La Guardia alla Frontiera: breve storia di un Corpo dimenticato

Il Corpo di Frontiera, fu una particolare struttura del Regio Esercito, che venne costituita formalmente il 4 dicembre 1934 con lo scopo di vigilare e difendere le frontiere alpine metropolitane, ossia preservare in modo permanente, il Vallo Alpino del Littorio, quest’ultimo, noto anche col come abbreviato di Vallo Alpino. La decisione di creare tale struttura fu dettata ovviamente, anche per non rendere troppo statica la natura operativa delle truppe alpine, altrimenti, costrette a esercitare un presidio permanente nelle fortificazioni. Ma, la scelta della formazione di tale Corpo, fu soprattutto quella di creare un’unità volta a presidiare i vari fronti di sbarramento, visto i trascorsi della Prima Guerra Mondiale che vide gli eserciti impegnati in una logorante guerra di posizione. Il personale del Corpo di Frontiera fu disposto a presidio delle opere fortificate e dei capisaldi, questi ultimi, ripartiti lungo tutto l’arco montuoso, che costituivano pertanto, il primo sbarramento contro le eventuali aggressioni. Tuttavia, nei primi mesi dell’anno successivo, lo Stato Maggiore del Regio Esercito, dopo aver elaborato nei dettagli la struttura del suddetto Corpo, attraverso la circolare n. 3898 del 17 giugno, ne descrisse il definitivo organismo, indicandone le linee fondamentali, l’ordinamento e i procedimenti d’impiego.

Il Corpo di Frontiera si presentava composto da reparti delle tre armi: la Fanteria, l’Artiglieria, il Genio e da nuclei dei vari servizi. Il 28 aprile 1937 con il regio decreto n. 833, veniva ufficialmente istituito il “Corpo della Guardia alla Frontiera” e di conseguenza le G.a.F. furono introdotte nell’ordinamento del Regio Esercito. Con l’istituzione della G.a.F. il cui motto recitava: “Dei sacri confini guardia sicura”, tutta la frontiera, da Ventimiglia sino al confine con la Iugoslavia, ossia la città di Fiume, fu divisa in settori G.a.F. e a sua volta ripartiti in sottosettori, capisaldi e nell’eventualità riuniti in gruppi di capisaldi. La neonata struttura preposta alla sorveglianza dei valichi di frontiera, all’entrata in guerra dell’Italia, comprendeva nel suolo metropolitano 23 settori di copertura, un settore in Albania e 9 in Libia. I settori erano comandati da un Colonnello, mentre i sottosettori erano al comando di un Tenente Colonnello. I settori erano individuati e contrassegnati da numeri romani progressivi.

Il Corpo della Guardia alla Frontiera, nello svolgimento del suo compito, fu cooperato, ma con attribuzioni diverse, dalla Regia Guardia di Finanza, dai Reali Carabinieri, dalla Milizia Confinaria, e dalla Polizia di Frontiera e Trasporti, che sin dagli inizi degli anni Trenta gli fu affidato l’incarico per la difesa dei confini. In realtà, alle frontiere, ogni organo di vigilanza ebbe un ruolo autonomo: ai Carabinieri spettò il compito per il controllo dei passaporti ai valichi, alla Guardia di Finanza quello dell’accertamento fiscale, la Milizia, invece, ebbe la funzione di vigilanza politica, collaborata da Finanza e Carabinieri. Pertanto, tutti questi organi, nell’espletamento delle loro attività, furono posti alle dipendenze dei Funzionari di P.S. preposti agli uffici di frontiera, e alle strette dipendenze della divisione di Polizia di Frontiera e Trasporti. Infatti Con il riordino della Direzione Generale di P.S. (R.D.L. n.33 del 9 gennaio), nel 1927 viene istituita presso il Ministero dell’Interno, la Divisione di Polizia di Frontiera e Trasporti alla quale fanno capo i Commissariati per i servizi di Polizia di frontiera e gli Uffici di P.S. di confine. I Commissariati, uno per ogni zona di frontiera terrestre (1ª Genova, 2ª Torino, 3ª Como, 4ª Bolzano, 5ª Trieste). Sono retti da Funzionari di P.S. dai quali dipendono, per quanto riguarda lo specifico servizio, tutti gli organi esecutivi (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Milizia confinaria). Il primo organico ammonta a 55 Funzionari di P.S. e 294 fra Sottufficiali e Agenti di P.S. Nel 1936 viene inviato alla frontiera uno speciale Reparto di Agenti sciatori, poi dal 1940 seguono gli Agenti cinofili che, oltre a prestare servizio presso gli uffici di P.S. sono aggregati anche alla Milizia Confinaria ed alle Stazioni dei Carabinieri di confine. Per il supporto logistico ai cinofili impegnati sul confine orientale è aperto un canile di Polizia a Postumia. Gli Agenti di P.S. in servizio alla frontiera, compreso i cinofili, indossano una speciale uniforme di panno grigio verde con calzettoni e maglione di lana bianca. La giubba è a quattro tasche, chiusa con tre bottoni lisci dorati, ha il colletto aperto con il bavero ricoperto di panno cremisi. Il copricapo è del tipo a busta di panno grigio verde, uguale a quello in uso nel regio Esercito (mod. 1934), con il fregio del corpo ricamato in filo giallo. Portano a tracolla la tipica bandoliera di cuoio nero con giberna e fodero per la pistola. L’armamento è costituito dalla pistola semiautomatica Beretta mod.34 e dal moschetto 91 modello cavalleria”. (1) In merito alle “sentinelle di confine”, abbiamo chiesto al Ricercatore Storico Militare Michele Nigro (2) di parlarci della nascita del Corpo della Guardia alla Frontiera, sin dal tempo di pace, e degli altri organismi preposti alla vigilanza dei confini dello Stato, organi che dal punto di vista esecutivo facevano capo ai Funzionari della Pubblica Sicurezza.

