I “Caimani del Piave” si potevano annoverare sia tra gli elementi della Regia Marina (specie i loro Arditi), sia tra gli elementi del “Nucleo Nuotatori” della Prima Divisione d’Assalto, del Regio Esercito. Per quanto riguarda quelli relativi alla Regia Marina, essi furono un particolare reparto che venne utilizzato per missioni speciali durante la Grande Guerra, lungo il fiume Piave. Questa specifica sezione, composta da marinai volontari, fu istituita da Vittorio Tur (1882 – 1969) futuro Ammiraglio, nel corso della Battaglia del Solstizio. I loro componenti, scelti tra i migliori combattenti, ebbero il compito di guadare il Piave, districandosi dalle insidiose e frequenti correnti burrascose, per effettuare speciali missioni di sabotaggio oltre le linee austro-tedesche ed anche per consegnare dispacci alle popolazioni civili pronte per la resistenza e alla sommossa. Inizialmente, il reclutamento avveniva su base volontaria, tra le fila del personale della Regia Marina, provenienti dalle zone del Piave. In seguito, furono scelti pure i militari giunti da diverse località italiane. La selezione degli aspiranti era molto rigida, prevedeva un periodo di attività formativa intensa e dura. “L’acqua” era sostanzialmente il banco di prova. Infatti, furono le acque fluviali dell’Isonzo, Tagliamento, Sile, Livenza, Brenta e Bacchiglione, la loro attività d’intensa e vigorosa palestra. Gli Arditi nuotatori si addestravano all’uso dell’arma bianca, nelle arti di combattimento, fondamentalmente il jujitsu, il karate e il pugilato, allenandosi altresì nelle differenti specialità del nuoto. Circa, l’origine dell’appellativo “Caimani del Piave” è verosimile che per il loro modo di nuotare: esponendo solamente la testa fuori dall’acqua, ricordassero appunto il caimano, il grosso rettile che vive nei fiumi dell’America centrale e del Sud America settentrionale. I “Caimani del Piave” effettuavano principalmente sortite notturne e camuffandosi abilmente, attraversavano il fiume a nuoto. Infatti, per confondersi nell’ambiente circostante e altresì per proteggersi dal freddo durante le stagioni fredde, si cospargevano il corpo con una sostanza untuosa, mescolata a nerofumo. Inoltre, per rendere più agevoli i movimenti, preferivano rimanere a torso nudo e in calzoncini corti. Trasportavano le loro armi da lancio (granate e petardi) o altro materiale bellico su piccole zattere. Tuttavia, l’arma specifica per il combattimento rimaneva esclusivamente il pugnale, e nel loro vestiario era inclusa unitamente l’uniforme nera per meglio mimetizzarsi nell’oscurità. Come per i “Reparti di Assalto” anche i “Caimani del Piave” contribuirono in maniera risolutiva alla vittoria italiana nella Grande Guerra. A cento anni dalla nascita dei “Caimani del Piave”, per meglio comprendere le gesta valorose di questo reparto, operativo nel “Fiume Sacro alla Patria”, riportiamo su espressa autorizzazione dello Storico Antonio Mucelli (1) il testo integrale del suo articolo pubblicato nel notiziario dell’Associazione storico-culturale “Il Piave 1915-1918” (N. 27 del 2013).
“Adparent rari nantes in gurgite vasto”
(Appariscono pochi che nuotano nell’ampio gorgo. Virgilio, Eneide)
I nuclei nuotatori dell’Esercito e della Marina nella Grande Guerra.
I “Caimani del Piave”: genesi, addestramento e gesta.
«I leggendari “Caimani del Piave” (ma chiamati ufficialmente così) si possono dividere in quelli di Regia Marina e in quelli di Regio Esercito.
