La notte tra il 25 e il 26 febbraio di cento anni fa a Zurigo, i servizi segreti della Regia Marina con un’audace impresa, riuscirono a sottrarre al Servizio Informazioni dell’Imperial Regia Marina austro-ungarica, sezione svizzera, una considerevole mole di documentazioni di massima segretezza. Mediante questa operazione, lo Stato Maggiore della Regia Marina, una volta acquisite le preziose informazioni e dopo un’accurata consultazione dei documenti, riuscì a smantellare una vera e propria organizzazione di informatori, spie e sabotatori, operanti nel territorio italiano. In realtà, troppi colpi di mano erano stati perpetuati ai danni della Marina Militare Italiana e la matrice di provenienza non poteva essere che una sola: i servizi segreti nemici. Il colpo di mano fu preparato dagli italiani in assoluta segretezza dopo che le accurate indagini investigative avevano individuato nel consolato viennese di Zurigo, il quartier generale dell’intelligence austriaca. La delicata azione lampo degli 007 italiani in terra svizzera peraltro nazione neutrale, fu chiamata “Colpo di Zurigo”. I componenti di questo rocambolesco blitz al Consolato austro-ungarico, sito nella strada principale, ossia la Bahnhofstrasse, furono coordinati dal Capitano di Vascello Marino Laureati e dal Capitano di Corvetta Pompeo Aloisi, a cui parteciparono anche i Tenenti Ugo Cappelletti e Salvatore Bonnes, il 2º c. sil. Stenos Tanzini, l’avvocato Livio Bini, Remigio Bronzin e Natale Papini. In seguito all’esito positivo dell’azione a sorpresa, così ebbe a dire il Grande ammiraglio Paolo Camillo Thaon di Revel: “Valeva veramente più di una battaglia vinta” (1). Abbiamo chiesto allo Storico Navale Virginio Trucco (2) di parlarci di questo storico episodio compiuto dagli 007 italiani a Zurigo, volutamente, mentre nella città imperversava la festa di Carnevale al fine di agevolare e camuffare notevolmente lo svolgimento dell’azione di controspionaggio.
«Dalla metà del 1915 fino a quasi la fine del 1916, l’Italia fu interessata da atti di sabotaggio che colpirono importanti infrastrutture e unità militari, fu distrutto il dinamificio di Cengio, incendiati parte dei depositi dei porti di Genova e Napoli, danneggiato l’hangar dei dirigibili della marina di Ancona, danneggiate alcune centrali elettriche, incendiato un treno di munizioni al molo Pagliari di La Spezia e sabotata la polveriera di Vallegrande, a questi atti vanno aggiunti gli affondamenti del Benedetto Brin (3) e del Leonardo da Vinci (4). La metodologia dei continui incidenti, portò gli investigatori a concludere che dietro di essi vi fosse la regia del nemico. Il servizio informazioni italiano era stato instituito solo nel 1900 e gli erano stati assegnati pochi uomini e ancor meno mezzi finanziari, non esisteva un ufficio centrale che raccogliesse e confrontasse tutte le informazioni, ma ogni Ministero e Comando Supremo aveva il proprio a cui si aggiungevano quello dei Carabinieri Reali e della Regia Guardia di Finanza. Il servizio informazioni della Regia Marina, denominato IV reparto, appare per la prima volta nel 1908, e come per tutti i Comandi della Marina, i suoi comandanti si alternano con frequenza. Di contro il servizio informazioni austriaco risaliva ai primi anni del ‘700. Nel 1862 l’Imperial-Regia Marina iniziò a raccogliere informazioni di pertinenza navale, con un ufficio denominato “Ufficio per la descrizione delle coste”, che nel 1900 divenne Evidenzbureau. Nel 1902 gli uffici furono spostati da Vienna a Pola ed nel 1906 ne fu messo a capo il CC Rudulph Mayer. Nel 1914 allo scoppio della guerra Mayer decise di trasferire l’ufficio a Trieste e successivamente a Zurigo, da dove Mayer poteva meglio organizzare le azioni in Italia e Francia, per mascherare il suo vero lavoro a Mayer fu assegnata la carica di Vice Console. La sua riservatezza e mancanza di collaborazione con l’organizzazione dell’esercito, lo portò in contrasto con il responsabile del suddetto ufficio e con l’addetto militare austriaco a Zurigo, tanto che decise di spostare i suoi uffici in una palazzina al N°69 della Bahnofstrasse. Dopo la cattura di alcuni sabotatori, il IV reparto si convinse che il centro di comando dei sabotaggi si trovasse in Svizzera, pertanto nel maggio del 1916 inviò a Berna il CC Pompeo Aloisi, ufficialmente come diplomatico, al fine di organizzare il controspionaggio contro l’Austria.