«Quale appartenente alla Guardia di Finanza in quiescenza, come collezionista e ricercatore storico, in più occasioni avevo sentito parlare di “Guardia alla Frontiera”, ma non c’era mai stata l’occasione per approfondire la ricerca su tale Unità. Lo spunto mi è stato dato dall’amico Giornalista, Giuseppe Longo che, con curiosità, mi chiedeva se avevo informazioni su questo Corpo e quali fossero le sue peculiarità e attribuzioni. Ho chiesto ad amici e colleghi, appassionati come me di storia, ottenendo solo poche e vaghe indicazioni, scarse le notizie su internet, fino a quando Giuseppe Nasta, un valido collezionista e cultore palermitano di vicende militari, mi ha fornito gli elementi di partenza per definire il presente resoconto. Gli appunti acquisiti e la consultazione del prezioso libro scritto dal Generale Massimo Ascoli “La Guardia alla Frontiera” – USSME, Roma 2003 -, opportunamente sintetizzati e integrati, mi hanno consentito di illustrare le vicende di questo Corpo che sacrificò, nella sua pur breve esistenza, un gran numero di suoi militari. Per poter meglio comprendere lo sviluppo della Guardia alla Frontiera dobbiamo necessariamente esaminare la situazione generale delle opere difensive alle frontiere italiane. Dopo la fine della I Guerra Mondiale, le già obsolete fortificazioni poste ai confini di Stato, a causa della scarsa disponibilità di fondi generata dal conflitto, furono trascurate continuando a subire un progressivo deterioramento. L’annessione di nuovi territori aveva reso, inoltre, inutilizzabili quella parte di strutture che si trovavano arretrate rispetto ai nuovi confini. Tale situazione, la consapevolezza della necessità di realizzare fortificazioni adeguate alle nuove tecniche costruttive e ai più recenti armamenti nonché l’esigenza di dislocare i complessi difensivi in maniera più consona all’attuale situazione territoriale, spinsero lo Stato Maggiore dell’Esercito a progettare un sistema di difesa che fosse al passo con i tempi. L’instabilità politica europea degli anni ’30 accelerò tale processo e palesò, parimenti, la necessità di creare un corpo autonomo che si occupasse di presidiare, rendere funzionali le fortificazioni e assicurare la copertura della linea di confine.

