In psicologia con il termine “famiglia” si intende il primo ambiente in cui il singolo individuo è inserito; solitamente è da questo contesto che dipende il benessere della persona, adulto o bambino, dal quale si traggono gli insegnamenti per entrare in relazione con il mondo e si acquisiscono valori, codici etici e di vita.
Ma da cosa dipende il benessere di una famiglia e di conseguenza il benessere individuale? I bambini tendono ad idealizzare la famiglia e a vederla come quel luogo sicuro in cui ripararsi se in difficoltà o nel quale cercare affetto e coccole. Per gli adulti, la famiglia è il contesto nel quale poter realizzare le proprie aspirazioni, sentirsi realizzati perché si è stati in grado di costruire e garantire un futuro alla prole oltre all’aver sperimentato la capacità di aver messo al mondo e cresciuto un figlio. Insomma, la famiglia è il luogo nel quale tutto si crea e tutto si tramanda, in bene ma anche in male.
La natura dei legami tra i membri di una famiglia in genere detta le regole per relazionarsi con il mondo esterno; detto in altre parole, se si costruisce un rapporto autentico e spontaneo tra tutti, solitamente si tende a riproporlo anche all’esterno, se al contrario, la spontaneità autentica perde il carattere della flessibilità che gli è proprio e si irrigidisce in modalità stereotipate, allora si creano relazioni disfunzionali con l’esterno ed un inevitabile senso di malessere che accompagna l’esistenza tutta.
Ritrovarsi, parlare, fare un salto nel passato tuffandosi negli album fotografici o magari vedere insieme qualche video di festa familiare, ricordare eventi importanti insomma “fare insieme” si costituiscono come passaggi fondamentali per la garanzia del benessere familiare.
La frenesia della vita oggi non gioca a favore poiché non si trova mai il tempo per fermarsi e fare delle cose insieme, così che i ritmi della famiglia si adattano a quelli imposti dalla vita lavorativa e, aggiungerei, dalle ambizioni personali.
È come se oggi, la famiglia ha perso di vista l’unicità, inteso come carattere specifico che ne consente la distinzione da un’altra e si tende ad omologarsi al prototipo di famiglia centrato sulla quotidianità piuttosto che sul “sentire emotivo”.
Chiedere “come stai?” o dire “sono fiero di te” o semplicemente “grazie, ti voglio bene”, cose semplicissime che si danno per scontate ma paradossalmente alquanto difficili da verbalizzare. Spesso e volentieri, nella mia pratica clinica mi capita di ascoltare pazienti che portano con se il rimorso di non avere detto, quando erano ancora in vita al proprio genitore, “ti voglio bene” o “grazie per quello che hai fatto per me”.
In conclusione, cari lettori il messaggio che mi piace lasciare oggi è proprio questo: siate autentici e spontanei con i vostri cari e ne ritroverete in salute e benessere psicologico.