Prima Guerra Mondiale: Le “battaglie di materiali” – settembre 1916, gennaio 1917

Nel corso della Prima Guerra Mondiale, sul fronte occidentale, l’anno 1916 fu contrassegnato da violente e sanguinose battaglie; si ricordano quella di Verdun (21 febbraio – 19 dicembre), combattuta tra la Francia e la Germania. La Strafexpedition (15 maggio), sferrata dagli austriaci che sfondarono il fronte ad Asiago. La battaglia navale dello Jutland, che vide contrapposta nelle acque del Mare del Nord, la flotta inglese e tedesca. La vittoriosa controffensiva italiana (16 giugno) che fece fallire la “spedizione punitiva” austriaca. E ancora, lungo la frontiera orientale italo – austriaca, le battaglie dell’Isonzo: una serie di combattimenti (quinta, sesta, settima, ottava e nona battaglia) iniziate già il 23 giugno dell’anno precedente. Ed anche sul fronte occidentale, la battaglia della Somme (1 luglio-18 novembre) una tra le più lunghe della Grande Guerra, e la più cruenta della storia in termini di vite umane. Essa si svolse in un’imponente serie di offensive sferrate dagli anglo-francesi, per tentare di sfondare le linee tedesche. E proprio in questa battaglia, per la prima volta, apparvero per mano inglese i carri armati che furono lanciati verso le trincee nemiche. In ambito aeronautico, il 1916 vide il dirigibile protagonista sui cieli dell’Inghilterra meridionale. Tuttavia, nella notte tra il 2 e 3 settembre si registrò un triste episodio: l’abbattimento del dirigibile tedesco “Schütte-Lanz SL11”, comandato dall’Hauptmann Wilhelm Schramm e la perdita dell’intero equipaggio. Il 17 settembre l’ufficiale di cavalleria Manfred Albrecht von Richthofen (ricordato con l’appellativo di “barone rosso”), ottenne la sua prima vittoria omologata. A grandi linee, l’aereo continuava a essere il mezzo di osservazione per buttare il suo “occhio” al di là delle trincee nemiche. In realtà, dopo la nascita di due specializzazioni dell’aeronautica: i ricognitori e i bombardieri, comparve anche l’aereo da caccia, che ebbe il compito di impedire azioni di disturbo da parte di ricognitori, bombardieri e degli stessi caccia nemici. Tra le file italiane l’Ufficiale pilota Pier Ruggero Piccio, il 18 ottobre, conseguì la sua prima vittoria, abbattendo un Draken (pallone frenato); mentre Francesco Baracca, il 28 dicembre conquistava la sua quinta vittoria, ottenendo in questo modo l’iscrizione nell’Albo degli Assi. Però, oramai, era evidente che sul campo di battaglia gli scontri assumevano un carattere ostile, pertanto si verificò una netta trasformazione di condotta. Infatti, da una guerra di movimento si passò a una guerra di posizione. Di conseguenza, affinché venissero superate le limitazioni originate dalla guerra di trincea, fu adottata la tecnica della “battaglia di materiali”, consistente in prolungati e intensi bombardamenti d’artiglieria al fine di indebolire la difesa nemica prima degli attacchi di fanteria.

Abbiamo chiesto allo storico aeronautico Francesco Fortunato (1) di parlarci degli eventi bellici che hanno caratterizzato i mesi di settembre 1916, e gennaio 1917, e della “battaglia di materiali”.

I tedeschi continuarono gli attacchi con i grandi dirigibili di tipo rigido Zeppelin e Schütte-Lanz contro la Gran Bretagna, che portarono notevoli risultati, ma furono anche sempre più costosi in termini di vite umane e mezzi. Nella notte fra il 2 e 3 settembre 1916 una flotta di 16 grandi aeronavi dell’esercito e della marina scaricarono più di 800 bombe sull’Inghilterra del Sud, ma a costo della perdita dello Schütte-Lanz SL11, abbattuto dal sottotenente William Leefe-Robinson vicino Londra con la perdita di tutti i 16 uomini d’equipaggio. Fu il primo abbattimento di dirigibili sul suolo britannico e questo indusse l’esercito tedesco a ritirarsi da questo tipo di missioni, lasciandone l’intero onere sulla marina. Varie altre sortite di bombardamento avvennero nei mesi successivi, con forti perdite da entrambi i lati: in quella nella notte tra l’1 e il 2 settembre fu abbattuto il dirigibile L31 mentre fra il 27 e il 28 novembre fu il turno dell’L34. Era il segnale che le difese antiaeree britanniche stavano diventando più solide ed efficienti. Il 16 settembre, invece, due Zeppelin della Marina Imperiale si incendiarono nel loro hangar per un incidente in fase di gonfiaggio con l’idrogeno.

Il 17 settembre l’ufficiale di cavalleria Manfred von Richthofen ottenne la sua prima vittoria aerea confermata contro un ricognitore F.E. 2b del Royal Flying Corp, uccidendo entrambi i membri dell’equipaggio. Era il primo passo di una “carriera” che lo porterà a diventare il più grande asso della Grande Guerra, universalmente noto come Barone Rosso. Le vittorie aeree si susseguirono a ritmo sostenuto: il 23 novembre conquistò, dopo un lungo duello, la sua undicesima vittoria contro l’asso britannico Lanoe Hawker, che vantava sette abbattimenti.

