Lo scorso 18 settembre, nella Sala liberty “Il Treno” della nota Fondazione Culturale milanese “Cesare Pozzo” si è svolta la Conferenza del Colonnello Mario Pietrangeli e dell’Ingegner Michele Antonilli, dal titolo: “Il ruolo delle Ferrovie dello Stato nella Prima Guerra Mondiale”. Diamo qui seguito una breve sintesi della Conferenza.
«L’avvento delle ferrovie segnò una grande svolta nella storia dell’umanità; aprì l’era della meccanizzazione nei trasporti terrestri, avvicinò tra loro i popoli e contribuì a sviluppare traffici, attività industriali e commerciali nelle regioni attraversate. L’enorme importanza del trasporto di personale e materiali offerto dal nuovo sistema fu compreso ben presto dai governanti per uno sfruttamento anche ai fini militari. Un primo significativo esempio si ebbe durante la guerra di Crimea (1855) ove fu realizzata una linea ferroviaria per collegare il porto di Balaklava con Kamara per opera di unità del corpo zappatori del Regio Esercito Sardo-Piemontese. Altra occasione che permise di dimostrare l’importanza strategica della ferrovia fu la guerra di secessione americana. Le ferrovie si erano espanse in modo imperioso su tutto il territorio americano sia a nord che a sud, il che favorì ulteriormente lo sviluppo dei trasporti militari. All’inizio della guerra civile vi erano in servizio 50.000 chilometri di rete ferroviaria. Tutte le grandi battaglie di questa guerra si svilupparono in particolare attorno alla rete ferroviaria: le parti opposte compresero subito l’importanza delle linee ferrate e cercarono, con tutti i mezzi, di proteggerle o di impadronirsene. Per la prima volta, l’idea della distruzione di una ferrovia, quale importante via di “comunicazione militare”, s’impose come importante elemento della tattica militare. Furono i sudisti per primi a sfruttare le azioni di sabotaggio delle linee a scopo militare contro i manufatti in legno e le istallazioni ferroviarie complete (come a Martinsburg 1861 e Fredericksburg 1862). Nel gennaio 1862 una legge pose tutto il materiale rotabile ed il “personale ferroviario nordista” sotto l’autorità militare; ciò permise di regolamentare l’uso del materiale rotabile e del personale civile. La distruzione delle linee ferroviarie assunse proporzioni tali da costringere lo Stato Maggiore nordista a formare un’unità speciale incaricata di ricostruire le opere distrutte.
Il primo trasporto di una certa importanza fu il trasferimento dell’armata del generale sudista Bragg da Tupela sino a Chattanooga, con l’intento di invadere il Kentucky ed il Tennessee. La distanza tra le due città era di 300 km, ma con il treno la distanza da affrontare aumentava sino a circa 1200 chilometri, in conseguenza del percorso ferroviario, che obbligava a scendere prima verso sud. La fanteria fu comunque trasportata con il treno mentre l’artiglieria e la cavalleria si trasferirono su strada. Nonostante la grande differenza di distanze, la fanteria raggiunse per prima la destinazione. Incoraggiati da questo successo i Confederati, l’anno seguente, fecero un altro movimento strategico: dopo la battaglia di Gettysburg (settembre 1863) alcune Brigate di Longstreet (12.000 uomini) vennero trasferite in Virginia per partecipare alla battaglia per il possesso dell’importante raccordo ferroviario di Chattanooga. Lo spostamento sui 1400 km di linea fu molto laborioso e solo la metà degli uomini riuscirono ad arrivare in tempo per partecipare alla battaglia di Chickamauga Creek. La prima unità raggiunse il luogo stabilito dopo 7 giorni e 10 ore; le altre, di artiglieria e cavalleria, impiegarono da 8 a 16 giorni per percorrere le 835 miglia; i carri rifornimento furono addirittura abbandonati in Virginia. La vittoria confederata a Chickamauga mise l’esercito nordista sulla difensiva a Chattanooga. In loro aiuto, fu deciso il trasferimento di 22.000 uomini, completamente equipaggiati e agli ordini del generale Hooker, ma la distanza da coprire era notevole: 1970 chilometri. Vi erano comprensibili e poco velati scetticismi sulla possibilità d’esecuzione di un simile trasporto: ebbene, in meno di undici giorni il Corpo arrivò a destinazione con l’artiglieria e i cavalli; un’impresa logistica straordinaria. Poco tempo dopo il generale Shermann condusse la campagna per la conquista di Atlanta, cominciata nel maggio 1864.