A differenze di quelle già esistenti, le fortificazioni realizzate nel periodo in esame si distinguono per: una struttura più compatta; l’armamento costituito da cannoni di piccolo, medio calibro e mitragliatrici; l’oculatezza nella mimetizzazione dei manufatti con l’ambiente circostante e l’uso di acciaio e cemento armato. Nonostante i buoni propositi, nel 1938 non erano stati ancora raggiunti gli obiettivi fissati, mancando l’esecuzione di alcune opere di maggiore entità e numerose installazioni che dovevano costituire la copertura “in profondità”. Per fronteggiare tale situazione furono progettate strutture di facile realizzazione, costituite da un blocco di cemento di vario spessore, che consentirono di incrementare in poco tempo il numero delle fortificazioni esistenti. Per dare maggiore celerità ai lavori si utilizzò anche personale proveniente dai reparti della G.a.F. Il Maresciallo Graziani, nominato Capo di Stato Maggiore dell’Esercito nel 1939, introdusse altre innovazioni nell’organizzazione delle strutture difensive statiche che furono costituite da più sistemi fortificati adiacenti (di norma tre), ma distanziati fra loro, in modo da potenziare il volume di fuoco e la difesa delle posizioni, con ciò determinando un maggior impegno delle artiglierie e truppe nemiche in caso di possibili attacchi volti ad occupare le nostre posizioni. Passiamo ora a esaminare il sistema di difesa delle fortificazioni italiane all’alba dell’entrata in guerra, nel giugno del 1940. L’apparato difensivo nella fascia di confine, che andava da Ventimiglia a Fiume, contava in genere tre sistemi di fortificazioni: il primo, continuo, a ridosso della frontiera; il secondo, discontinuo, di sbarramenti posti a metà costa e un terzo formato da capisaldi realizzati nelle vicinanze degli sbocchi in pianura dei più importanti solchi delle vallate. Tra i diversi livelli dei sistemi difensivi e tra gli spazi liberi esistenti tra fortificazioni contigue erano posti degli ostacoli passivi costituiti di massima da reticolati, fossati e ostacoli anticarro. In Sicilia, nelle isole e lungo le coste, la difesa era normalmente costituita da due complessi difensivi: il primo composto da capisaldi posti sulla linea costiera e il secondo, arretrato, formato da postazioni a presidio dei nodi stradali, ferroviari e degli obiettivi strategicamente rilevanti.

In tale contesto si inserisce la nascita del nuovo corpo. Il reparto, inizialmente denominato “Corpo di Frontiera” e in seguito “Guardia alla Frontiera” (G.a.F.), nacque di fatto nel 1934 ma, ufficialmente, venne istituito solo nell’aprile del 1937 con il Regio Decreto Legge n. 833. Lo scopo, come già detto, fu quello di sostenere l’ampio sistema di difesa delle frontiere costituito da opere fisse e unità statiche a loro appoggiate. Il Corpo, agendo autonomamente rispetto all’Esercito, dal quale in vario modo dipendeva, consentiva a quest’ultimo di svincolare le “Grandi Unità” dal territorio ove operava dandogli la disponibilità di contare su un numero ben definito di unità operative, da spostare secondo le esigenze del momento senza lasciare scoperti i settori difensivi dai quali si allontanava. È opportuno evidenziare che la Guardia alla Frontiera fu sempre in continua evoluzione. I riordini, gli adeguamenti organici e strutturali, si susseguirono con il mutare delle condizioni politiche e degli equilibri tra gli stati europei. Tale situazione si accentuò nel corso del conflitto e dopo la firma dell’armistizio con le truppe Alleate (8 settembre 1943). Prima della costituzione della G.a.F. la vigilanza e la tutela degli estremi confini della Patria era affidata, con compiti e attribuzioni diverse, alla Regia Guardia di Finanza, ai Carabinieri Reali, alla Milizia Confinaria e ai reparti degli Alpini. Questi ultimi, ritenuti a pieno titolo i più preparati a permanere e operare in montagna, si erano occupati fino allora di custodire le opere difensive e vigilare sulla fascia di confine.