Questi successi servirono in parte a superare il lutto che pochi giorni prima aveva subito il reparto di von Richthofen: il 28 ottobre il comandante e asso Oswald Boelcke era morto in una collisione aerea contro l’asso Erwin Böhme, nel corso di un attacco contro alcuni monoposto britannici. Boelcke era una figura carismatica e di riferimento non solo per gli aviatori. Aveva definito, nel suo “Dicta Boelcke” per la prima volta le regole del combattimento aereo. Richthofen era stato testimone oculare dell’evento: dopo l’impatto ad alta velocità con il compagno Boelcke aveva tentato di scendere per un atterraggio di fortuna, ma un’ala del suo caccia Albatros aveva ceduto e si era schiantato.

Sul fronte italiano, i mesi di agosto e settembre videro un susseguirsi di bombardamenti austriaci contro Venezia e i suoi dintorni, con diverse vittime anche civili e danni al patrimonio artistico. La reazione arrivò il 13 settembre, quando 26 trimotori Caproni si lanciarono contro la stazione idrovolanti di Trieste. Tre bombardieri dovettero rientrare per avarie e un quarto cade probabilmente per incendio a un motore; gli altri completarono con successo la missione. Simultaneamente 12 idrovolanti, di cui uno francese, attaccarono Parenzo.

A differenza di quanto facevano gli austro-ungarici, le azioni italiane erano sempre dirette contro obiettivi militari, facendo tutto il possibile per evitare bersagli civili, ciò per diversi motivi tra cui la constatazione che il raggio d’azione dei mezzi disponibili ricadeva quasi per intero su terre “irredente”, ovvero i cui abitanti erano considerati a tutti gli effetti italiani.

L’impiego principale del mezzo aereo continuava a essere quello di osservazione, per individuare il complesso reticolo delle difese austro-ungariche e per guidare il tiro dell’artiglieria che preparava gli assalti. La strategia italiana fu caratterizzata da tre successive “spallate” sull’altopiano del Carso, finalizzate a conseguire una maggiore penetrazione territoriale ed alleggerire il “carico” sul fronte della Romania, che era da agosto entrata in guerra a fianco dell’Intesa. La tecnica adottata era quella della “battaglia di materiali”, consistente in prolungati e intensi bombardamenti d’artiglieria finalizzati a fiaccare la difesa nemica prima dell’avanzata della fanteria. Alla fine i guadagni in termini territoriali furono piccoli, ma le difese austro-ungariche furono messe a dura prova.

I ricognitori italiani erano principalmente di tipo Farman e Voisin, di progettazione francese ed entrambi con architettura “a trave di coda” con motore spingente. I “Caudron”, anch’essi francesi, erano invece impiegati per le attività a quote più alte. Erano dotati a bordo di impianto telegrafico trasmittente (ma non ricevente), per inviare subito ai comandi a terra le informazioni principali. Il sistema aveva raggiunto un buon grado di efficienza e anche il servizio di protezione tramite caccia si rivelò valido. Questa si basava sui Neuport “Bebè” piccoli caccia biplani monoposto, anch’essi di progettazione francese, dotati di una singola mitragliatrice installata sopra l’ala superiore, per sparare al di fuori del disco dell’elica. Sta di fatto che il grosso delle perdite e degli atterraggi di fortuna di mezzi italiani fu dovuto ad avarie o alla contraerea, mentre solo due mezzi caddero in territorio avversario, nello specifico un ricognitore Farman e un bombardiere Caproni. Riguardo alla caccia, essa non dichiarò nessuna perdita ma quattro vittorie aeree, fino alla fine del ’16. Numeri insomma molto al di sotto di quelli del fronte occidentale ma tali da dimostrare simili criteri d’impiego e soprattutto un sostanziale controllo dei cieli da parte dell’aviazione italiana.

Il 18 ottobre ottenne la sua prima vittoria Pier Ruggiero Piccio, destinato a diventare uno dei principali assi italiani, abbattendo un pallone d’osservazione austriaco tramite razzi di produzione francese. Francesco Baracca conquistò invece la sua quinta vittoria il 28 dicembre, diventando ufficialmente un “asso”. Percorreva la stessa “strada” Fulco Ruffo di Calabria, a cui furono accreditate due vittorie aeree in collaborazione con Baracca, mentre altre tre da lui dichiarate non gli furono confermate.

Fu sperimentato l’impiego dei ricognitori per seguire l’andamento degli attacchi a terra, definendo un codice che permettesse alle truppe di segnalare la posizione che avevano raggiunto, tramite file di dischi bianchi stesi al suolo. Lo scopo era di consentire ai comandi di seguire meglio i concitati eventi delle battaglie e, soprattutto, di ridurre il rischio di “fuoco amico” da parte dell’artiglieria sulle truppe in posizione avanzata.