Doveva essere una dimostrazione senza precedenti dell’importanza della ferrovia per i trasporti militari e per tutta la logistica: 100.000 soldati e 35.000 cavalli avrebbero dovuto essere trasportati lungo 760 chilometri, da Lousville ad Atlanta. La linea fu, per ben 196 giorni, periodicamente sabotata dai Confederati e subito riparata dal Corpo di costruzione federale. Shermann perse, nei continui attacchi, 17.000 uomini e giornalmente 600 t. di materiale di prima necessità. Calcolò peraltro, che se non fosse stato in grado di utilizzare la ferrovia, gli sarebbero occorsi 36.800 carri trainati ciascuno da 6 muli per trasportare i rifornimenti per i suoi uomini, in considerazione del fatto che aveva già riunito approvvigionamenti per 600.000 uomini. Shermann commentò questa esperienza così: “Nessun esercito dipendente da vagoni può operare a più di 100 miglia dalla sua base, perché i continui attacchi a cui sono sottoposti i treni rendono inutilizzabile il contenuto dei vagoni”. Infatti, durante la guerra di secessione vide la sua nascita anche il treno blindato. In Europa questo conflitto venne seguito con assiduo interesse; gli Stati Maggiori delle potenze del vecchio continente presero rapidamente coscienza dell’importanza strategica dei trasporti su ferrovia. Gli insegnamenti furono impiegati già cinque anni dopo nel corso della guerra franco-prussiana. Anche durante la guerra dei boeri in Sudafrica (1899-1902) i treni ebbero un ruolo importante. Gli inglesi pattugliavano le campagne sui treni blindati, che in tal modo proteggevano gli isolati avamposti britannici, ma c’era sempre il pericolo che qualche commando boero, facesse deragliare i convogli, mediante il brillamento di esplosivo posto sui binari. Nello stesso secolo, quando la locomotiva Bayard percorreva sbuffando nell’ottobre 1839 gli 8 Km. della Napoli – Portici alla folle velocità di circa 50 km all’ora, il Regno delle Due Sicilie metteva in cantiere altre iniziative, forse meno oleografiche e romantiche non meno importanti.
Lo Stato, infatti, costruiva direttamente e manteneva in esercizio a proprie spese alcune linee da Napoli, via Acerra, per Cancello e Capua, e da Cancello per Nola e Sarno, per un totale di circa 72 Km. La Regia strada ferrata, l’insieme di questi tronchi ferroviari, ispirata da motivi strategici, aveva lo scopo di collegare a Napoli sia la villa reale di Caserta, sia le due piazzeforti di Capua e Nola, dalle quali le regie truppe potevano affluire celermente sulla capitale in caso di necessità. Realizzazione ed esercizio venivano affidati all’esercito, che provvedeva altresì alla costruzione ed alla manutenzione delle carrozze ed alla manutenzione delle locomotive nell’arsenale Regio di Pietrarsa. Al nord non si era di meno. I piemontesi avevano impiegato, come precedentemente detto, per la prima volta nel 1855 unità del Genio Zappatori in lavori di armamento ferroviario sulla linea per Kamara in Crimea. Quando poi nel 1859 vennero usate le ferrovie nelle operazioni di radunata dell’Esercito franco – piemontese, il cerchio si chiudeva: Costruzione, Condotta, Utilizzazione. Questi primi esempi ci consentono di fare un’immediata distinzione tra due diversi tipi di treni per impiego militare: quello blindato e quello armato. Il primo, detto anche corazzato, era composto da locomotive e vagoni opportunamente protetti, per esempio da piastre d’acciaio, in maniera da offrire una schermatura agli uomini imbarcati, fossero essi serventi dei pezzi d’artiglieria o fucilieri, oppure gli stessi ferrovieri addetti alla conduzione del convoglio. Il secondo prevedeva invece l’installazione su vagoni pianali, a volte di normale impiego a volte specificatamente realizzati, di pezzi d’artiglieria di vario calibro, molto spesso di origine navale. La protezione in questo caso risultava limitata o inesistente e ciò sia per il personale sia per il materiale rotabile.
