Riportiamo l’articolo che ha portato all’intitolazione di Piazza Eroi del Mare. Era il 9 aprile del 2013: il Municipio vara «Largo eroi del mare»
L’1 marzo per la città di Cefalù è festa. Si ricorda, infatti, quanto accaduto l’1 marzo del 1951 quando sette pescatori cefaludesi salvarono dalla morte cinque loro colleghi della marineria di Arenella. Cefalunews, che ha fatto conoscere la loro storia tenuta nel silenzio per ben 63 anni, nella giornata di oggi ha organizzato alcune manifestazioni.
La commissione toponomastica comunale ha varato, oggi pomeriggio, di intitolare agli eroi del mare il tratto di strada che da piazza Marina porta al vecchio molo. Ad annunciarlo al nostro giornale è il sindaco Saro Lapunzina dopo che cefalunews lo scorso 24 ottobre aveva fatto arrivare al Municipio un migliaio di firme che chiedevano di intitolare una strada di Cefalù a quei suoi figli che, nel lontano 1951, compirono gesta eroiche nel mare, salvando la vita ad altri marinai. Dopo 61 anni la città tributa il giusto riconoscimento ad alcuni suoi figli che per decenni sono stati dimenticati.
Chi sono gli eroi del mare?
La storia degli eroi del mare è stata raccontata alla città da cefalunews lo scorso 13 settembre dopo che per decenni era stata dimenticata. A portarla alla luce Giuseppe Aquia che ha consegnato al nostro Direttore alcuni documenti risalenti agli anni cinquanta.
Era l’alba del 28 febbraio del 1951 quando la motobarca “Franco”, della marina di Arenella, con a bordo cinque uomini salpava per il normale lavoro di ogni giorno. Era un mercoledì e il tempo era incerto ma i cinque marinai pur di portare il pane a casa si mettono lo stesso in mare. Quando la motobarca arriva al largo viene colta da una forte mareggiata. All’inizio i cinque cercano in tutti i modi di tornare a riva ma quando si guasta uno dei motori tutto diventa difficile. Per loro il ritorno a casa si trasforma in un miraggio. Più che rientrare con la loro barca verso la spiaggia si accorgono di essere spinti verso il largo. Con il passare del tempo i cinque perdono ogni speranza e con loro anche i propri cari, che non li vedono tornare a casa, si rassegnano alla triste fine. Persino le autorità marittime di Palermo si arrendono di fronte al mare in tempesta dopo averli cercati invano con un rimorchiatore. Trascorrono trentasei ore. Tutto sembra finito.
Ogni speranza è perduta sul mare palermitano quando qualcosa, però, accade sulla baia di Presidiana nel territorio di Cefalù. Un gruppo di pescatori, infatti, avvistano l’imbarcazione in avaria. Tra di loro Giovanni Glorioso che si rivolge al più grande, Carmelo Fertitta, dicendogli: «ne hai coraggio per salvare queste persone?» Questi non se lo fa dire due volte. Si rivolge agli altri ragazzi e li invita ad organizzarsi. Vanno insieme alla Calura dove c’era una barca che apparteneva ai fratelli Cefalù. Chiedono l’imbarcazione ma Peppe, uno dei fratelli, era contrario. Basta poco, però, per convincerlo e in sette vi salgono sopra per andare sul mare. Al timone c’è Carmelo Fertitta. Gli altri sono tutti a vogare: Salvatore Portera, Giuseppe Machì, Santo Aquia, Giuseppe Fertitta, un quindicenne, Giovanni Cefalù e Giovanni Glorioso. Il mare è in tempesta ma chiunque si trova su quella barca in avaria ha bisogno di aiuto. In città si sparge presto la voce che i sette sfidando il mare stanno cercando di salvare alcune vite umane. Sulla riva si raduna presto tanta gente. In tanti pregano per i sette che hanno lasciato la spiaggia. Per sei ore, però, di loro non c’è notizia. I sette riescono ad avvicinarsi alla barca in avaria solo dopo tre ore di combattimento con le onde. Si accorgono che all’interno c’erano alcuni uomini ormai sfiniti e senza più alcuna speranza di tornare sulla riva. Ci vogliono, però, altre tre ore per strappare quei cinque marinai alla furia del mare. Alla fine hanno la meglio i pescatori cefaludesi. Al momento di lasciare la motobarca, però, il capitano non vuole scendere. Fu costretto. «Noi stiamo morendo tutti per voi – gli dice Santo Aquia – ed ancora tu temporeggi? andiamo!!!!» Il capitano si convince e scende sulla loro barca. I cinque vengono messi in salvo. Il tempo di strapparli al mare e la loro motobarca sparisce inghiottita fra le onde.
Raggiungono la spiaggia. Vengono accolti fra gli applausi. I cinque sfortunati pescatori palermitani non sanno come ringraziare. Tornano nelle loro famiglie. Il gesto dei sette pescatori cefalutani non passa inosservato alla città e ai suoi amministratori. Già l’indomani, il 2 marzo, arriva l’encomio dell’allora sindaco Giuseppe Giardina e della giunta comunale. Il primo cittadino e i suoi assessori affidano ad una delibera il proprio grazie: «La prova di grande coraggio dell’alto spirito di abnegazione e di umana solidarietà data dai sette pescatori di Cefalù e vissuta per oltre sei ore sotto la bufera del vento e di pioggia da centinaia di altri è degna del più alto encomio e della massima ammirazione». Dopo quattro anni arrivano anche le medaglie. Da quel momento il silenzio. Del gesto dei sette eroi cefalutani non se ne parla più fino a quando, dopo oltre mezzo secolo, i figli di uno degli eroi, Santo Aquia, decidono di far conoscere la storia. Giuseppe e Rosamaria, infatti, ricordano ancora il racconto del padre. Ci mostrano le foto che lo premiano. Sul loro esempio presto anche i figli e i parenti degli altri eroi si fanno avanti per raccontare la storia e ricordare quel getso eroico. Tra di loro l’olimpionico Francesco Glorioso, figlio di Giovanni, canottiere della Marina Militare Italiana che ha fatto parte dell’equipaggio dell’otto con che alle olimpiadi di Tokio del ’64 si classificò in sesta posizione nella finale. Quando suo padre sfidò il mare per strappargli i cinque palermitani aveva appena nove anni. Ricorda tutto di quel giorno.
«Mio padre – racconta Rosamaria Aquia – mi raccontava sempre del salvataggio soprattutto quando c’era maestrale ed il mare era “marusu” come diciamo noi cifalutani! Mi narrava questa storia non come una cosa straordinaria ma come un fatto per loro normalissimo». Adesso gli eredi dei sette eroi vorrebbero conoscere i parenti dei cinque marinai palermitani a suo tempo salvati sul mare cefaludese. Non ne conoscono i nomi e non hanno mai saputo più niente nemmeno dai loro genitori. «Sarebbe bello – dice Giuseppe Aquia – se qualche parente si facesse vivo e ci si potesse incontrare per ricordare quell’incontro sul mare». Intanto a Cefalù è scattata una petizione per chiedere di intestare una strada ai sette eroi del mare. Quasi un migliaio le firme già raccolte. Adesso la storia dei sette eroi la conosce tutta la città e il regista Franco Turdo già pensa di girarne un film.