è stata innalzata al rango di Basilica minore nel 1802 da Mons. Mercurio Teresi. Le origini della chiesa risalgono al 1600 circa. Su alcuni suoi ruderi, infatti, è stata costruita l’attuale che oggi è a croce latina a tre navate, sormontata da una grande cupola. Ad erigerla il marchese Ignazio Migliaccio adiacente alla preesistente chiesa dell’Oratorio. All’esterno della basilica si trova lo stemma della famiglia Migliaccio con i rami di miglio e la corona di marchese. La Chiesa è stata ristrutturata nel 1979.
All’interno della Basilica si possono ammirare alcune tele. Tra le più antiche il quadro della Madonna degli Angeli risalente al XVI secolo e la tela che raffigura il Crocifisso con le Anime Sante del Purgatorio che risale al 1628 ed è attribuita a Vincenzo La Barbera. La tela che raffigura la Sacra Famiglia con Sant’Anna e San Gioacchino, invece, risale al XVIII secolo ed è attribuita a Filippo Randazzo. Dello stesso secolo sono la tela che raffigura la Madonna con Bambino e San Gaetano da Thiene e quella dell’Annunciazione. Molto interessante è l’immagine in marmo della Madonna dell’Udienza risalente al 1629 attribuita alla scuola gaginesca. Nella stessa basilica si trova un prezioso Crocifisso ligneo che recenti studi filologici hanno fatto risalire al periodo rinascimentale. In un sarcofago marmoreo nel transetto della Chiesa, infine, vi sono le spoglie mortali di Mons. Mercurio Maria Teresi, già Parroco di Montemaggiore suo paese natale ed Arcivescovo di Monreale, di cui è ad oggi in corso il processo di beatificazione. All’interno ella Basilica uno storico fonte battesimale risalente al 1673, un altare barocco in legno e specchi dedicato a san Giuseppe ed statua lignea del 1748 che raffigura San’Agata la patrona della città.
Di recente è stato trovato un telo quaresimale alto quindici metri e largo nove. Sarebbe uno dei più grandi di cui si ha notizia nel palermitano, secondo solo a quello di ‘San Domenico’ a Palermo. Risalente alla prima metà del 1700 è attribuito a Filippo Randazzo. La tela è semi trasparente ed ha una lunghezza pari all’altezza di un palazzo a 5 piani. E’ di olio su una pesante trama di lino e la scena raffigura il momento della deposizione. Raffigura il Cristo deposto dalla Croce con l’Addolorata e, ai lati, le figure dei dolenti: San Giovanni, Maria Maddalena, Veronica e Giuseppe D’Arimatea. Più in basso si trovano i simboli del martirio e del sacrificio: i chiodi ed il martello della deposizione, la corona di spine e un porta-balsamo per la mistura di mirra e d’aloe, il sudario. Al centro della tela la Madre con il Figlio morto posto amorevolmente sul suo grembo e adagiato sul telo funebre di lino. Sullo sfondo uno scorcio della città di Gerusalemme vista dal Golgotha e alberi d’olivo sul lato opposto.
Altri dettagli simbolici che si trovano in questo telo quaresimale sono un bacile e un pezzo di tela per tergere il corpo del Cristo crocefisso. Probabilmente s’intravede tra gli oggetti la spugna per la Posca (la mistura dissetante di acqua e aceto) che un pretoriano porse a Gesù sulla Croce. Nella metà superiore c’è una lunga croce circondata dalle nubi che si squarciano nel cielo. A destra e a sinistra, vicino alle estremità dei bracci corti, vediamo due gruppi di teste di puntini alati, rispettivamente di tre e due elementi. La raffinatezza della pittura che si nota in tutti i suoi dettagli, si riscontra per esempio nel particolare che evidenzia i quattro chiodi che uniscono i bracci della grande croce. E ancora finezza, nei bei decori e abbellimenti, tutt’intorno al perimetro della pittura. La grandissima tela pittorica è visibile per tutta la Settimana Santa e poi nella notte di Pasqua è calata per disvelare l’antica statua del Cristo risorto al tocco delle campane slegate.
Era tradizione stendere questa tela nella chiesa Madre Basilica di fronte all’altare, nel transetto centrale. Legata con robuste corde, grosse pietre nella parte inferiore la tenevano distesa e non la facevano ondeggiare eccessivamente alle correnti d’aria. Nella notte di Pasqua il sacrista, dopo le celebrazioni di rito e nel momento topico della Resurrezione, slegava le cime che la tenevano sospesa e il tutto cadeva giù quasi come una cortina o un sipario. La rappresentazione del Cristo deposto dalla croce lasciava il posto alla Luce del cero pasquale e alla Resurrezione, al simulacro del Cristo risorto che in quel momento si disvelava nuovamente. L’ultimo dei parroci (1913-1949) che permise tale rito fu mons. Raffaele Arrigo che lo sospese per il rischio e il trambusto nel momento della “calata di la tila” così era detto l’evento. (Cfr: “Il Velario quaresimale della Basilica Minore Sant’Agata di Montemaggiore Belsito: ‘a calata di la tila” di Santi Licata)