Omelia del Vescovo in occasione del suo decimo anniversario di Ordinazione episcopale

Eccellentissimi Confratelli nell’Episcopato e successori degli Apostoli, carissimi Sindaci e Autorità civili e militari,
amati Sacerdoti, Consacrati e Consacrate,
diletti Figli dell’amata Chiesa Cefaludense,

«Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome»[1]. per la sua fedeltà che è da sempre; ed io: «Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode»[2]. Perché mi insegna a contare i miei giorni per giungere alla sapienza del cuore. Questa omelia l’ho costruita coi bambini e i giovanissimi durante l’estate ragazzi nella parrocchia di Sant’Antonino Martire in Castelbuono. I bambini sono i grandi procuratori della gioia. Il tema della festa era “bella storia” e si riferiva alla storia di alcuni santi contemporanei. Una bambina si fa avanti e mi chiede a bruciapelo: “Ci dai cinque parole che ci dicono che la tua vita è una bella storia?”. Non ho avuto il tempo di riflettere, ma mi sono venuti in mente i verbi coniugati al participio che mi hanno dato la gioia e la voglia di vivere: chiamato, amato, scelto, inviato e atteso.

1. Chiamato.

Il Signore dal seno materno mi ha chiamato; fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome[3]. I miei genitori mi hanno trasmesso sempre la gioia di avermi messo al mondo. Porto il nome di Giuseppe perché il primo Giuseppe è morto appena nato. Con la gioia per la vita, i miei genitori mi hanno trasmesso la gioia della fede. «Quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati»[4]. Col dono della fede mi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa[5]. Quell’effetà pronunciato all’orecchio al momento del battesimo ci abilita e ci dispone all’ascolto. San Benedetto da Norcia (del quale ricorre oggi la festa liturgica) apre la sua Regola mettendo subito chi bussa alla porta del monastero in atteggiamento di ascolto: «Obsculta, o filii … Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell’obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l’ignavia della disobbedienza»[6]. E commenta: «Fratelli carissimi, che può esserci di più dolce per noi di questa voce del Signore che ci chiama? Guardate come nella sua misericordiosa bontà ci indica la via della vita!»[7].

2. Amato.

Chiamato perché amato. Si potrebbe scrivere la parola chiamato: “che è amato”. In questo sta l’amore: «non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati»[8]. Il brano del Vangelo che abbiamo ascoltato è la reazione dei discepoli di fronte al commento di Gesù sul rifiuto del giovane ricco: «Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”»[9]. Ma il giovane aveva anteposto i molti beni a Cristo. Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio. A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: “Allora, chi può essere salvato?”. Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile”. Allora Pietro gli rispose: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?”»[10]. E conclude: «Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi»[11]. Mi piace sottolineare quello sguardo di Gesù che fissa gli interlocutori penetrando nel cuore. La chiamata è questo sguardo d’amore fisso su te. Questo sguardo penetrante dell’amore l’ho avverto continuamente nella mia vita, specialmente quando l’allora Cardinal Vicario di Roma, Agostino Vallini, dieci anni fa – verso la fine di maggio – mi disse: «Il Santo Padre Benedetto XVI ti ha scelto come Vescovo ausiliare di Roma per il Settore Est». In quella circostanza l’amore di Cristo nei miei confronti si mostrò come fedeltà della sua misericordia: «Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele»[12] dice Geremia. Ed accolgo l’esortazione di San Benedetto: «E non disperare mai della misericordia di Dio»[13]. Il Signore esprime davvero in modo particolare la sua fedeltà nella misericordia.

3. Scelto.

Chiamato, cioè scelto. Dio sceglie nella sua libertà. Gesù, dopo una notte di preghiera, sceglie i suoi Apostoli: «Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni»[14]. I Vescovi vengono scelti, eletti e la scelta non è nostra è Sua, appartengono a “quelli che egli volle”. «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda»[15]. La vocazione alla vita consacrata o al sacerdozio non è una nostra scelta anche se il Signore chiede la nostra risposta. Così come l’Episcopato non è uno scatto di carriera. Ma ogni vocazione va sottoposta al discernimento della Chiesa: essere diacono o sacerdote o consacrato, non è un diritto, è una chiamata a cui corrisponde il dono di Cristo consegnato attraverso la Chiesa. Tutto è dono. Dio sceglie nella piena libertà, con dei criteri non scontati. Dice infatti l’Apostolo Paolo: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio»[16].