Si tratta di una distinzione molto semplificata, che non vuole e non può, in questa sede, tenere conto di eccezioni e particolarità, le quali richiedendo un’analisi più approfondita, renderebbero il discorso molto più complesso. Si può soltanto aggiungere che i convogli del primo tipo sono stati impiegati in quasi tutti i principali conflitti a partire dalla metà del XIX secolo, nel corso dei quali furono chiamati a svolgere molteplici compiti che andavano dalla perlustrazione e attacco sul territorio nemico, ad azioni di copertura in retroguardia durante ripiegamenti o ritirate, dalla protezione di importanti linee ferroviarie alla difesa da incursioni portate da convogli avversari di tipo similare, senza dimenticare la scorta a tradotte o convogli di rifornimento, oppure l’occupazione di importanti nodi ferroviari. Per quanto riguarda invece il secondo tipo di convogli, a seconda del calibro delle artiglierie imbarcate, i compiti potevano variare dall’appoggio di fuoco effettuato anche da grande distanza, alla difesa delle coste da improvvisi attacchi navali, alla difesa contraerea mobile. E saranno proprio questi ultimi due a caratterizzare l’impiego dei treni armati della Regia Marina nel primo conflitto mondiale. Ritornando invece alle vicende storiche e all’impiego dei treni, soprattutto blindati, questi ultimi furono impiegati ancora dagli Austriaci contro i Prussiani nel 1866, dai Francesi per la difesa di Parigi, nel 1870-‘71, dagli Inglesi durante la guerra anglo-egiziana del 1882 e ancora da questi ultimi nel corso della durissima campagna contro i Boeri (1899-1902). Non si può infine dimenticare il vasto impiego di treni armati durante la rivoluzione messicana del 1911, come pure il frequente uso del mezzo ferroviario blindato effettuato dai tedeschi nelle colonie africane agli inizi del XX secolo, per sedare la rivolta di tribù locali. Il primo conflitto mondiale rappresentò un notevole salto di qualità per questo tipo di arma. Per quanto concerne il ruolo dei ferrovieri militarizzati c’è da dire che fu essenziale, tanto da far denominare I ferrovieri italiani la “Sesta Armata” combattente.