La creazione di questa nuova unità affrancò i citati reparti dall’attività di presidio delle opere e di pattugliamento dei confini ma non quella di fornire gli elementi atti ad assicurare il servizio di “osservazione e di allarme”. In caso di mobilitazione fu previsto che ai reparti della G.a.F. si affiancassero, quali rinforzi, compagnie di mitraglieri e artiglierie, battaglioni di Camice Nere, reparti territoriali presenti sul posto, elementi del genio e personale addetto alla difesa antiaerea. Come ogni creatura appena nata, la G.a.F. incontrò nella fase iniziale non poche difficoltà dovute alla materiale creazione dell’Unità. Serviva un valido “quadro ufficiali”, un congruo numero di sottufficiali, militari delle varie specializzazioni (fanteria, artiglieria, genio e servizi) nonché mezzi, armamento e supporti logistici atti a far funzionare senza intoppi questa estesa e complessa macchina destinata a garantire una barriera, teoricamente impenetrabile, contro la quale il nemico doveva arrestarsi. Il motto assegnato, “Dei Sacri Confini Guardia Sicura”, esplicita la consegna data all’Unità dal Generale Umberto di Savoia durante una delle sue ispezione presso un reparto. Il Corpo fu articolato in “Settori” retti da generali di brigata o colonnelli. Da questi dipendevano due o più “Sottosettori” cui erano sottoposti due o più “Gruppi di Centro” sotto articolati in due o più “Centri” presidiati da “Nuclei”di militari. Alla struttura si affiancavano i “Depositi Territoriali” che fornivano viveri, munizioni e materiali vari. I reparti sovra ordinati ai settori s’identificavano nei Comandi: “G.a.F. di Corpo d’Armata” e di “Corpo d’Armata” del Regio Esercito. I Settori e le sottoarticolazioni presiedevano, con diversi livelli di responsabilità, le opere e le unità ricadenti nel tratto di confine assegnato.

L’artiglieria G.a.F. era articolata in “Gruppi” di batterie denominate: “Sempre Pronti”, di “Appostamento Accelerato” e di “Approntamento Normale”, e si occupava del funzionamento degli armamenti mentre gli specialisti del Genio e quelli addetti ai Servizi, aggregati al reparto, consentivano un’autonomia logistico/funzionale occupandosi della manutenzione tecnologica degli impianti, della gestione delle strutture e della creazione dei collegamenti viari per consentire ad uomini e mezzi il rapido raggiungimento degli apprestamenti difensivi e i collegamenti con le caserme. La novità di quest’organizzazione era la ridotta linea di comando che dava ai capi settori, ricevuto l’ordine operativo, di renderlo prontamente esecutivo per le articolazioni dipendenti, disponendo a tale scopo di tutti gli elementi necessari in uomini, mezzi e materiali. Nell’immediato transitarono nel neo istituito reparto cinque reggimenti di Artiglieria del Regio Esercito. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale l’Unità contava oltre 63.000 effettivi, 2.000 pezzi di artiglieria, 7.000 mitragliatrici, 1.000 mortai e alcune decine di carri armati. Come rivelano i numeri, un organico importante costituito da personale proveniente da tutti i distretti militari italiani ma sicuramente insufficiente a garantire gli organici dei ventitré “Settori” di copertura in Italia, del settore albanese e dei nove settori libici. Si tenga conto che, suo malgrado, la G.a.F. si trovò spesso a supportare l’attività delle truppe mobili dell’Esercito in tutti i teatri operativi di combattimento, anche fuori dall’Italia, in ciò venendo distolta dal precipuo compito di presidio e difesa delle postazioni e posizioni assegnate.

L’uniforme adottata dal Corpo era una derivazione di quella dell’esercito ma con alcune particolarità. Il bavero della giacca era di panno verde filettato con i colori dell’arma o corpo di provenienza. Al centro dello stesso erano poste le stellette, in seguito sostituite con mostrine verdi a una sola punta bordate del colore proprio dell’arma o corpo di provenienza. Il copricapo, inizialmente costituito dalla classica “bustina” e dal berretto rigido, fu sostituito con il cappello alpino (1938) munito di nappina laterale ovale verde bordata dei colori dell’arma d’origine, quest’ultima riprodotta anche sul fregio riportante il numero distintivo del reparto, ma sprovvista di piuma. La nappina degli ufficiali era di metallo dorato con la croce dei Savoia in rilievo. Alle bande dei pantaloni e alle manopole erano inseriti dei filetti del colore dell’arma o corpo di provenienza. Sulla manica del braccio sinistro era applicato il distintivo di settore costituito da uno scudetto, metallico o di stoffa, giallo oro su fondo verde. In verticale un gladio con la punta rivolta in alto attraversato da una fascia gialla ad arco sulla quale era riportato, in numero romano, il settore di appartenenza. Completavano il corredo: camicia e cravatta grigio verde, calzettoni di lana, scarponcini con chiodatura, cappotto di panno e zaino alpino.