I “nuotatori” furono voluti inizialmente dal giovane ufficiale della Regia Marina e futuro Ammiraglio Vittorio Tur (che durante il conflitto si guadagnerà ben due medaglie d’argento al Valore e due di bronzo). Scelti inizialmente su base volontaria tra il personale di Marina, proveniente dalle zone del Piave, esperta delle correnti e delle secche del Piave e poi in seguito selezionati anche da personale proveniente da altre regioni. Tutti i volontari erano sottoposti ad un duro addestramento fisico finalizzato all’ apprendimento delle particolari tecniche di nuoto e di combattimento corpo a corpo. Tale speciale addestramento comprendeva l’insegnamento del jujitsu e di altre arti marziali. Occorre a questo punto fare una digressione. Negli anni di inizio secolo per la formazione al combattimento corpo a corpo i marinai della Regia Marina, già destinati in Estremo Oriente, erano divenuti qualificati esperti di jujutsu e judo ed, alcuni di questi esperti, secondo quanto il Comandante Tur raccontava agli allievi delle Scuole di Pola nel 1928, (testimonianza Mario Bernè) erano stati utilizzati in qualità di istruttori dello speciale nucleo. L’appellativo “Caimani del Piave” deriva, con ragionevole certezza, dalla peculiare tattica di combattimento adottata: attraversare il fiume, con il favore delle tenebre, utilizzando una tecnica di nuoto ad imitazione di quella degli alligatori. ovvero esponendo dall’acqua, solamente la testa appena sopra alle narici quanto bastava per respirare. Composti tra i migliori elementi della Regia Marina varcavano il fiume a nuoto per andare ad effettuare ardite incursioni sulla sponda opposta.
Per permettere ad ognuno la maggiore libertà di movimento possibile erano vestiti spesso con i soli calzoncini da bagno e ricoperti da una mistura di grasso e nerofumo per proteggersi dal freddo e mimetizzarsi nel buio; inoltre indossavano un’uniforme completamente nera dalla testa ai piedi (probabilmente derivata dall’ uniforme da fatica della Marina) a favorire le azioni notturne oltre le linee nemiche. E’ forse ipotizzabile, che tale tenuta a bassa visibilità sia stata adottata sull’esperienza della Guerra russo – Giapponese dove misteriose figure vestite di nero, i ninja, abbordavano le navi russe, ritirandosi subito dopo averle sabotate. Certo è che tale esotica notizia sia arrivata in Europa attraverso le relazioni degli osservatori e dei giornalisti inviati al fronte. Così i “Caimani” con piccole zattere parzialmente sommerse, usate principalmente per trasportare bombe a mano e materiali e fatte avanzare con il solo movimento dei piedi, raggiungevano la riva opposta del fiume per esplorarne i luoghi nella tenebra più completa, cercando di individuare le postazioni nemiche. Quando un obiettivo adatto veniva individuato, si provvedeva a neutralizzarne tutte le sentinelle,silenziosamente, con le armi bianche. L’avamposto, colto di sorpresa ,con azione decisa e rapidissima veniva assaltato e distrutto a colpi di petardo. Infine tra i compiti svolti da queste unità speciali ricordiamo quella dei nuotatori-portaordini sotto il capitano Remo Pontecorvo . Chi era costui? Ebbene era un ragazzo romano, vigoroso ed agile che fin da bambino dimostrò “attitudine” verso l’acqua del suo Tevere, sia attraverso il nuoto, che attraverso il canottaggio. Dapprima Bersagliere in Libia nel 1911, poi Capitano nella Prima Divisione d’Assalto (nata pochissimi giorni prima della Battaglia del Solstizio) di un nucleo Arditi nuotatori. Tra l’altro al fronte perse l’amato fratello Decio.
Rileggendo la motivazione della Medaglia d’Argento al Valore Militare a lui conferita sul campo di battaglia: “Pontecorvo Remo, di Roma, Capitano Reparti Nuotatori Prima Divisione d’Assalto. Seppe organizzare un nucleo di nuotatori in modo che, impiegato nel passaggio a nuoto del Piave per trasmissione notizie, rese preziosi servizi. Primo fra gli ufficiali del proprio reparto sotto il tiro nemico che aveva interrotto i ponti sul Piave, lo attraversava a nuoto, impiantando un servizio di trasmissione e recapito ordini e notizie, che fu poi efficacemente continuato dai suoi successori. In particolari circostanze seppe vincere difficoltà che parevano insormontabili, assolvendo mirabilmente il mandato ricevuto. (Piave, Ottobre 1918).