Durante la guerra, l’Azienda fu guidata dal Direttore Generale Raffaele De Corne, appena nominato nella carica, che riuscì malgrado le numerose esigenze di trasporto e i tanti rischi a far funzionare efficacemente l’organismo burocratico. Il dimissionario Bianchi andò invece a ricoprire dal giugno 1916 la carica di Ministro dei Trasporti Marittimi e Ferroviari nel nuovo dicastero istituito per le esigenze militari. Di seguito verranno illustrate alcune importanti e strategiche realizzazioni ferroviarie: la tratta ferroviaria strategica Montebelluna – Susegana, lunga 20 Km fu realizzata in meno di un anno (a partire dall’inizio delle ostilità) inoltre furono costruiti raccordi per 150 km circa di sviluppo complessivo. Successivamente venne aperta all’esercizio la Palmanova – Cervignano (1° gennaio 1917). Vennero poi raddoppiati i binari su alcuni tratti di linea, si ampliarono le stazioni e gli impianti ferroviari sia per il movimento dei treni, sia per il carico e lo scarico nonché movimentazione delle merci (in particolare combustibili e approvvigionamenti). Inoltre, vennero scavati pozzi al fine di aumentare la dotazione dell’acqua, essenziale per le locomotive e per le truppe. A seguito dello sforzo bellico realizzato dai ferrovieri civili, quest’ultimi, vennero militarizzati e in buona parte rimasero nei loro posti di lavoro per far circolare i convogli, ottenendo l’esonero dalla chiamata alle armi per gli addetti ai treni, alle stazioni e alla linea. Le classi più giovani dovettero comunque rispondere alle chiamate, anche tra il personale direttamente coinvolto nel movimento ferroviario. Poiché le maggiori risorse vennero indirizzate verso il fronte del nord – est, non fu possibile conservare un regolare servizio nelle altre parti d’Italia, dove le corse dei treni vennero dimezzate, conservando pochissimi convogli per linea, talvolta una coppia soltanto al giorno, necessaria per fare arrivare la posta e prodotti alimentari. 1.196 Ferrovieri morirono nelle operazioni, assunse un carattere eroico, l’esempio dato da Enrico Toti (il fuochista delle ferrovie, rimasto privo di una gamba per infortunio sul lavoro) che si arruolò volontario, e nell’agosto 1916 nei pressi di Monfalcone che si lancio in un’offensiva nella quale alla fine, colpito a morte lancio sul nemico la sua gruccia. Alla fine delle operazioni belliche, il trattato di Versailles del 1919 estese i confini italiani fino a ricomprendere quelle terre per la cui la liberazione l’Italia era scesa in guerra.
Con la conquista di Trieste e Trento, compresa Bolzano, i precedenti transiti internazionali di Ala e Primolano in Trentino, di Cervignano, Cormons e Pontebba in Friuli, lasciarono il posto al Brennero, San Candido, a Tarvisio, a Piedicolle oltre Gorizia, nonché Venezia Giulia a Postumia e Fiume. Alla rete nazionale si aggiunsero circa 1.000 Km di ferrovie dei nuovi territori conquistati. Concluse, idealmente, la Prima Guerra Mondiale il trasporto della salma di un “milite ignoto” da Acquileia a Roma, avvenuto in treno nell’ottobre 1921. La mattina del 29 ottobre 1921 il treno che trasportava il “milite ignoto” parti da Aquileia alla volta di Roma condotto da ferrovieri decorati al valore. Il convoglio fece sosta in tutte le principali stazioni, in modo da consentire alla popolazione di rendere omaggio alla salma. La capitale fu raggiunta il 2 novembre con l’arrivo del carro alla stazione di Roma Termini. La salma tumulata sull’Altare della Patria il 4 novembre, alla presenza del Re, delle rappresentanze dell’esercito e delle madri vedove dei caduti. Per quanto riguarda il ruolo delle ferrovie c’è da evidenziare che, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, la dotazione di locomotive era quasi raddoppiata rispetto a dieci anni prima e soprattutto era profondamente rinnovata nei tipi, di cui molti ben riusciti e costruiti interamente in Italia. La dotazione di materiale trainato era salita a 10.015 carrozze, 3.845 bagagliai 102.829 carri merce di vario tipo. La rete ferroviaria principale, anche se cresciuta di circa 1.700 Km, era invece rimasta la stessa del 1906 e la parte peninsulare dell’Italia, da cui sarebbe provenuto il maggior contingente di uomini e approvvigionamenti, era tuttora caratterizzata da quella ripartizione longitudinale tra Rete Adriatica e Rete Mediterranea, teorizzata dal Zanardelli nel 1877 e diventata poi effettiva con la citata legge del 1885. Questo faceva si che il centro meridione fosse direttamente collegato alla bassa Valle Padana dalla lunghissima litoranea ionica – adriatica, a semplice binario, con sbocco su Bologna e Ferrara, e da qui verso Padova, attraverso la strozzatura del ponte sul Po a Pontelagoscuro. Da Bologna si poteva raggiungere anche Verona via Modena.
