E’ ampiamente documentato che il “Nanno” del Carnevale di Termini Imerese, il quale è accompagnato sempre da una partner, la “Nanna”, è una figura peculiare carnascialesca della nostra città, e rappresenta l’elemento di connessione tra la radicata e plurisecolare figura del “Nannu” siciliano.
In realtà, il rituale rogo del vegliardo, sia esso riprodotto da una maschera oppure da un fantoccio o affine, si svolge ancora oggi e con modalità assai simili, in numerosi centri della nostra Isola.
Ciò nonostante a Termini Imerese, agli esordi della seconda metà del XX sec. sotto le festività carnevalesche vi era l’usanza che i “Nanni” arrivavano nella cittadina facendo la loro comparsa, o alla stazione ferroviaria o al porto (che induce a pensare che sia effettivamente l’indizio dell’origine non autoctona delle due maschere), oppure, sotto il ponte della “lavata râ lana”, N.d.r (lavata della lana).
Quest’ultima consuetudine ci è stata tramandata solamente attraverso testimonianze orali, e comunque essa è legata ad una tradizionale abitudine in voga ancora negli anni ‘50 del XX secolo, e che tutt’oggi è sprovvista di documenti iconografici.
La “lavata râ lana” era il corso d’acqua dove le famiglie per lo più benestanti si riunivano per effettuare la pulizia della lana di concia, per mezzo delle “pile”. La lana, pulita dalle impurità, serviva per riempire i materassi della futura sposa prima delle nozze.
Tuttavia, questo non era l’unico posto per sgrassare la lana. Infatti, sempre nella città imerese c’erano le acque marine della contrada Ginestra, e secondo quanto ci riporta lo storico termitano Giuseppe Patiri, anche al “Valatu, N.d.r (nel versante settentrionale della Rocca del Castello di Termini, il nome deriva dall’arabo balat, lastra di pietra, cfr. Contino 2019 pag. 59) sotto il Castello, ovvero nella spiaggia di S. Cosimo”. Mentre, fuori porta, ci si avvaleva dello specchio d’acqua nelle vicinanze della Tonnara di Trabia, e sempre in questa cittadina, alla fonte d’acqua denominata all’acqua d’oru. N.d.r (acqua d’oro)
Però il luogo privilegiato rimaneva quello per così dire “bucolico” della lavata râ lana, oggi sfortunatamente non più riconoscibile. La località in questione si trovava e si trova presso la foce del Vallone Tre Pietre, le cui acque sfociano nel nostro litorale tirrenico.
Sin dagli inizi del Novecento la strada per raggiungere il ponte della “lavata râ lana”, si presentava sterrata, delimitata da aree coltivate e dalla ferrovia.
Per questa carrozzabile transitavano i carretti con il loro carico, trasportando i parenti della promessa sposa alla volta delle sponde dell’alveo per nettare la lana grezza che battuta sul greto, veniva pulita dalle impurità e lasciata asciugare al sole. In questo modo la lana tersa e riordinata, era usata per riempire i materassi di cotone che la sposa portava in dote.
La giornata lavorativa dedicata alla lavata della lana iniziava di buon’ora, e terminava all’imbrunire. Tuttavia, durante la giornata non mancavano generosi e svariati rifocillamenti, risa e canzoni per festeggiare l’evento.
In questo contesto paesano ci piace pensare, volendo caldeggiare le fonti orali, che i nostri “Nanni”, raggiungessero il torrente nel periodo del Carnevale quando le condizioni meteorologiche lo permettevano. I due simpatici e “arzilli” vecchietti, una volta arrivati, A lavata râ lana, ulteriormente, rallegravano con la loro simpatia, quelle ore lavorative.
La principale via di comunicazione dove ricadeva questo “lavatoio a cielo aperto”, scavalcava il torrente Tre Pietre mediante un ponte. La strada in questione, collegava Palermo con Messina. Il tratto viario, oggi denominato via Libertà è inserito nel tracciato della SS. 113 Settentrionale Sicula.
In merito alla descrizione del trasporto della lana presso i luoghi della pulitura e in particolare la tradizionale costumanza Termitana, voglio ricordare l’antropologo Giuseppe Pitrè (1841-1916) nel suo: “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano” Volume II, descritta al Cap. X “Trasporto del corredo “Piditera”:
«In Termini se ne fa una per la lavatura della lana che dovrà formare il letto nuziale. La lana, che per antica costumanza si facea venire da Marsala, si acquista quale si taglia alle pecore. Ora in Termini questa lana si va a lavare all’acqua d’oru nel comune di Trabia come in Palermo si va a lavare al fiume Oreto. Fidanzati, congiunti, amici intimi, tutti si raccolgono in una barca, ove la lana vien portata, e con musica che tutti li allieta partono per Trabia, un tre chilometri distante. Quivi accudiscono all’opera, e quando essa è finita e la lana è stata messa ad asciugare, si imbandisce un desinare più o meno lauto senza risparmio di spesa. Musica e tutta la comitiva tornano poi sulla medesima barca a Termini. Alcune famiglie terminesi, a non farla così grande si recano a lavare al Valatu, sotto il Castello, ovvero nella spiaggia di S. Cosimo».
