Ricominciare è la grazia che ci è concessa nel mistero della misericordia di Dio.
È entrare nel ritmo dell’anno liturgico che occupa il tempo e lo ricrea, rinnovandolo.
Non è un volgersi indietro e nemmeno il voler spostare all’indietro le lancette dell’orologio o un reset del passato.
Ricominciare è una grazia spirituale: è l’irruzione dell’amore di Dio nella nostra vita, che, attraverso la forza creatrice del suo perdono, ci rifà nuovi.
Ne L’infinita pazienza di ricominciare, Padre Ermes Ronchi racconta di un suo viaggio in Mongolia durante il quale ha incontrato una giovane comunità missionaria che alla domanda: «Che cosa ti ha sedotto del cristianesimo?», la maggior parte rispondeva: «Sono diventato cristiano perché ho sperimentato che la mia vita può ricominciare». Oppure: «Ho sbagliato molto ma la misericordia di Dio mi ha fatto ripartire».
Vi esorto, perciò fratelli e sorelle a non accogliere invano la grazia di Dio.
Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! (Cfr. 2Cor 6,2).
Ricominciamo ricordando le parole pronunciate da Papa Francesco, esattamente due anni fa, durante il lockdown: «Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla».
Parole che ci riportano a quelle di Albert Einstein, pubblicate nel 1931 (Il mondo come io lo vedo) mentre nel mondo imperversava la crisi economica, presto degenerata in crisi politica con l’ascesa di ideologie totalitarie:
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato”.
Nella crisi, le cose si cambiano alla radice, perché essa stessa nasce proprio per la caduta del fondamento. Si perde, come si dice in informatica, il codice sorgente, ossia quel codice che contiene tutte le istruzioni perché il programma esegua le funzionalità per cui è stato progettato. Per noi cristiani il codice sorgente è il Cristo risorto.
Dopo la morte di Cristo i discepoli si erano dispersi; tutto sembrava finito, si era spenta la speranza: “noi speravamo” dicono, delusi, i due di Emmaus. Ad un certo punto però irrompe incredibile, come una luce nella notte, la buona notizia delle donne: «È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete» (Mt 28,7).
Mi piace in questo racconto di Matteo l’invito a ritornare in Galilea; il luogo della chiamata dove tutto ha avuto inizio. Lì avevano lasciato tutto e lo avevano seguito.
La Quaresima viene intesa come la preparazione alla Pasqua e al Battesimo, e questo va bene per i catecumeni. Penso invece che per coloro che sono già battezzati la Quaresima è il partire dall’evento irreversibile della Pasqua e del Battesimo per rivivere alla sua luce le vicende che ci accadono oggi.
Tutti noi in questa Quaresima dobbiamo ritornare in Galilea per rileggere questo tempo segnato dalla crisi pandemica illuminati dalla croce e dalla vittoria di Cristo.
Il Sinodo diocesano si sta rivelando una grande risorsa in questo tempo di pandemia che definisco un tempo di sospensione in cui tutti siamo caduti in una specie di sonno spirituale.
L’evangelista Matteo nella parabola della zizzania sottolinea che: «Mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò» (Mt 13,25). La notte è il momento della debolezza, dello smarrimento: avviene quando non siamo svegli e vigili. Satana è furbo e ci prende in contropiede. Gesù ci invita a stare attenti, svegli e pronti.
Nella notte della crisi e del tradimento, nell’Orto degli Ulivi, Gesù: «li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”» (Mc 14,37-38).
Un cristiano dorme quando la sua fede s’indebolisce; quando la sua speranza comincia a vacillare; quando non attende più nulla, non spera più nulla. Un cristiano dorme quando non ha più discernimento per distinguere il bene dal male; quando perde la sua identità e non sa essere più sale e luce per questo mondo.
«Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5,14).
Il Sinodo ci tiene svegli, ci fornisce le provviste d’olio per attendere con le lampade accese il ritorno del Risorto. Così che alla fine di questo itinerario intoneremo l’inno pasquale che ci ha consegnato il martire Ippolito di Roma nella sua Tradizione Apostolica:
Per mezzo tuo, Cristo Signore, sono state messe in fuga le tenebre della morte, la vita è data a tutti, le porte del cielo si sono spalancate. O Pasqua divina, luce del nuovo splendore, non si spegneranno più le lampade delle nostre anime. Divino e spirituale, brilla in tutti il fuoco della grazia, alimentato dalla risurrezione di Cristo. Leva, o Cristo, il tuo stendardo di luce sopra di noi!