Gli Ufficiali e i Marescialli portavano al fianco una fondina per pistola in cuoio marrone, mentre i militari armati di moschetto 91 e 91/38 erano dotati di cinturino, giberne e cinghia di sostegno. Le dotazioni erano completate da una borraccia in alluminio, dall’elmetto metallico mod. 33 e 34/39 e dalla maschera antigas M33 o T35 che insieme a un tubo corrugato, che serviva per allacciarsi all’impianto di aerazione/filtrazione collocato nelle camere da combattimento delle opere fortificate, garantiva la protezione delle vie aeree. L’equipaggiamento era quello tipico delle truppe alpine e l’addestramento duro e selettivo. Spirito di corpo e di sacrificio, disciplina ferrea e alta dirittura morale erano gli elementi fondanti. I militari erano sottoposti a: intensi allenamenti fisico/sportivi; esercitazioni di tiro con le armi di reparto e individuali; marce isolate per formare guide e portaordini, lezioni di orientamento e ambientamento montano con rudimenti di alpinismo. Le guarnigioni erano normalmente ubicate lontane dai centri abitati, nei pressi delle postazioni, per cui la vita delle guardie era divisa esclusivamente tra i turni di servizio presso i complessi fortificati o le diverse guarnigioni e la permanenza nelle caserme del reparto. Il limitato contatto con la gente del posto e la vita in montagna, erano volte a favorire l’impegno dei militari nell’attività svolta e approfondire la conoscenza del territorio dove operavano. Razionalmente concepita per difendere, in via autonoma, i confini dello Stato, la Guardia alla Frontiera si trovò a fronteggiare varie difficoltà tecnico-organizzative legate alla vigilanza dell’esteso confine terrestre e costiero. Tale situazione venne in parte risolta con l’emanazione di norme e disposizioni che modellavano gli organici e le strutture difensive man mano che sorgevano particolari esigenze. Una corsa senza traguardo determinata dal continuo mutare degli eventi.

La difesa del confine francese, in parte abbandonata per l’occupazione tedesca di quel territorio, la neutralità della Svizzera, l’inutilità della difesa del confine austriaco divenuto territorio “amico” e, di contro, la necessità di creare un sistema di difesa nelle Isole, nelle colonie africane e in Albania determinò un costante spostamento di truppe e materiali. L’evolversi degli eventi nei vari teatri operativi di guerra contribuì alla graduale dissoluzione dell’Unità, utilizzata come rincalzo per colmare i vuoti organici e funzionali del Regio Esercito. Il depauperamento di risorse portò, nel settembre del 1943, ad avere alla frontiera occidentale un organico G.a.F. ridotto al 50%, a quella orientale una riduzione di personale del 60% e alla frontiera settentrionale la presenza solo dei militari addetti alla vigilanza delle opere. La firma dell’armistizio con gli “Alleati”, nelle zone ancora occupate dai tedeschi, creò un’impari confronto tra questi e i militari della G.a.F. che, inferiori per uomini e mezzi e privi di direttive, si batterono coraggiosamente per non cedere i territori presidiati. Seguì la dissoluzione generale del Corpo e la resa ai tedeschi. I militari che si opponevano furono uccisi, catturati ed inviati nei campi di concentramento o internamento, altri si unirono ai partigiani. Alcuni di loro rientrarono nei territori occupati dai nuovi “Alleati” prestando servizio nelle forze cobelligeranti.

L’Unità di fatto scomparve, quello che ne restava transitò nei ranghi dell’Esercito o si disperse. Il 25 gennaio del 1944 la Guardia alla Frontiera fu definitivamente sciolta lasciandosi dietro una scia luminosa di atti d’eroismo premiati con trentaquattro medaglie d’oro al valor militare e molte altre onorificenze a testimoniare il valore di tanti uomini che immolarono le loro vite a difesa della propria Patria. Il trattato di pace firmato con le potenze vincitrici a Parigi nel febbraio 1947, annullò lo sforzo italiano nel creare una linea difensiva alle frontiere, imponendo la distruzione dei sistemi di fortificazioni e installazioni militari realizzate ai confini con Francia e Jugoslavia e, per i rimanenti confini, l’attuazione del medesimo provvedimento per una profondità di 20 Km. Analogo provvedimento per le strutture presenti in Sicilia e Sardegna. L’operazione doveva essere ultimata entro un anno dalla definizione dei nuovi confini di stato.

