Dietro ogni ricorrenza c’è sempre un lungo processo di storie e leggende, tradizioni e costumi, in grado di spiegarci il perché di credenze altrimenti inspiegabili. La festa di Santa Lucia non è da meno, e incarna in sé alcuni aspetti interessanti, diventati oggetto di studio e attraverso i quali è possibile ricostruire, passo dopo passo, le origini di questa giornata, della quale però non si dimentichi il carattere religioso.
Cominciamo col dire che, analizzando la figura della Vergine siracusana, le caratteristiche che saltano fuori sono principalmente tre.
Il primo punto ha a che vedere con il significato etimologico del nome della Santa: Lucia, infatti, deriva dal latino “lux”, cioè luce. Questa ricostruzione appare significativa in merito all’interpretazione data nel corso dei secoli a una credenza prettamente pagana, quella legata al solstizio d’inverno, che si faceva cadere proprio nel giorno di Santa Lucia, quando la notte durava più a lungo e si era soliti dire che “Santa Lucia, era il giorno più corto che ci sia”. Il solstizio d’inverno per le popolazioni rurali aveva un valore importante, perché a partire da quel giorno, sebbene il sole, fonte di luce e di sostentamento per le terre coltivate, risplendesse in cielo per poco tempo, le ore di luce si sarebbero allungate, con grande speranza per il raccolto e, anche, per l’animo umano. In seguito alla sostituzione del calendario giuliano, le cui imprecisioni avrebbero alla lunga provocato uno slittamento della Pasqua in estate, con il calendario gregoriano, voluto fortemente da Papa Gregorio XIII ed entrato in vigore il 15 ottobre 1582, si regolamentarono alcune festività, notando, tra le altre cose, un vero e proprio stravolgimento di alcuni avvenimenti; uno fra tanti fu proprio il solstizio d’inverno, che non sarebbe più caduto il 13 dicembre come consuetudine fino ad allora, ma una decina di giorni dopo: era chiaro l’intento di spegnere ogni focolaio di tradizione pagana rimasto particolarmente forte tra la gente, per attizzare nuovi fuochi e nuove credenze, tutte di ispirazione cristiana.
Il secondo punto che emerge dall’analisi di questa giornata attinge sempre al concetto di “luce”, gli occhi. I racconti sul perché Lucia sia diventata la protettrice degli occhi sono tanti e di varia natura, a cominciare dal più o meno corretto collegamento con la dea Lucinia degli antichi romani. Al di là di qualsiasi studio si voglia approfondire in base all’origine di questo aspetto, resta che nell’iconografia cristiana la Santa venga raffigurata con un vassoio d’argento, sul quale vengono custoditi i suoi “vecchi” occhi e mostrati sul viso quelli “nuovi”; bisogna ovviamente affidarsi all’interpretazione dell’immagine, cercando di evidenziare il significato più intrinseco: con ogni probabilità il messaggio si riallaccia alla storia personale della giovane, andata in pellegrinaggio verso Catania per pregare Sant’Agata, affinché guarisse sua madre, malata da anni di emorragie. Si racconta che la giovane si fosse sopita ai piedi della statua e che la santa catanese le fosse andata in sogno per comunicarle la sua missione, quella di servire i più deboli. Una volta tornata a casa, Lucia trovò la madre guarita, segno di una grazia ricevuta, alla quale doveva corrispondere la sua devozione, nonché l’annullamento del matrimonio con un giovane coetaneo. La funzione allegorica di questo racconto permette di notare il cambiamento, che per Lucia rappresenta la sua missione di vita, per il resto della cristianità un esempio a cui ispirarsi.
Il terzo e ultimo aspetto, invece, si presta a spiegare il motivo per cui nel giorno di Santa Lucia sia opportuno astenersi dal mangiare o, tutt’al più, evitare i farinacei. Il tutto ha origine nel lontano 1646, quando Palermo visse una terribile carestia, di fronte alla quale molta gente morì di fame. Molti invocarono la Santa, che salvò la città di Palermo facendo arrivare un bastimento carico di grano. I Palermitani talmente erano affamati che decisero di non perdersi nella lavorazione del grano per renderlo farina, ma di bollirlo per sfamarsi più in fretta, aggiungendo solo olio. Così nacque la cuccìa, un pasto veloce, che subì molteplici evoluzioni nei secoli, fino a diventare, oggi, una prelibata leccornia. Per ricordare l’accaduto, a Palermo rimane forte la pratica del digiuno, benché siano davvero pochi i fedeli in grado di riuscire nell’intento, o ci si astiene dal mangiare i farinacei. Tuttavia, diventa difficile mantenersi saldi verso gli obblighi morali, probabilmente perché peccaminosamente colpiti dagli odori che si diffondono per le strade del capoluogo siciliano, tra la frittura di panelle e arancine (la cui preparazione esige, secondo tradizione, l’utilizzo del pangrattato!). Un vero e proprio strappo alla regola, che in tempi di troppe proibizioni, forse, la Santa saprà perdonarci.