E’ il giorno di Rosario Livatino: oggi sarà proclamato Beato

E’ il giorno di Rosario Livatino. Il 21 settembre 1990, come tutte le mattine, stava raggiungendo il tribunale da Canicattì, dove viveva coi genitori. Sul viadotto Gasena della statale 640 viene affiancato da una moto e una Fiat Punto che lo bloccano. Dopo i primi colpi, tenta di fuggire nella scarpata ma uno dei killer della Stidda lo raggiunge e lo finisce. Ben sette colpi, l’ultimo sul volto come a dire: «Devi tacere per sempre».

Rosario rispettava gli imputati, anche quelli che si erano macchiati dei più gravi delitti. Per lui erano innanzitutto persone. Così quando entravano nel suo ufficio si alzava e stringeva la mano. Andava all’obitorio a pregare accanto al cadavere di mafiosi uccisi. E in un caldissimo Ferragosto andò personalmente a portare in carcere il mandato di scarcerazione per un recluso. E a chi si stupiva rispose: «All’interno del carcere c’è una persona che non deve restare neanche un minuto in più. La libertà dell’individuo deve prevalere su ogni cosa».

Rosario Livatino è stato impegnato nell’Azione cattolica. Sapeva di essere a rischio. Scrive in una delle agende: «Vedo nero nel mio futuro. Che Dio mi perdoni». E poi quasi implora: «Che il Signore mi protegga ed eviti che qualcosa di male venga da me ai miei genitori». Non volle mai la scorta. «Non voglio che altri padri di famiglia debbano pagare per causa mia». Sensibile e generoso, andava, in gran silenzio, dal suo procuratore capo a dire: «Dottore, quel fascicolo, con “quei nomi” lì, per piacere, non lo dia ai miei colleghi che sono sposati e hanno dei figli». Quei nomi erano pericolosi, e Livatino lo sapeva bene. Eppure girava con la sua utilitaria, una piccola Ford Fiesta color amaranto, riconoscibile da lontano. Unica protezione quelle tre lettere “S.T.D.” che scriveva in tutte le sue agendine, anche in quella che venne trovata nella scarpata dove aveva tentato di fuggire. Volevano dire Sub tutela Dei, un affidarsi al Signore ogni giorno, fino a quell’ultimo giorno.

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