Per concludere l’argomento vogliamo evidenziare i rapporti che hanno legato i siciliani alla Guardia alla Frontiera e quest’ultima alla Sicilia. Tenuto conto che il sistema di arruolamento nel Corpo si svolgeva a livello nazionale, negli organici della G.a.F. confluirono numerosi militari di origine siciliana che vi si arruolarono o vi furono destinati d’autorità per l’impiegò nei vari presidi e teatri operativi. Molti di loro si distinsero per l’audacia e il coraggio dimostrati in combattimento. Uno di questi intrepidi è la Medaglia d’Oro al Valor Militare Barbagallo Orazio di Acireale (CT), classe 1912. Il militare apparteneva alla 3ª compagnia dislocata a Giarabub, oasi libica strenuamente difesa dai nostri soldati dall’occupazione di preponderanti truppe britanniche. La motivazione, di seguito riportata, descrive il cruento episodio di guerra e gli atti eroici di cui fu protagonista Barbagallo. “ “ “ Valoroso soldato distintosi in vari combattimenti dava sempre belle prove di coraggio e di incuranza del pericolo. Quale porta ordini, si lanciava volontariamente più volte al contrassalto col rincalzo di settore. Accortosi che un comandante di plotone giaceva gravemente ferito su una posizione fortemente battuta dal tiro di mitragliatrici, si portava sul posto dopo aver attraversato una zona tempestata da proiettili e, caricatosi sulle spalle il ferito, lo portava in un ricovero. In una lotta serrata, caratterizzata da un susseguirsi di assalti e contrassalti, con intenso lancio di bombe a mano, seguiva da vicino il proprio comandante di settore lanciandosi nella mischia dove più grave era il pericolo, dando prove di non comune eroismo e trascinando così i compagni alla lotta. Infine accortosi che una bomba a mano stava per cadere in pieno sul proprio comandante, si lanciava fulmineamente su di esso facendo scudo del suo corpo. Gravemente ferito trovava parole di conforto per il suo comandante rimasto anche egli colpito. Giarabub (A.S.), 21 marzo 1941 ” ” ”.

Diverso ma non meno avventuroso, il percorso militare della Guardia Ciro Guarino di Villafrati (PA), classe 1914. Il militare, dopo aver svolto il servizio di leva in Fanteria, nel 1935 fu richiamato alle armi e inquadrato, quale fante, nel corpo della Guardia alla Frontiera. Nel 1940 fu mobilitato nel 55° plotone mitraglieri. Congedato, fu richiamato nuovamente nel 1941 e imbarcato a Bari da dove partì con destinazione Durazzo, Albania. Passò poi in Grecia e dopo la firma dell’armistizio, nel settembre del 1943, fu catturato dai Tedeschi. Si unì ai partigiani e, dopo alterne vicende, nel 1946 rientrò a Villafrati. Decorato con numerose onorificenze, è stato la memoria storico-militare del suo paese. “L’Italiano”, così era chiamato dai suoi compaesani, con la sua facile dialettica narrava la difficile vita trascorsa sotto le armi, le difficoltà, gli orrori della guerra, entusiasmando e attraendo numerosi ascoltatori. Con la sua morte, avvenuta nel 2015 all’età di centouno anni, è scomparso un prezioso testimone della nostra storia nella II Guerra Mondiale. Allo scopo di potenziare le strutture difensive della Sicilia, a decorrere dal 1941, giunsero nell’Isola reparti specializzati della G.a.F. che vennero aggregati alle truppe del Regio Esercito nell’ipotesi, già preventivata dagli alti comandi militari italiani, di una sua possibile invasione. Le unità furono inquadrate nei supporti della 6ª Armata, inserite nelle divisioni costiere o nelle difese aeroportuali, perdendo la loro identità di reparto e della loro presenza raramente si trovano tracce. I primi reparti a essere trasferiti in Sicilia furono i Battaglioni mitraglieri: 103° e 103° bis del XV settore, 104° del XIII settore, 105° del XV settore. Seguirono la 615ª e 616ª Compagnia di mitraglieri del XIII settore che furono dislocate a Marsala e Pantelleria. Altre Compagnie di mitraglieri trovarono impiego a Licata e Lampedusa. Il XII Raggruppamento artiglieria, costituito da tre Gruppi, fu anch’egli aggregato alla 6ª Armata mentre altri reparti furono inseriti nel XVI Corpo d’Armata, in particolare: il CII Gruppo di artiglieria fu dislocato a Rosolini (SR), mentre il XIX e LXIII Gruppo di artiglieria, e il 104° Battaglione mitraglieri da posizione con le sue compagnie di mitraglieri vennero dislocati ad Alcamo (TP). Il 22° Raggruppamento e i suoi Gruppi di artiglieria: XXX, CXXVII e CXXX con alcune Compagnie di mitraglieri, furono impiegate a Paternò (CT). Per la difesa aeroportuale furono impiegati alcuni gruppi di artiglieria e batterie presso gli aeroporti di Comiso (RG), Trapani Milo, San Pietro – nei pressi di Acate – (RG), Catania e Gerbini (CT). I Gruppi di fuoco delle artiglierie della G.a.F. spararono contro le truppe Alleate ad Agrigento mentre sulla strada che da Palermo porta a Trapani bloccarono l’avanzata degli americani costretti, per annientare le postazioni, a fare intervenire l’aviazione. Sicuramente le Guardie alla Frontiera, come altri corpi, si fecero onore in tante altre località. Le preponderanti forze avverse ebbero comunque ragione del nostro Esercito che, affamato per la mancanza di viveri e privo di rifornimenti, si ritirò oltre lo stretto di Messina lasciandosi dietro fantasmi di città rese cumuli di macerie dai bombardamenti alleati».