In questa situazione, Padova e Verona costituivano gli unici accessi al teatro di operazioni, caratterizzato da una scarsità di linee e dalla presenza della sola grande stazione regolatrice di Mestre. Ma in caso di conflitto, la litoranea e gli stessi porti adriatici sarebbero stati esposti all’azione nemica e quindi poco adatti ad assicurare, con una certa affidabilità, il concentramento e successivo rifornimento di truppe nella zona di operazioni. Di conseguenza, tale afflusso di uomini e mezzi poteva essere garantito solo attraverso le linee di valico appenninico della Faentina, Porrettana, Pontremolese e le due linee dei Giovi, alimentate dalla litoranea tirrenica che, biforcandosi a Roma per Pisa – Genova o per Firenze, costituiva l’unica logica alternativa alla ionico – adriatica. In ogni caso il valico dell’Appennino creava una penalizzazione al traffico sia perché richiedeva locomotive potenti, spesso in doppia o tripla trazione e comunque marcianti a velocità ridotta sia perché, a parità di potenza disponibile, obbligava a composizioni dei convogli più leggere rispetto a quanto possibile in pianura. Passato l’Appennino, l’avviamento dalla Valle Padana verso la frontiera friulana poteva essere effettuato solo attraverso la linea Milano – Verona – Treviso, con diramazioni su Ala e Schio e, da Treviso, verso Udine, Motta di Livenza e Portogruaro. Alternativamente, da Pavia si potevano raggiungere Treviso e Portogruaro via Monselice – Padova – Mestre. Di tutte queste linee, la maggior parte era a singolo binario e priva di blocco meccanico, con una conseguente scarsa potenzialità di traffico. In più, gli impianti di stazione erano quasi sempre privi di piano caricatore o erano di grandezza insufficiente per le necessità dei trasporti bellici. Per avere un’idea del problema, la potenzialità di traffico era calcolata, grosso modo, in 24 coppie di treni nelle 24 ore sulle linee a singolo binario, 40 coppie sulle linee a doppio binario prive di blocco meccanico e 60 in quelle munite di tale sistema di sicurezza. Complessivamente la potenzialità delle linee interessanti la zona di guerra, era di circa 65-70 treni al giorno fino al Tagliamento e di 40 da questo alla frontiera. Lo Stato Maggiore del Regio Esercito aveva richiamato l’attenzione del Governo su tali deficienze, ma scelte politiche avevano sempre ostacolato l’erogazione dei fondi necessari ai lavori di ammodernamento.
Questo stato di fatto significava che sarebbe stato estremamente difficile poter concentrare rapidamente truppe sui confini orientali, prelevandone grossi contingenti dalle Calabrie, Puglia e Isole. E non potendolo fare rapidamente, lo si fece lentamente e in maniera occulta, cominciando, dai primi di febbraio 1915, a radunare nel Veneto poco meno di 400.000 uomini con le loro dotazioni, mediante 7.720 treni. Con lo scoppio delle ostilità le F.S. affiancarono al loro ruolo principale e potremmo dire istituzionale, di trasporto tattico, quelli, secondari ma non meno importanti, di supporto mobile di artiglieria e di ospedali da campo. Vedremo nel seguito le dimensioni e l’importanza di questi ruoli. In aggiunta, analogamente a quanto fatto dalla maggior parte dell’industria ferroviaria italiana, che si era convertita interamente alla produzione di armamenti (Ansaldo, produsse circa 10.000 bocche da fuoco di vario calibro, Westinghouse e Ferrotaie produssero proiettili ecc.), così anche la struttura produttiva delle F.S. convertì parte della sua capacità alla produzione bellica. Nelle Officine di Verona, Rimini, Firenze, Napoli e Torino, con tre turni di lavoro giornaliero, si produssero proiettili d’artiglieria, affusti per