Carissimi fratelli e sorelle,
gli Ebrei la chiamavano Shavuot “festa della mietitura e dei primi frutti”; si celebrava il 50° giorno dopo la Pasqua ebraica e segnava l’inizio della mietitura del grano; nei testi biblici è sempre una festa agricola. È chiamata anche “festa delle Settimane”, per la sua ricorrenza di sette settimane dopo la Pasqua; nel greco “Pentecoste” significa 50mo giorno.
Lo scopo originario di questa ricorrenza era il ringraziamento a Dio per i frutti della terra, cui si aggiunse più tardi, il ricordo del più grande dono fatto da Dio al popolo ebraico, cioè la promulgazione della Legge mosaica sul Monte Sinai ed era una delle tre feste di pellegrinaggio a Gerusalemme.
Il Libro degli Atti situa durante questa festa, cinquanta giorni dopo Pasqua, il compimento della promessa del dono dello Spirito Santo.
Anche noi veniamo oggi con il frutto maturo della semina della Parola del Signore sul terreno buono di questa comunità di Campofelice di Roccella, questo frutto maturo è rappresentato dalla risposta positiva alla chiamata al diaconato di Giuseppe Venturella.
Il prossimo 30 giugno a Petralia Soprana raccoglieremo il frutto vocazionale di Santo La Placa.
Carissimo Giuseppe la tua chiamata al diaconato in qualche modo è coincisa con la chiamata al matrimonio. Allorquando la necessaria preparazione al matrimonio ti portò insieme alla tua diletta sposa, Antonella, ad incontrare il Parroco, Mons. Raffaele Anselmo, a partecipare al corso di cresima per adulti e il Rinnovamento nello Spirito, quali “messaggeri dello Spirito”.
Ora, dopo anni di preparazione e di discernimento, col consenso della tua consorte e la gioia delle tue figlie, Lucia, Francesca ed Elena, invocheremo su di te il dono dello Spirito Santo così come narra il libro degli Atti degli Apostoli: «elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmenàs e Nicola, proselito di Antiochia. Li presentarono agli apostoli, i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani»1.
Speriamo di presentare al Signore altri frutti di vocazione alla vita consacrata, al presbiterato e al diaconato. Ma i frutti si potranno raccogliere solo se coltiveremo alberi buoni e questi sono comunità e famiglie autenticamente impregnate di spirito evangelico.
1 At 6,5-6.
La festa di Pentecoste è l’occasione per aprire una nuova riflessione per il cammino della nostra Chiesa diocesana: di che cosa ha bisogno la nostra Comunità? Di cosa la Chiesa?
Fu l’interrogativo di Paolo VI, nel 1972 a dieci anni dall’inizio del Concilio. E la risposta fu “fuoco nel cuore, parole sulle labbra, profezia nello sguardo” e questi doni può darli solo lo Spirito Santo.
Nella Pentecoste degli Atti il dono dello Spirito Santo venne effuso sotto il segno delle lingue di fuoco che si posarono su Maria e gli Apostoli riuniti nel cenacolo.
Il fuoco di Dio è fuoco trasformante, fuoco che purifica, innanzitutto, perché toglie le scorie che nascondono la bellezza della Chiesa.
L’antico inno dell’Ora Terza cosi ci fa cantare:
Nunc, Sancte, nobis,Spiritus,
Unum Patri cum Filio,
dignare promptus ingeri
nostro refusus pectori.
Ora, o Santo Spirito,
uno col Padre e il Figlio,
degnati di entrare in noi, deciso,
riversandoti nel nostro cuore.
Invochiamo, carissimi, lo Spirito Santo perché ci stia accanto e ci stia dentro il cuore per cercare ciò che è essenziale alla nostra Chiesa diocesana, per essere leggera e libera di annunciare senza impedimenti, e testimoniare la fede in Gesù Cristo nostro Salvatore.
Ci dia fuoco nel cuore, ardore, amore per Gesù Cristo, nostro Signore, ci ricordi e ci insegni, quello che Lui ci ha detto. Ci segni il fuoco, nel cuore, le parole che Gesù ci ha detto, soprattutto il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo che ci ha consegnato.
Invochiamo lo Spirito Santo perché tocchi le nostre labbra, la nostra lingua, la nostra mente e i nostri sensi coi carboni ardenti del sacro fuoco della verità e dell’amore, perché siamo in grado di confessare la fede senza timore, davanti agli occhi del mondo, pronti a consegnare la nostra vita, se occorre, pur di conservare la fede.