Facendo ora un passo indietro, riconosciuta dopo la Battaglia del Solstizio, la necessità di un corpo speciale di nuotatori, per quattro mesi continui, Remo Pontecorvo, assunto l’incarico dal generale Ottavio Zoppi, giorno e notte, sotto piogge battenti, con temperature rigide, non si dette riposo, finché non fu pronto un manipolo di “Caimani”. Vi parteciparono elementi provenienti dalle Fiamme Nere e dalle Fiamme Rosse, quali il Sotto Tenente Bizzarri, il Tenente Minasi, il Tenente De Carolis, il Tenente Bettagna, il Tenente Borghi ed il Tenente Frabasile, il famosissimo (poi) Ettore Muti, ribattezzato in seguito da D’Annunzio, Gim dagli occhi verdi. Dei 400 e più volontari offertisi da tutti i reparti della Prima Divisione d’Assalto, solo 82 riuscirono a superare le prove di abilità e di allenamento nelle acque dei fiumi veneti Bacchiglione, Brenta e Sile. Successivamente di questi 82 “incursori” ben 50 perirono in missioni militari.
Queste le parole di un rievocatore di quelle gesta: “ Aveva escogitato un bizzarro modo di nuotare sotto i ciuffi di fogliame, alla maniera dei selvaggi, per non farsi scorgere dal nemico; scendere in acqua strisciando prima nel terreno, come gli alligatori, ad evitare spruzzi, tonfi e rumori. Aveva escogitato bracciali pneumatici adatti a portare biglietti e ordini al sicuro dall’umidità (come ben si vede in una sequenza del film “Il Caimano del Piave”, del 1950). Aveva curato i più minimi particolari, cercando di prevenire ogni necessità e ogni pericolo. I nuotatori d’assalto erano divenuti in breve preziosi elementi d’azione, addestrati ad attraversare il fiume, nuotando silenziosamente, a gettarsi sui posti avanzati e sulle pattuglie in ricognizione, lavorare silenziosamente di pugnale e ripassare il fiume riportando prigionieri, materiali, informazioni”.
Gli Arditi dedicarono loro uno stornello: O Carlo Primo, vedesti mai l’uguale? Nudi gli Arditi assaltan col pugnale… O Carlo Primo fa pure il viso torvo, verran gli Arditi di Remo Pontecorvo.
Tale ritornello fu quanto mai profetico, in quanto durante la Battaglia di Vittorio Veneto, il Comando della Divisione d’Assalto, situato sulla sponda destra, e precisamente sul Montello, si trovò nell’impossibilità di comunicare coi propri reparti che combattevano sull’altra sponda, perché il fortissimo tiro di sbarramento nemico, aveva fatto saltare ponti e passerelle. In più la velocità della corrente dell’acqua era di circa quattro metri al secondo, velocità che avrebbe scoraggiato ogni possibilità di passaggio con imbarcazioni. Pontecorvo richiesto dal Colonnello Campi, ad una sua precisa richiesta di tentativo di passaggio del Piave, rispose “Presente”!
Il Capitano Remo chiamò a raccolta i suoi Arditi e così cominciò il discorso: “ Ho bisogno per ora di quattro uomini soli, ma che siano uomini votati alla morte. Mettetevi d’accordo fra voi; darò precedenza a chi non ha famiglia. Chi vuole seguirmi faccia un passo avanti. Indistintamente tutti avanzarono, pregando il Capitano di esser scelti!