cannoni e carriaggi, piattaforme per cannoni e adattamenti posamine per navi traghetto. Le stesse navi traghetto delle F.S. furono convertite, in buona parte, in navi posamine o incrociatori ausiliari e tre di esse andarono perse in azioni di guerra. Per quanto riguarda il materiale rotabile, tutto quello che poteva essere utilizzato, fu recuperato, anche se di concezione antiquata. In molti casi esso dovette essere completamente revisionato. E pur così, il punto debole del trasporto risultò la limitatezza del parco veicoli e, in particolare, del materiale di trazione. Questa limitatezza fu aggravata dal fatto che, per una serie di cause concomitanti quali la scarsità di manodopera a causa della mobilitazione, la difficoltà di approvvigionamento dei materiali e la già ricordata necessità di provvedere prioritariamente all’industria bellica, le forniture del materiale rotabile già commissionato subirono forti ritardi e divenne difficile commissionarne di nuove. Si dovette ricorrere all’industria USA per la fornitura di nuove locomotive, le cui prime 93 (7 erano andate perdute nel siluramento del piroscafo che le trasportava), arrivarono in Italia solo nel 1917, andando a costituire quel Gruppo 735 che, con 393 unità, fu uno dei cavalli di battaglia della trazione a vapore per servizi merci.
Ciononostante, ritornando al ruolo principale delle ferrovie, l’attività di trasporto fu intensa e costante e ci si rese presto conto che si doveva provvedere in tutta fretta all’esecuzione di quei lavori richiesti dallo Stato Maggiore del Regio Esercito per rendere la rete idonea a sopportare l’enorme mole del traffico militare. Per esempio, in occasione dell’offensiva sugli Altipiani (12 maggio 1916) si ebbe un imbottigliamento di treni sulle linee Verona – Vicenza – Schio e Padova – Vicenza, con ritardi di oltre 10 ore nell’inoltro dei convogli. . Furono fatti particolari sforzi anche in occasione del movimento che preluse alla presa della testa di ponte di Gorizia (18 agosto 1916) e dell’offensiva della Bainsizza e sull’Isonzo (1917). I giorni di Caporetto furono oggetto di un’attività frenetica per tentare di salvare il salvabile e i lavori di potenziamento delle linee intorno ai nodi di Vicenza, Treviso e Padova, approvati dal Comitato Supremo ed eseguiti tempestivamente, si rivelarono provvidenziali. Come sempre, le cifre possono rendere l’idea dello sforzo più sinteticamente di ogni parola. Nei giorni tra il 25 ottobre e il 15 novembre 1917, sulle sole linee del Veneto furono trasportati circa un milione di persone e 50.000 carri carichi. La sola stazione di Treviso, che abbiamo visto essere un nodo importante nella rete ferroviaria del nord-est, vide un transito giornaliero di circa 60.000 persone. Per arginare l’offensiva nemica, furono mandati a sostegno delle truppe italiane anche truppe e materiale francesi e inglesi, e questo comportò un ulteriore trasporto intensissimo, con treni che si susseguivano uno all’altro, lungo la litoranea ligure, anch’essa a singolo binario. Cominciò poi, con la resistenza sul Piave, la fase di maggior sforzo, in cui i numeri diventano impressionanti. Durante l’offensiva austriaca dall’Astico al mare (28 maggio – 15 luglio 1918), nei soli giorni tra il 16 e 26 giugno, furono trasportati 240.000 uomini, 27.000 quadrupedi, 6.000 carriaggi e cannoni, oltre al servizio dei treni ospedale. Durante la preparazione per l’offensiva di Vittorio Veneto, in poco meno di un mese furono spostati altri 320.000 uomini e 42.000 quadrupedi e 8.500 carriaggi e cannoni, oltre ai materiali vari. Per il supporto di munizionamento furono utilizzati una media di 400 carri al giorno, con punte di 600.