(1) La Polizia Italiana Capitolo IV (1925-1945), 2016

(2) Michele Nigro, Sottotenente in congedo della Guardia di Finanza, nel corso della carriera ha ricoperto incarichi vari a Trieste ed alla sede di Palermo. Riveste, in atto, la carica di Vicepresidente della Sezione A.N.F.I. (Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia) di Palermo. Ha pubblicato, sul sito interno della Guardia di Finanza e sulle riviste del Corpo, vari articoli sulla costituzione e sviluppo di alcuni reparti con sede a Palermo e sull’attività della Finanza in Sicilia in diversi periodi storici. È stato curatore e organizzatore di diverse mostre inerenti la Guardia di Finanza, tra le quali: “Le operazioni di soccorso della Guardia di Finanza nella Valle del Belice, gennaio 1968”;  “La caserma Cangialosi, 160 anni con la divisa e 64 in grigio verde”; “La Guardia di Finanza dall’Unità d’Italia alla Repubblica”;  “Evoluzione storica della Caserma Cangialosi dai primi del ‘900 ad oggi” ed altre di diverso carattere, quali: “La Sicilia dei Russi”, “L’anima dei Corpi” e “Il filo della memoria, dalla Grande Guerra alla Resistenza”. Tra le pubblicazioni ricordiamo: “Sulle tracce dei russi in Sicilia. Cronache ed itinerari dei viaggiatori russi dal ‘700 al ‘900”, “La Sicilia dei Russi”, “La Resistenza e i Siciliani”.  Ha collaborato, quale consulente storico, con alcuni autori ed ha curato i testi del volume “La mia vita, le mie battaglie”, di Leonardo Gentile. Dal Consolato Russo per la Sicilia e Calabria, ha ricevuto due diversi riconoscimenti; uno per il contributo fornito al consolidamento dei legami del Sud Italia e  la Russia e l’altro per la consulenza storica fornita circa i rapporti e le relazioni intercorse nel tempo tra quel paese e la Sicilia. Da parte dell’Associazione culturale “Suggestioni Mediterranee” ha ricevuto il premio “Siciliani di Pregio”.

Testo consultato da Michele Nigro: Massimo Ascoli, “La Guardia alla Frontiera” – USSME, Roma 2003

Foto 1 Carabinieri e MVSN Confinaria. Da sinistra verso destra, l’ultimo Carabiniere è Molinari Armando. Si ringrazia per la foto Diego Bosi

Foto 2 Cartolina illustrata  G.a.F. Collezione M. Nigro

Foto 3 Adunata G.a.F. Collezione, A. Bellomo

Foto 4 Esercitazione G.a.F. Collezione, M. Nigro

Foto 5 Esercitazione G.a.F. ad alta quota Collezione, M. Nigro

Foto 6 Addestramento in montagna G.a.F. Collezione M. Nigro

Foto 7 (Collezione F. Projetto) 14.8.42 Bousson di Cesano

Foto 8 G.a.F. Ciro Guarino – Archivio Fam. Guarino

Foto 9 Fregio da berretto G.a.F.  III Settore

Foto 10 Uniforme completa ufficiale della G.a.F. Collezione F. Pittei

Foto 11 Uniforme ufficiale della G.a.F. Collezione F. Pittei

Foto 12 Bunker porto Palermo. Collezione A. Bellomo

Giuseppe Longo
[email protected]
@longoredazione

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