Pontecorvo tra i suoi Arditi scelse il Sergente Perini, il Caporal maggiore Broggi, il Caporal maggiore Foce e il Caporale Emanuelli. Il 27 ottobre 1918, pronti i cinque Arditi, una volta sul posto, si chinarono a baciare l’acqua del fiume sacro, raccolta tra le mani, in una sorta di rito religioso. Il nucleo sotto un fitto bombardamento, poté toccare la sponda opposta e giungere alla Piana della Sernaglia, dove Pontecorvo in persona recò ordini, consegnò piccioni viaggiatori e ricevette dai Generali De Gasperi, Paolini, Gabrielli, dal Maggiore Gatti e da altri comandanti dei Reparti d’Assalto, preziosi ragguagli sull’andamento dell’azione. A notte fonda i cinque “Caimani del Piave” riattraversarono le acque sempre più tumultuose. Sulla riva sinistra perirono due Arditi e sulla riva destra altri due. Pontecorvo rimase solo, sfinito dalla stanchezza, intirizzito dal freddo, lacerato nei piedi e al corpo per aver attraversato boschetti d’acacie e reticolati nemici. Non si arrese e tolto un cavallo ad un soldato di cavalleria, si precipitò, seminudo, dal Generale Ottavio Zoppi, portandogli le notizie ricevute, illustrandogli le fasi di combattimento e chiedendogli un fuoco di sbarramento sulla località di Fontigo. A tal proposito nel libro “Diario di un fante” dell’Onorevole Luigi Gasparotto, 1919, si legge: “Arriva alla nostra sponda, interamente nudo, con la rivoltella alla cintola e pugnale in bocca, un giovane erculeo, bruno. E’ il romano Pontecorvo, Capitano degli Arditi, il capo della squadra dei nuotatori. Viene da Moriago e narra……”
A Vittorio Veneto il Generale Francesco Grazioli (Comandante del Corpo d’Armata d’Assalto), in presenza di tutti i reparti riuniti, così esordì: “Devo segnalare l’opera di Remo Pontecorvo” e rivolto a lui disse: “Sei romano, ti sei comportato romanamente, che queste son gesta degne di Roma”. Più tardi lo chiamò “Mio valoroso collaboratore a Vittorio Veneto”.
Anche nella “Canzone alla Sernaglia” di Gabriele d’Annunzio se ne trova traccia: “ Pontecorvo, Pontecorvo, nudo, immane come un nume, bieca faccia ed occhio torvo che ci porti d’oltre fiume? Cento schiere di croati per far pelle di tamburo; cento bocche d’affamati dissepolti dietro un muro tra gli sterpi e la ramaglia: Eja, forza di Sernaglia, Alalà!
Nei giorni seguenti il gruppo, ormai meritatosi il mitico appellativo di “Caimani del Piave”, continuò, con il pugnale tra i denti, di giorno e di notte, a mettere in atto fulminee azioni di sorpresa, gettando scompiglio fra le file nemiche.
L’ultimo «Caimano del Piave» che fu tra gli ottantadue valorosi prescelti da Pontecorvo per numerose audaci imprese, svolte nell’ultimo anno di guerra sul Piave, è morto il 7 settembre 1968 all’ospedale del Buon Pastore di Roma: si chiamava Filippo Tosi ed era decorato di Medaglia d’Argento al Valore Militare.
Ecco la relativa motivazione: Tosi Filippo da Roma, soldato XI Reparto d’Assalto – “Con raro ardimento si offriva volontariamente a prendere parte ad una rischiosa ricognizione durante la quale dava prova di bravura e di sprezzo del pericolo finchè cadeva gravemente colpito”. Medio Piave, 17 Giugno 1918. Grave ferita che non gli impedì di diventare un “Caimano” quattro mesi dopo.
Le pagine 30 e 31 del bel libro del 1938 “Dal Piave a Via Cerva, memorie di una Fiamma Nera, del Tenente del XXVIII (già XVIII) Reparto d’Assalto, Antonio Fulmini, padovano, fanno capire quanto difficile fosse l’arduo compito e quanti tentativi falliti ci furono: “…….Andavano abbondantemente alla deriva, quasi a ricordarmi la temerarietà dell’impresa alla quale mi accingevo ed a sconsigliarmi dal tentarla. Mi occorse anche in quei giorni di essere presente a due tentativi di attraversare il fiume: uno a monte di Ponte di Piave ed uno proprio davanti a Zenzon. A monte di Ponte di Piave gli arditi del reggimento in linea avevano avvicinato al fiume una grande barca e l’avevano nascosta in una galleria scavata dentro l’argine. Di là, nottetempo, dovevano trascinarla fino all’acqua e poi tentare il traghetto. Tutto era pronto e già stavano per trarre la barca dal riparo, quando la volta della galleria rovinò con un gran tonfo, seppellendo alcuni uomini e la parte posteriore della barca. Il tonfo mise in arme gli austriaci, che accesero subito un gran numero di razzi e, quando finalmente si avvidero di quella barca, che, dall’insolito varco aperto sull’argine, protendeva tanto impertinentemente la prora, non stettero a pensarci su tanto. Vi scaraventarono sopra una trentina di granate ed in pochi minuti frantumarono e mandarono all’aria ogni cosa. Davanti a Zenzon altro fiasco! Alcuni animosi, con a capo un sottotenente del Genio, certo Bianchini, mio compagno d’infanzia a Padova, volevano, di notte, andar di là dal Piave a nuoto. Il Piave però era maledettamente in piena e, per quanto tentassero, non passarono. La corrente li ributtava sempre a riva stremati di forze ed intirizziti. All’alba desistettero e Bianchini rassegnatamente mi disse che di pattuglie oramai e per qualche tempo non sarebbe stato più il caso nemmeno di parlare. In quei giorni avevo notato una piccola gobba del fiume dove mi pareva che il guado non avrebbe dovuto presentare difficoltà insormontabili. Mi ci recai con cinque arditi la notte precedente la Pasqua e risolutamente entrammo nell’acqua. La corrente, dopo pochi passi, ci vinse. Fummo travolti e potemmo con gran fatica salvarci a nuoto. Ripetemmo il tentativo appuntellandoci davanti con delle robuste pertiche, ma la trovata non ci giovò. Finimmo come l’altra volta a gambe all’aria ed a riva, per ritornarci, dovemmo lottare e non poco. Mogi, mogi riprendemmo la via del ritorno che già mezzanotte era passata da un pezzo. Notte stellata, silenziosa, insolitamente tranquilla. Pensavamo che tra poche ore sarebbe stato giorno: giorno di Pasqua”.