Infine, durante la battaglia finale vera e propria (25 ottobre – 4 novembre) furono trasportati 140.000 uomini, 8.000 quadrupedi. e 1.600 cannoni e carriaggi. Il trasporto di munizioni segnò, in quei giorni, una media superiore ai 600 carri la giorno. In contemporanea, il movimento dei treni ospedale e sanitari ebbe una media di 17 treni al giorno, con una punta di 37 il 31 ottobre. A margine della funzione di trasporto tattico vale la pena di registrare la fondamentale attività, per il funzionamento del Paese e delle stesse ferrovie, dell’approvvigionamento del carbone. Prima della guerra, il carbone fossile proveniva sia dall’Inghilterra sia, in larga parte, dalla Germania, tant’è che allo scoppio delle ostilità, furono immediatamente requisiti dalle autorità italiane più di 4.000 carri delle ferrovie tedesche e prussiane, quasi tutti a sponde alte, che si trovavano in Italia per tale trasporto. Questi carri furono immatricolati nel parco delle F.S. e distinti dagli altri premettendo la cifra 0 alla marcatura di sei cifre che normalmente identificava ogni carro italiano (a solo titolo di curiosità, i carri acquisiti successivamente, quali bottino o in conto riparazione danni di guerra, furono contraddistinti premettendo la cifra 7). Mancando per ovvi motivi il carbone tedesco ed essendo reso difficile dalle operazioni belliche l’approvvigionamento in Inghilterra, si ricorse dapprima al carbone americano (1915-16) e, successivamente, per le difficoltà sopravvenute anche nelle attività portuali, a quello francese (1917-18). In questo frangente, i carri requisiti, oltre a quelli già di proprietà F.S., servirono a creare convogli che si spingevano quotidianamente in Francia, ad un centinaio di chilometri oltre Ventimiglia, per andare ad effettuare il rifornimento di carbone. E così, ad aggravare la già cronica scarsità di locomotive di una certa potenza, le F.S., per la trazione dei treni di carbone, dovettero noleggiare alla compagnia francese Paris – Lyon – Méditerranée (PLM) ben 110 locomotive dei relativamente recenti Gruppi 730 e 680, con motore a doppia espansione, che furono assegnate al Deposito di Nizza assieme a personale italiano. Infine, è solo il caso di accennare il fatto che, per le esigenze dello Stato Maggiore del Regio Esercito e degli Alti Comandi di Vertice, furono approntati uno o due treni utilizzando in parte materiale della Compagnia dei Wagon – Lits (CIWL). Complessivamente, tra il 1915 e il 1918 furono effettuati circa 50.000 treni trasportando 15 milioni di uomini, 1.300.000 quadrupedi, 350.000 tra veicoli e cannoni, 1.820.000 tra feriti e ammalati, 22 milioni di tonnellate di viveri, foraggi, munizioni e materiali vari. Se si pensa alla situazione delle linee descritte, alla loro potenzialità in tempi normali, alla confusione generale creata dagli eventi bellici e alla stessa necessità di manutenzione dei mezzi, appare quasi incredibile che il tutto si sia svolto con un relativo ordine e in sicurezza, con un tributo, da parte dei ferrovieri, di 1.196 caduti e 1.281 decorati al valore».
Si ringrazia per le indicazioni documentarie e iconografiche il Colonnello Mario Pietrangeli, del Comando Militare Esercito Lombardia
Foto di copertina: Direzione Armi e Armamenti Navali, Spezia, Carro armato di due cannoni da 76/40 A 1917.
Bibliografia e sitografia:
Michele Mario Elia, Luigi Cantamessa, Ernesto Petrucci. “Le Ferrovie Italiane nella Grande Guerra (1915-1918)”. La Tecnica Professionale n. 10 – ottobre Roma, 2015.
Michele Antonilli, Mario Pietrangeli, “Il ruolo delle Ferrovie nella Prima Guerra Mondiale” Amarganta 2018.
Giuseppe Longo
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