Le azioni di bombardamento proseguirono, suddivise in “grande bombardamento” ad opera dei reparti Caproni, agli ordini del Comando Supremo, e “piccolo bombardamento” eseguito dai Farman e Voisin alle dirette dipendenze delle armate, il primo con finalità principalmente strategiche e il secondo di più diretto supporto alle azioni dei reparti di terra. Il 18 settembre 1916, ultimo giorno della Settima battaglia dell’Isonzo, 15 bombardieri Caproni furono inviati contro installazioni ferroviarie e idrauliche, conseguendo alcuni risultati positivi nonostante l’avaria a tre trimotori. Per la prima volta fu previsto supporto ravvicinato della caccia, per timore dell’intervento degli idrovolanti da caccia austriaci.

Il centro delle attività si spostò quindi sul fronte del Pasubio, dove da settembre si susseguirono una serie di attacchi italiani finalizzati a definire un profilo più facilmente difendibile del fronte. I reparti aeronautici furono chiamati a supportare le attività di terra, ma foschia e maltempo limitarono molto le azioni rispetto a quanto programmato. Tuttavia i mezzi aerei decollarono ogni volta che risultava possibile, anche per azioni isolate. L’ultima missione di bombardamento dell’anno ebbe luogo verso la fine di novembre.

Il Regio Esercito e la Regia Marina continuarono a impiegare i dirigibili per operazioni di bombardamento, tuttavia il numero delle azioni era assai limitato a causa delle poche macchine disponibili (a fine anno erano in servizio di prima linea, a causa di perdite, manutenzione e obsolescenza, solo due dirigibili di tipo “M”, ovvero di cubatura media) e delle limitazioni operative: di fatto le aeronavi potevano agire con un minimo di sicurezza solo nelle notti senza luna e con tempo sufficientemente buono. C’era sconforto tra i reparti operativi e le strutture di comando perché i risultati sembravano scarsi e di gran lunga inferiori a quelli degli Zeppelin tedeschi. Bisogna dire che l’efficienza di questi ultimi era grandemente sopravvalutata in quei giorni e i tedeschi ne pagarono l’impiego con un alto costo in termini di vite e materiali. La pausa invernale servì in Italia a mettere in discussione lo strumento in se e, infine, a rielaborarne i criteri operativi: non aveva senso impiegare i dirigibili in supporto all’avanzata delle truppe o come semplice estensione del raggio d’azione delle artiglierie, ma dovevano svolgere un ruolo strategico verso stazioni, centri industriali e di smistamento per molti versi indipendente dalle strategie dell’esercito e sfruttando ogni occasione possibile. Entrò in servizio il nuovo tipo “MA”, per Medio Alleggerito, in grado di operare a quota molto più elevata (fino a 6000 metri dopo aver sganciato il carico di bombe), mettendosi al sicuro da caccia e contraerea nemiche. Si lanciò un piano di costruzione di nuove aeronavi per il 1917.

Fu definito il piano delle costruzioni aeronautiche per il 1917. L’obiettivo era di aumentare il numero dei reparti operativi puntando, ove possibile, su nuovi modelli di progettazione nazionale evitando l’importazione o la produzione su licenza straniera. Nel campo della ricognizione si sperava di sostituire i modelli francesi con il nuovo Savoia Pomilio SP2, che stava dando buoni risultati nei test. Si trattava di un biplano biposto a trave di coda, quindi di architettura simile ai Farman francesi, ma più grande e potente. Il trimotore Caproni, che aveva dato buona prova di se, fu potenziato sostituendo i motori FIAT da 100 CV con gli Isotta Fraschini da 150 CV e in questa nuova configurazione assunse la denominazione di Ca.3. Falliti i tentativi di produrre un caccia nazionale, si scelse di puntare ancora sui Nieuport e in particolare sulle evoluzioni del “Bebe”. Nel complesso l’industria nazionale mostrava potenza e dinamica decisamente superiori a quella dell’impero austro-ungarico e, in più, era supportata dai nostri alleati, soprattutto in termini di fornitura di materie prime, molto più di quanto potesse fare la Germania nei confronti dell’impero asburgico. Questi fattori si erano dimostrati determinanti per confermare, quasi in ogni situazione, il nostro “controllo dell’aria”».

(1) Francesco Fortunato, è nato a Napoli nel 1971. Ingegnere Aeronautico lavora dal 1999 alle dipendenze di una grande impresa in qualità di specialista nel calcolo numerico. Impegnato nel volontariato, è appassionato di musica, tecnologia e storia, in particolare storia dell’aeronautica. Ha aperto e gestisce il blog “Fremmauno”, un sito di “storia aeronautica meridionale”. Collabora con l’Università Federico II di Napoli (Facoltà di Ingegneria) e altri studiosi di aviazione. Scrive articoli e organizza conferenze.

Bibliografia:

Longo 2016 “Cento anni fa la battaglia dello Jutland/Skagerrak” Cefalunews.org

Longo 2018 “Carro FIAT 2000, il gigante perduto. A cento anni dalla sua costruzione (1918-2018)” Cefalunews.org

Foto a corredo dell’articolo:

Farman, 1916 decollo. Nieuport-Macchi

Giuseppe Longo
giuseppelongoredazione@gmail.com
@longoredazione

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