Un altro protagonista tra i Caimani del Piave (anche se non ufficiale) fu Giuseppe Voltarel, classe 1892, detto il “Manareta”. Nativo di Candelù di Maserada (TV) espertissimo del Piave, dato che li praticamente ci nacque. Dopo Caporetto fu assegnato proprio a Candelù, coi suoi Bersaglieri del Reggimento VIII, della XXIII Divisione (Gen. Fara) . Lui aveva l’incarico di attraversare il Piave a nuoto, per ricevere dai parenti e conoscenti, notizie dei spostamenti delle truppe austriache. Come guida, portava di là del Piave anche soldati italiani, per varie missioni militari. Guidò perfino Emanuele Filiberto, Duca D’Aosta comandante in capo della III Armata; entrando nella leggenda dei Caimani del Piave. Questo piccolo grande uomo, che morì nel 1975, riusciva ad attraversare a nuoto il Piave, le linee di reticolato, passare tra le trincee austriache sia andando che tornando, senza mai farsi scoprire, come facesse, questo ancora adesso rimane un mistero.
Tornando ora a parlare a carattere generale, una targa in marmo nelle camerate del Grupforcost (Gruppo Fortezze Costiere) di Venezia (anni ’50) così recita: “In questi luoghi si addestrarono i marinai ardimentosi che si immolarono sul Piave per la difesa di Venezia e dell’Italia tutta. Essi furono ricordati come i “Caimani Neri del Piave”. Isola di Sant’ Andrea, conflitto 1915/1918″.
Fu il ricordo di questa targa e in onore degli eroi del Piave che nel 1952 venne ideato e proposto il distintivo dei Maricensubin, attuali Comsubin (Comando Subacquei ed Incursori ) con l’emblema del caimano col pugnale tra i denti. Paragonabili alle azioni della Marina, gli atti di eroismo di cui furono protagonisti gli Arditi impiegati in operazioni tatticamente sovrapponibili , furono innumerevoli e nella maggior parte leggendari.
Sono famosi gli episodi di Arditi che varcarono il Piave a nuoto per andare a neutralizzare gli avamposti nemici sulla sponda opposta. Anch’essi vestiti con le sole mutande rimboccate al ginocchio ed armati di moschetto, tascapane con petardi, giberne e pugnale tra i denti, raggiungevano la sponda avversaria per eliminare le postazioni di mitragliatrice, raccogliere preziose informazioni, osservando la disposizione delle difese nemiche e catturando prigionieri da interrogare. Il più eclatante e famoso esempio è quello del giorno 12 settembre 1918, sul Basso Piave, come mostrato da una tavola di Achille Beltrame, dove questi intrepidi Arditi nuotatori ingannarono il nemico occupato a colpire imbarcazioni piene di fantocci, creati appositamente!