Bisogna innanzitutto ridestare il nostro Battesimo, riscoprire la sorgente della nostra identità cristiana. In questo senso, tornare in Galilea significa custodire nel cuore la memoria viva della chiamata quando Gesù ci ha guardato con viscere di misericordia e ci ha chiesto di seguirlo.
Il Sinodo diocesano ci sta interrogando sull’iniziazione cristiana. Penso che non ci potrà essere iniziazione cristiana dei figli senza i ricominciamenti dei genitori.
Le parole di Tertulliano nel suo Apologetico, «Cristiani non si nasce ma si diventa», dicono bene quel mistero della generazione alla vita in Cristo che si realizza grazie alla trasmissione della fede da parte di genitori o nonni esperti nell’arte dell’accompagnamento spirituale. Ne abbiamo un esempio nella lettera di San Paolo a Timoteo: «Mi ricordo infatti della tua schietta fede, che ebbero anche tua nonna Lòide e tua madre Eunìce, e che ora, ne sono certo, è anche in te» (2Tim 1,5).
Ricominciare allora significa riprogettare l’itinerario per la trasmissione della fede ripartendo dall’ iniziazione cristiana di tutta la famiglia a partire dalla preparazione al matrimonio.
Nella trasmissione della fede è importante valorizzare la grande risorsa della pietà popolare che rappresenta l’espressione della fede nel linguaggio del popolo, «nel dialetto del popolo» come direbbe Papa Francesco. Espressione viva che si trasmette spesso di padre in figlio, di generazione in generazione.
«Alzatevi, andiamo» (Mc 14,42).
Con questo invito Gesù conclude la sua notte di crisi nell’Orto degli Ulivi e sveglia i discepoli che già dormivano perché i loro occhi si erano appesantiti.
I discepoli, attraverso il sonno, tentano di sottrarsi alla prova. Il sonno è la soluzione preferita quando non si vogliono affrontare i problemi o non si vogliono assumere responsabilità. In fondo addormentarsi è come darsi alla fuga e creare lo spazio per l’insediamento del tentatore.
Alzatevi, egeiresthe si può tradurre anche con: svegliatevi, mettetevi in piedi, risorgete. Esso infatti è lo stesso verbo della resurrezione.
Lo voglio usare come il verbo augurale del tempo post-pandemia.
Sì, carissimi fratelli e sorelle,
è tempo di alzarci, di riprendere il cammino, di uscire, di progettare il futuro lasciandoci guidare dallo stesso Spirito che spinse gli Apostoli e i discepoli fuori dal cenacolo.
Sì, carissimi, questo è tempo di alzarci a una vita nuova.
La nostra vita da risorti non è più dominata dalla notte, non può essere bloccata dalla paura della morte, perché Dio è presente per liberarci: possiamo finalmente uscire dalla notte e camminare in una vita nuova e luminosa.
Alzatevi, andiamo.
Gesù invita i discepoli a seguirlo nella sua passione, morte e risurrezione, ovvero a fare pasqua con Lui, ma allo stesso tempo indica la missione e dice andiamo, non andate, perché ha promesso di rimanere sempre con noi da risorto, fino alla fine dei secoli.
Andiamo. Apriamo le porte perché Cristo vuole uscire con noi.
In Evangelii Gaudium Papa Francesco ci ha ripetuto più volte che «Gesù sta alla porta e bussa» non come chi sta fuori e bussa per entrare, ma come chi è chiuso dentro e bussa per uscire! «(49) Una chiesa in uscita, aperta al rinnovamento, va preferita a una Chiesa malata per la chiusura, la rigidità delle tradizioni e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze».
Usciamo! Lo Spirito Santo soffi sulle vele della nave della nostra Chiesa per prendere il largo. Sulla sua Parola gettiamo le reti.
Beati i piedi che si mettono in marcia: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza» (Is 52,7).
Alziamoci, Andiamo per iniziare percorsi inediti, per aprire nuovi sentieri, per avviare nuovi processi.
Andiamo con l’andatura del seminatore. A noi tocca seminare. Il resto lo farà il Buon Agricoltore.
Carissimi, anche se gradualmente, ridiamo vita alle nostre comunità, non indugiamo, ma rafforziamo la fede, accendiamo la speranza, abbracciamo tutti nella carità.
E allora mettiamoci in cammino, insieme. Buon viaggio!
S.E. Rev.ma Mons. Giuseppe Marciante, Vescovo di Cefalù.