Intanto al servizio informazioni del Ministero degli Interni, era giunta comunicazione che tale Enea Vincenzi, aveva contattato la polizia informandola di essere stato avvicinato da agenti austriaci che gli avevano proposto di mettersi al servizio di Mayer, fu deciso d’infiltrarlo a Zurigo, dove nel gennaio 1916 Mayer gli promise molti soldi per organizzare operazioni di sabotaggio, dopo alcuni mesi Vincenzi informò Roma di avere la fiducia di Mayer, ma doveva presentare un piano, della cosa fu informata la Marina e di comune accordo fecero dire al Vincenzi che aveva trovato il modo e gli uomini per sabotare la corazzata Leonardo da Vinci, ma i complici volevano vedere prima il denaro. Mayer rispose che non vi erano problemi, gli austriaci avevano stabilito un tariffario per le azioni di sabotaggio delle unità italiane, 300.000 lire per un sommergibile, 500.000 lire per un’unità di superficie ed un milione per una corazzata, Mayer fissò l’esecuzione del piano per il 10 giugno, ma poi la spostò al 4 agosto, la nave saltò in aria il 2 agosto, il comandante austriaco dopo l’arresto di alcuni uomini, aveva iniziato ad assegnare lo stesso obiettivo a due squadre diverse, lasciandole però all’oscuro una dall’altra. Giunto a Berna, Aloisi inviò a Zurigo il tenente Ugo Cappelletti, un irredentista triestino arruolatosi nell’esercito, dove tramite un vecchio compagno di università entro in contatto con l’avvocato Livio Bini, fuggito dall’Italia per motivi legali, questi era stato ingaggiato da Mayer per un compenso di 500 franchi al mese. Bini fu convinto a fare il doppio gioco e la Marina iniziò a fornirgli informazioni costruite ad arte da passare agli austriaci. Iniziò così a frequentare assiduamente gli uffici di Mayer, fino a riferire che la cassaforte nell’ufficio di Mayer conteneva i nomi di tutti gli agenti al servizio degli austriaci in Italia. Aloisi si recò a Roma per discutere con lo Stato Maggiore, il progetto di forzare la cassaforte, dopo alcune perplessità il piano fu approvato ed ad Aloisi si aggiunsero il Sottocapo Stenos Tanzini ed il Sottotenente del Genio Salvatore Bonnes anche lui triestino. Occorreva trovare un esperto scassinatore, tramite la polizia fu arruolato un fabbro di Livorno, Natale Papini, che si trovava in libertà vigilata per un tentativo di furto ad una banca e ritenuto un mago nell’apertura delle casseforti, di fronte alle sue ritrosie, per convincerlo gli fu promesso che tutto il contenuto della cassaforte, ad eccezione dei documenti sarebbe rimasto a lui. Papini comprò personalmente tutta l’attrezzatura necessaria, dalla quale rimosse tutti gli elementi d’identificazione quindi con un assistente si recò a Zurigo, dove iniziò a costruire le chiavi per aprire le porte del consolato, doveva fabbricarne e provarne 16, il compito di ottenere i calchi e di provare le chiavi fu assegnato al Bini, che però eseguiva il compito con estrema lentezza. Dopo 15 giorni, forse per paura i due fabbri rientrarono in Italia. Aloisi allora si recò a Milano, dove riuscì a trovare un esperto ed abile fabbro, Remigio Bronzin, anche lui esule triestino. Bronzin arrivò a Zurigo il 20 gennaio del 1917 ed iniziò subito a fabbricare le chiavi ed a consegnarle a Bini per la prova, che però continuava a comportarsi in maniera sospetta. A metà febbraio Papini tornò a Zurigo e si riunì al gruppo. Terminate le chiavi, si decise di effettuare il colpo martedì 20 febbraio, il gruppo che doveva effettuare il colpo era composto da Bini, Papini, Bronzin e Tanzoni. Mentre all’esterno avrebbero vigilato Cappelletti e Bonnes. Le chiavi funzionarono perfettamente, ma giunti ad una porta, questa non si aprì, Bronzin si accorse di una seconda serratura che a detta di Bini non era utilizzata, cosa che fece aumentare i sospetti su Bini di fare il doppio gioco a favore degli austriaci, presa l’impronta della chiave, il gruppo si allontanò velocemente. Effettuata la copia