Da sempre la navigazione dei pescatori Cefaludesi non va oltre “l’acqua capuna” , non troppo lontana dalla costa, tant’è vero che è proverbiale riconoscere i pescatori di Cefalù quali navigatori costieri. Si dice infatti “tierra tierra comu i varchi di Cifalò” = terra terra come le barche di Cefalù. Ricordiamo nel passato in periodo di grande magra le sortite nelle “lontane” acque di Siculiana e le sortite fino alle isole Eolie per imbarcare “chiappira” e ne facevano oggetto di commercio. Negli anni ’50 si abbandonarono le barche a remi per introdurre il motore . Non esiste a Cefalù il peschereccio, ciò conseguenza del tipo di pesca eminentemente costiero. Ancora oggi molte sono le piccole imbarcazioni , notevole è la presenza di “uzzi” (gozzi) che per la loro natura sono imbarcazioni per un certo tipo di pesca per esempio la pesca di “sicci” (seppie). Oggi non esistono più le corse di “ddisa” (legavite) che realizzavano gli stessi pescatori. La “ddisa” veniva lavorata prima ammorbidendola con l’acqua , poi veniva battuta con uno strumento in legno (una sorta di mazzuolo di dimensione più corta) ed infine attorcigliata con una nodolatura che richiama da vicino le normali corde. Le reti oggi sono di nailon prefabbricate mentre un tempo erano realizzate e riparate dalle donne dei pescatori. Resistono ancora tanti strumenti tradizionali e con essi ne persiste il linguaggio. E’ vivo ancora il lessico delle misure: Canna , strumento in legno , lungo quanto un’apertura di braccia normali; u cantaru corrispondente quasi a 100 kg; spasella, che è un contenitore quasi piatto per la profondità ma è anche misura (il pesce spesso viene venduto “a spasella” cioè per la quantità che può contenere una spasella). I pescatori continuano a usare u valanzuni, una bilancia a statèra ad un solo piatto, u varrile un contenitore per la conservazione del pesce. A Cefalù la pesca principale è quella delle acciughe e delle sarde, quanto agli strumenti di pesca classica sono diversi e molteplici. La minaita, ossia la mensida per i fondali, presenta nella parte superiore i cosiddetti salimi, cioè i pezzi di sughero che servono a tenere a galla la rete, mentre la parte inferiore è dotata di piombi per l’affondamento della rete. L’uso di andare a paranza è quasi venuto meno. I pescatori che praticavano questo tipo di pesca si chiamavano paranzari. Le barche della paranza vanno a coppia (parigghia) legate al secondo banco di poppa (bancu sintina) e portavano reti a strascico terminanti a sacco (cannola) . Un’altra pesca praticata a Cefalù è quella d’u parangulu formato da 4 ceste e un linzinu che è uno spago speciale che nella punta presenta un piccolo amo che , legato ad una corda, viene buttato lontano per pescare le sarde . Un’altra rete è u tartaruni utilizzata quando l’acqua è troppo bianca conseguentemente a qualche temporale . Con tale rete si pesca “u muccu” ossia il neonato. A sciabbica è la rete con la quale si possono pescare i scummi (gli sgombri). A sassola è uno strumento concavo che serve a sgottare l’acqua, ossia a togliere l’acqua che si accumula nel fondo dell’imbarcazione. U cianciolu classica pesca notturna per pescare sarde ed acciughe . Questo tipo di pesca si effettua con le lampare. Il cianciolo è una rete lunga 207 metri la quale presenta una sorta di custodia , cioè un’altra rete di protezione chiamata fasciuni ( larga fascia). La prima rete presenta 32 anelli di ferro che vengono passati in una corda chiamata cannimu (raccoglitore) che ha la funzione di raccogliere tutti gli anelli in un punto e, chiudere il pesce. Andare a ràiuli significa andare a pesca di seppie, triglie, aiole.Per questo tipo di pesca esiste ‘a rizza di lienza, cioè la rete ad ago, così come ‘a rizza lungara per la pesca del pesce spada e del tonno. Notevole è la quantità di pesce azzurro che viene pescato nel mare di Cefalù e che alimenta l’industria conserviera per la quale viene impiegata parecchia manodopera da quelli che scapuzzano i sardi e anciovi (tolgono la testa alle sarde ed alle acciughe) ai salatori. A Cefalù oggi abbiamo la Ditta Pesce Azzurro Cefalù in contrada Presidiana che esporta in tutto il mondo. Una pesca tradizionale e caratteristica è anche quella dei “capuna” (caponi-lampuga) e “nfanfiri” (fanfari) che si svolge nei mesi di settembre-novembre. Una pesca praticata con una rete speciale ed a largo dalla costa . U capuni viene “attratto” mediante un’esca particolare che i pescatori chiamano ‘a valarina (cosa bella , valida attraente come una bella donna che proprio dai nostri pescatori viene chiamata valarina). La valarina è realizzata mediante pezzi di legno, di sughero. nel punto in cui vi è ‘a valarina i pescatori collocano a calma, cioè sugheri, bidoni di plastica o palme. Il pesca è attratto e, quindi, cade nella predisposta rete.
Un altro pescato tipico a Cefalù, anche se di minore quantità, è quello del pesce porco per la cui pesca si usano i nassi. I nassi, sono strumenti a forma di giara terminanti a punta di piramide, realizzati dagli stessi pescatori con giunto di virgulto di olivo. Altra specie di fauna marina oltre ai pesci gà citati, nel mare di Cefalù sono presenti anche “i vuopi” (vopi); “i sauri” (saraghi); “a spinula” (spigola); “a ricciuola” (ricciola) chiamata dai pescatori “a riggina du mari” (la regina del mare); “a tracina” (trachinus draco) che i pescatori temono molto per la sua spina velenosa. Tra i frutti di mare sono raccolti “rizzi” (ricci) ” patieddi” (patelle) e “accelli” (arcelli). Al rientro dalla pesca i pescatori convogliano il pesce sutta a ravia, luogo che si trova in Piazza Cristoforo Colombo. Il pesce viene pesato, valutato nel prezzo mediante l’asta e , dunque, posto in vendita. A Cefalù la quasi totalità del pescato veniva venduto dai riattieri (rigattieri) che quasi sempre erano gli stessi pescatori addetti alla vendita . Il pesce veniva da loro collocato ne panara (panieri speciali perchè molto larghi e piatti) o nelle baschitte. (Testo tratto dall’opuscolo: Omaggio ai pescatori di Cefalù di Domenico Portera)