Cercando di riassumere brevemente un fatto che meriterebbe uno specifico post, a proposito di “imprese natatorie” durante il primo conflitto mondiale, come non citare l’impresa di Pola (1 Novembre 1918), portata a termine da due nostri connazionali. Il Maggiore del Genio Navale Raffaele Rossetti ed il Tenente medico Raffaele Paolucci, provetto nuotatore, riuscirono nel tentativo di affondare la corazzata austriaca Viribus Unitis, ammiraglia e fiore all’occhiello della Marina austriaca, ormeggiata nel porto di Pola. Ben 152 metri di lunghezza!! Peccato però fosse stata ceduta il giorno prima al neo costituito stato degli Sloveni, Croati, Serbi e quindi in posizione di neutralità. Ma questo ancora loro non lo sapevano! I due, partiti da Venezia con due motoscafi armati siluranti (Mas), giunti ad alcune centinaia di metri dal porto, puntarono verso la nave a bordo della “Mignatta” (mezzo d’assalto della Marina, anticipazione dei siluri a corsa lenta o maiali, tanto famosi nella Seconda Guerra Mondiale) per poi spegnerne il motore e portarsi a nuoto, trainando questa sorta di siluro affiancato da due torpedini contenenti 600 kg di esplosivo cadauna, verso la chiglia della corazzata. Ebbene stettero in acqua per oltre sei ore, finchè alle 6.44 la carica brillò e la corazzata austriaca, inclinatasi su un lato, cominciò rapidamente ad affondare. Rientrati in patria i due ufficiali furono insigniti di Medaglia d’Oro al valore Militare.
Arrivati al termine dell’articolo mi sovviene un simpatico aneddoto che mi è stato recentemente raccontato dal nipote, ora cinquantenne, del Comandante del XXVIII Reparto d’Assalto che operò propriamente sul Basso Piave, durante la Battaglia del Solstizio. Ebbene il Capitano era il marchese Paolo Vivaldi Pasqua (ligure), che nel dopoguerra sposò una nobildonna sandonatese della famiglia Ancillotto (stretta parente dell’eroe M.O.V.M. della Grande Guerra, pilota di caccia, Giannino Ancillotto).
Negli anni ’50 abitando lui a San Donà di Piave, insegnava ai suoi figli e nipoti a passare il Piave a nuoto, a ricordo delle imprese degli Arditi nella Grande Guerra. Sorte che toccò anche alla moglie Maria Luisa, mamma di Giacomo (colui che mi ha raccontato il fatto), ed anche lui ricorda le traversate natatorie estive fatte “trainato” dal nonno.
Per finire, l’ultima nota curiosa: dal 1994 i supporters della Curva Sud del San Donà di Piave Calcio sono ufficialmente denominati “Caimani del Piave”».
(1) Antonio Mucelli, classe 1966, nato e residente a San Donà di Piave (VE). Lasciata la professione di Vigile del Fuoco, da fine anni ’90 è un libero professionista. Da sempre appassionato di trekking, di arti marziali e di storia, soprattutto di quella relativa la Prima Guerra Mondiale, ne segue le tracce fin da bambino e da circa 20 anni se ne occupa quotidianamente. Ha all’attivo una decina di articoli pubblicati in riviste militari mensili a tiratura nazionale. Ha collaborato alla stesura di numerosi libri relativi alla Grande Guerra. Socio fondatore e membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Storico Culturale “Il Piave 1915-1918”, associazione senza fini di lucro e apolitica con, attualmente, oltre 700 soci effettivi. Si propone di valorizzare l’immagine di chi colleziona, raccoglie o ricerca cimeli della Grande Guerra attraverso mostre, pubblicazioni di carattere storico-tecnico-scientifico, attività didattiche e lo studio di reperti mobili e cimeli. Collabora attivamente con le Istituzioni dello Stato, quali le Sopraintendenze del Ministero per i B.A.P.P.S.A.D., Regioni, Province e Amministrazioni Comunali, Pubblica Istruzione, nonché ha collaborato con il Ministero della Difesa nella figura dell’Onor Caduti, dal quale le sono state affidate catalogazione e censimento dei cimeli custoditi all’interno di diversi Sacrari Militari. Recentemente ha curato il libro-diario di Luigi Freguglia “XXVII Battaglione d’assalto”, Editore: Itinera Progetti 2017, 240 p.
Foto a corredo dell’articolo: tratta da “Il Mattino Illustrato”, del 18 Luglio 1943, n. 29 anno XX
Giuseppe Longo
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