Sarà il Teatro Comunale Cicero di Cefalù, alle ore 19 di sabato 24 maggio, a ospitare l’ultimo, attesissimo appuntamento della rassegna di teatro contemporaneo MAREA, sotto la direzione artistica di Santi Cicardo. In scena “Il mio nome è Caino”, opera lucida e spietata di Claudio Fava, interpretata dall’intensità ruvida e controllata di Ninni Bruschetta, accompagnato al pianoforte dalle raffinate sonorità di Cettina Donato. L’ingresso è libero fino a esaurimento posti.
Un monologo visionario sull’anatomia del male
Tratto dall’omonimo romanzo di Fava, lo spettacolo è una discesa teatrale nell’abisso morale della mafia, un viaggio nella psiche di un uomo destinato a diventare archetipo del crimine: Caino. Un nome scelto non a caso, un marchio inciso nel mito e nella carne. L’autore costruisce un racconto tragico e lucidissimo, in cui il protagonista – mafioso implacabile e consapevole – ripercorre in prima persona, dalla soglia della morte, le tappe della sua parabola criminale. Un lungo, disturbante flashback in cui la violenza si fa geometria, il delitto si trasfigura in ideologia, e l’antimafia appare, per contrasto, come un rito svuotato e autoreferenziale, sovente bisognoso di vittime da commemorare più che di giustizia da servire.
Caino come metafora e specchio
Bruschetta dà corpo a un personaggio che è finzione e realtà insieme: Caino non è mai esistito, eppure dentro di lui si addensano e si rifrangono decenni di storia mafiosa italiana – dalla voracità dei clan alla stagione delle stragi, dall’indignazione pubblica alla retorica commemorativa. Caino è, per Fava, l’essenza metafisica del male: puro, inappuntabile, coerente fino all’ultimo rifiuto. Non ucciderà ancora, e per questo sarà ucciso. In quel gesto di sottrazione si consuma un paradosso tragico: la rinuncia al crimine diventa l’unico vero atto di libertà.
Un’opera di rara potenza etica ed estetica
La messinscena, affidata alla voce potente e misurata di Bruschetta e alla colonna sonora eseguita dal vivo da Cettina Donato, trasforma la scena in un altare laico dove si compie una liturgia contemporanea e disillusa. Il teatro, in questa forma, torna ad essere spazio di pensiero critico, di disvelamento, di necessaria provocazione. Il mio nome è Caino non propone consolazioni, ma interrogativi radicali.
Con quest’opera, la rassegna MAREA si congeda dal pubblico con una riflessione alta e spietata sulla violenza, sul potere, e sul nostro rapporto con il male: non solo come cronaca, ma come destino, tentazione, e talvolta – inquietante – necessità.