della chiave mancante, fu deciso di ritentare il 25 febbraio, ma la decisione venne tenuta nascosta al Bini, anzi, gli fu proposto di prendersi tutti un giorno di riposo, Bini suggerì di assistere alla sfilata dei carri di carnevale a Ginevra, si diedero così appuntamento alla stazione per le 8.00, ora di partenza del treno per Ginevra, ma tutti tranne Bini si presentarono a treno già partito, Tanzini propose di effettuare il colpo la sera stessa, Bini tentennante accettò. Alle 21.30 i quattro entrarono di nuovo nella palazzina, tutte le chiavi funzionarono alla perfezione, entrati nell’ufficio di Mayer, si misero all’opera, Bini preparò delle corde alle finestre in caso di fuga, Bronzin appese delle tele cerate attorno alla cassaforte per impedire che la luce della fiamma filtrasse dalle finestre, Papini monta la fiamma ossidrica, alle 21.45 iniziano le operazioni di taglio, Tanzini intanto fruga nei cassetti e negli scaffali raccogliendo tutte le carte presenti, alle 22.20 appena forata la prima lamiera della cassaforte, da questa si sprigionò un getto di gas che spense la fiamma, poi iniziò ad uscire un fumo molto nero e acre dovuto ad una sostanza chimica presente nell’intercapedine fra le due lamiere, il gas riempie la stanza tanto che occorre sospendere il lavoro e aprire leggermente le finestre, trovati degli asciugamani in bagno, li inzuppano di acqua e coprendosi le vie aeree continuano il lavoro, alle 24 Papini è esausto allora Bronzin prende il suo posto, alle due la serratura cede, sono state necessarie 4 ore per aprire la cassaforte contro le due preventivate. Al suo interno viene trovato molto materiale, compresi liquidi per il valore di 60.000 franchi, i gioielli della moglie di Mayer ed una raccolta di francobolli (5) tutto viene messo in quattro valigie, ed il gruppetto decide di aspettare le quattro per uscire, dato che i treni che devono prendere, partono verso le cinque. Bronzin uscendo dall’ufficio di Mayer spezzò le chiavi nelle serrature in modo da ritardare la scoperta del furto. Alla stazione, Tanzini con le valigie prende il treno per Berna, dove lo aspetta Aloisi, Bronzin e Papini prendono quello per Milano, Bini dopo essersi recato ad un veglione per crearsi un alibi scompare. Nei giorni seguenti tutti i documenti furono portati a Roma, da dove si riuscì a smantellare la rete degli agenti austriaci, anche se a personaggi illustri fu risparmiato l’arresto ed il processo».
(1) Ricorso contro l’ordinanza di decadenza da Senatore del Conte Pompeo Aloisi in data 18 marzo 1946, pag. 6, Archivio on-line del Senato, fondo «Fascicoli personali dei Senatori del Regno» in Rivista Marittima. Giugno 2014 “I documenti ritrovati”, Claudio Rizza.
(2) Virginio Trucco è nato a Roma, ha frequentato l’Istituto Tecnico Nautico “Marcantonio Colonna”, conseguendo il Diploma di Aspirante al comando di navi della Marina Mercantile. Nel 1979, frequenta il corso AUC (Allievo Ufficiale di Complemento) presso l’Accademia Navale di Livorno, prestando servizio come Ufficiale dal 1979 al 1981. Dal 1981 è dipendente di Trenitalia S.p.A. Lo storico navale Virginio Trucco è membro dell’Associazione Culturale BETASOM (www.betasom.it).
(3) G. Longo “L’affondamento della corazzata Benedetto Brin”
(4) G. Longo “Prima Guerra Mondiale: affondamento della corazzata Leonardo da Vinci”
(5) I 60.000 franchi furono incamerati dal Servizio Informazioni della Marina, mentre i gioielli e i francobolli furono restituiti a Mayer nel 1922.
Testi consultati da Virginio Trucco: Zurigo 26-27 febbraio 1917 la Marina italiana e l’operazione Mayer. Giuliano Colliva; bollettino d’archivio anno XXIV settembre-dicembre2010 USMM. Navi e marinai d’Italia. Vol II; Compagnia Generale Editoriale S.p.A.
Foto a corredo dell’articolo 1 Corazzata Benedetto Brin tratta da: illagodeimisteri.blogspot.it 2 Corazzata Leonardo da Vinci.
Giuseppe Longo
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