4. Inviato.

Il chiamato è inviato. Papa Francesco direbbe: “è una missione”. Il mandato missionario degli Apostoli, anche se investito di un potere dall’alto, deve essere esercitato come servizio: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle genti dominano, spadroneggiano su di esse, e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così (Non ita est autem in vobis)»[17]. “Tra voi non è così”, ovvero, “se è così, voi non siete la mia comunità!”. Non è possibile che la comunità cristiana abbia come modello il potere mondano, che si lasci conformare a ciò che fanno i governi, quasi sempre ingiusti e spesso totalitari: il governo nella comunità cristiana è “altro”, oppure non è governo, ma dominio. Fortemente evangelica è la definizione che San Benedetto dà al monastero: «Dominici schola servitii; una scuola del servizio del Signore»[18]. Lo stile del governo, in questo caso dell’abate, deve essere sinodale: «Perciò l’abate non deve insegnare, né stabilire o ordinare nulla di contrario alle leggi del Signore, anzi il suo comando e il suo insegnamento devono infondere nelle anime dei discepoli il fermento della santità»[19]. E ciò si applica in generale a chiunque abbia un ruolo di governo. Nella Regola di Benedetto troviamo quindi lo stile sinodale voluto da Papà Francesco: «Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l’abate convochi tutta la comunità ed esponga personalmente l’affare in oggetto. Poi, dopo aver ascoltato il parere dei monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra più opportuno». E precisa tutta la comunità: «perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore»[20].

5. Atteso.

Atteso dalla Comunità che vuole essere aiutata e atteso da Dio e, in modo speciale, anche alla fine del Mandato. Durante la notte apparve a Paolo una visione: era un Macèdone che lo supplicava: “Vieni in Macedonia e aiutaci!”[21]. È il grido della Comunità che attende l’annuncio del Vangelo e il servizio pastorale. “Vieni!” è l’invito dell’Agnello dell’Apocalisse che apre i sette sigilli e che, piano piano, accompagna lo scorrere del tempo e degli anni del ministero pastorale fino all’incontro finale per il grande giudizio. San Benedetto, ancora nel capitolo sull’abate, mi fornisce le parole tremende che è bene ascoltare mentre sono nel tempo e non nel giudizio finale, così che mi possa convertire e salvare: «L’abate confermi con la sua condotta che bisogna effettivamente evitare quanto ha presentato ai discepoli come riprovevole, per non correre il rischio di essere condannato dopo aver predicato agli altri di non sentirsi dire dal Signore per i suoi peccati: “Come osi esporre i miei precetti e di avere sempre la mia alleanza sulla bocca, tu che hai in odio la disciplina e ti getti le mie parole dietro le spalle?»[22]. E ancora: «Tu che vedevi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, non ti sei accorto della trave nel tuo»[23]. Soprattutto, continua San Benedetto, «l’abate si guardi dal perdere di vista o sottovalutare la salvezza delle anime, di cui è responsabile, per preoccuparsi eccessivamente delle realtà terrene, transitorie e caduche, ma pensi sempre che si è assunto l’impegno di dirigere delle anime, di cui un giorno dovrà rendere conto»[24] È con questi sentimenti che anche io mi presento davanti al Signore. «Così nel continuo timore dell’esame a cui verrà sottoposto il pastore riguardo alle pecore che gli sono state affidate mentre si preoccupa del rendiconto altrui, si fa più attento al proprio e corregge i suoi personali difetti, aiutando gli altri a migliorarsi con le sue ammonizioni»[25].

Carissimi fratelli e sorelle, è grave il compito del vescovo ma è altrettanto dolce e soave perché è un servizio reso alla Sposa di Cristo mio Signore e Salvatore. Amen.

✠ Giuseppe Marciante
Vescovo di Cefalù

[1] Sal 33.
[2] Ibidem.
[3] Is 49,1.
[4] Rom 28,30.
[5] 1Pt 2,9
[6] Benedetto da Norcia, Sancta Regula, Prologo.
[7] Prologo 19-20.
[8] 1Gv 4,10.
[9] Mc 10,21.
[10] Mt 19,24-27.
[11] Mt 19,30.
[12] Ger 31,3.
[13] Benedetto da Norcia, Sancta Regula, 74.
[14] Mc 3,13-19.
[15] Gv 15,16.
[16] 1Cor 1,26-30
[17] Mc 10,43.
[18] Benedetto da Norcia, Sancta Regula, Prologo.
[19] Ivi, II, 4,5.
[20] Ivi, III 1,3.
[21] At 16,9.
[22] Benedetto da Norcia, Sancta Regula, II, 3-4.
[23] Ivi, II, 14-15.
[24] Ivi, II, 33-34.
[25] Ivi, II,37-40.

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