Tuttavia, anche in questo particolare contesto popolare, ci piace menzionare ugualmente lo storico ed erudito Giuseppe Navarra (1893-1991) il quale descriveva questa antica tradizione Terminese nella sua: “Termini com’era” nel capitolo A lavata râ lana:
«La promessa sposa che si rispetti doveva portare in dote, fra l’altro, almeno quattro materassi di lana. La lana, fornita da Lanzarotta o da altri era sudicia, perché ricavata dalla tosatura delle pecore, e poiché bisognava renderla pulita si era trovato che l’acqua di mare fosse un ottimo solvente di quella sporcizia. Venivano all’uopo impiegati tre differenti luoghi: la tonnara di Trabia, la contrada Ginestra di Termini e sotto il ponte della lavata râ lana che era ed è alla foce del Vallone Tre Pietre, luogo generalmente prescelto. Vi si trascorrevano ore liete e spensierate, e l’allegria pervadeva tutti fino all’imbrunire, tra canti, suoni, risate, evviva agli sposi e rifocillamenti debitamente innaffiati da buon vino. Gli operai erano quasi sempre pescatori che sciacquavano la lana battendola contro gli scogli, e gli adulti della comitiva preparavano delle canne a V rovesciato che piantavano sul greto del torrente, passandovi sopra una corda che serviva per fare asciugare al sole la lna già pulita. Alle nove si prendeva un muzzicuni, N.d.r (boccone): grossi pezzi di caciocavallo e ffillata (mortadella) e sorsate di vino che ai pescatori i quali, poverini, stavano con le gambe a mmoddu, N.d.r (a mollo) per tanto tempo, veniva somministrato in fiaschi, mentre chitarra e mandolino allietavano i presenti. Non mancava quasi mai Vannuzzu Schifìa, che con le sue buffonate faceva sbellicare dalle risa. Il pasto forte era alle tredici, e tutti “lentavano” di lavorare. Si cominciava con trinche di maiale, castrato e salsiccia arrostiti alla brace, e poi caponata casereccia, olive nere e bianche, sarde salate, salame e caciocavallo, terminando con carciofi bolliti, lattughe, finocchi, ravanelli e vino a profusione. I musicisti mangiavano per ultimo, perché dovevano tenere allegra la comitiva. La spesa totale di siffatte occorrenze non doveva superare, attuppàtivi aricchi, N.d.r (nientedimeno) 150-200 lire, mentre oggi non ne basterebbero duemila volte tanto. Alle sedici tutto era finito, ma si aspettava l’imbrunire per fare ritorno in città ostentatamente con i musicisti che, preso posto sui carretti, suonavano ballabili in sordina».
Concludendo questa breve esposizione antropologica, mi permetto di offrire uno spunto di riflessione degno di rilevanza circa un’importante sottigliezza, peraltro tipica di Giuseppe Navarra. In realtà, egli non ha mai menzionato le maschere carnascialesche, nel suo corposo “Termini com’era” e nello specifico sia nei capitoli: “A lavata râ lana” e “Le feste calendariali”.
Questo a dimostrare che le tipiche maschere dei “Nanni”, nate nella cittadina imerese nella seconda metà dell’Ottocento, siano legate a tradizioni consuetudinarie siciliane plurisecolari e pertanto prive di note distintive, soprattutto riguardo al personaggio del “Nannu” (maschera-fantoccio), largamente diffuso nella nostra Isola, e come ampiamente abbiamo dato prova nelle nostre ricerche, eredi diretti della maschere dell’antico Carnevale di Palermo.
Foto a corredo dell’articolo:
Michele Salvo. Località detta “a lavata râ lana”, anno 1905 circa. Si usava lavarvi, fra musiche e canti, la lana dei materassi della sposa prima delle nozze. Per gentile concessione di Francesco e Michele Ciofalo
Cartolina di Termini Imerese (PA) anni ’60 per gentile concessione di Fabio Chiaramonte
Bibliografia:
Giuseppe Pitrè, “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano”, Volumi I e II, Palermo, 1889
Giuseppe Navarra “Termini com’era” GASM, 352 pp. 2000.
Antonio Contino “Aqua Himerae idrografia antica ed attuale dell’area urbana e del territorio di Termini Imerese (Sicilia centro-settentrionale)” Giambra Editori, 300 pp. 2019
Sitografia:
Giuseppe Longo 2012, “Giuseppe Navarra e il Carnevale di Termini Imerese” Giornale del Mediterraneo – 20 settembre
Giuseppe Longo 2020 “I nanni di Carnevale trapiantati da Palermo a Termini Imerese”, Cefalùnews – 11 Marzo
Giuseppe Longo 2020, “Alla scoperta di un’inedita lettera di Giuseppe Patiri indirizzata a Giuseppe Pitrè”, Cefalùnews – 16 aprile
Giuseppe Longo
[email protected]
@longoredazione