Esiste ancora, il senso del pudore?

Oggi rifletto insieme a voi lettori, su un tema che reputo delicato e molto attuale: in una società come la nostra, in cui è diventato un “must” mostrare ed esibire tutto, dove è finito il comune senso del pudore? Abbiamo ancora la capacità di preservare l’intimità e soprattutto di non confondere ciò che è “naturale” con ciò che è “inopportuno”? Facciamo un passo alla volta.

Il pudore attiene alla riservatezza e riguarda il corpo, nell’accezione di protezione e di difesa; per estensione mi piace sottolineare l’esistenza di un pudore dei sentimenti e dell’emotività, poiché hanno la stessa matrice: il rispetto della propria “nudità”, sia essa corporea che dell’anima.

Nei bambini il riserbo per il proprio corpo, è un atto istintivo e un senso di auto tutela che compare verso i tre anni di età, quando si comincia a cogliere la diversità fra i sessi. Da quel momento in poi, sarà bene che gli adulti e i genitori tengano conto di questo aspetto e che ne abbiano riguardo. Spesso, in estate sulla spiaggia, vedo bimbi anche non più piccolissimi, completamente nudi e penso che ciò non piaccia a molti di loro. Spesso i bambini non sono capaci di protestare e di imporre il loro volere soprattutto se i “grandi” gli confondono i vissuti, scambiando il pudore con la vergogna, ovvero sovrapponendo sensazioni che hanno origini diverse. Infatti, ci si vergogna per qualcosa di sé che non piace e che non si vuole far vedere agli altri e si tratta di un disagio appreso; il pudore -innato e naturale- invece, prescinde dal provare un senso di inadeguatezza ed è SOLO, si fa per dire, sano rispetto di sé!

E di tale sano rispetto di sé, gli adulti, che uso ne fanno?

Penso a quella che era e non è più, l’arte della seduzione; quell’intrigo dato dall’immaginare i corpi nel gioco del vedo-non vedo, oggi inghiottito in quella indigestione di fisicità e di nudità esposte, cui tutti assistiamo più o meno costantemente.   

Inoltre, poco tempo fa su Fb, ho visto il post di una nota testata giornalistica nazionale, che diffondeva la notizia dell’esistenza di una “fotografa di nascite”; le immagini pubblicate ritraevano diverse donne nei momenti più espliciti e salienti dei loro parti. Tra i commenti a quelle foto, ricorreva la parola “naturale” come a dire, nulla c’è di male! Altresì qualcuno obiettava che ci sono molte altre cose “naturali” o fisiologiche che riguardano tutti, ma non per questo esibite attraverso istantanee.

Farsi fotografare è un modo di custodire il ricordo traducendolo in immagini, ma mi chiedo, qual è il bisogno che viene gratificato nel rendere pubblico un proprio momento di vita così intimo, delicato e privato? Nell’esporsi, nel far vedere TUTTO a TUTTI? Credo si tratti di un uso distorto del termine “naturale” e … non vorrei che la presunta “naturalità”, si traducesse in un pretesto per il venir meno della doverosa attenzione al pudore e alla privacy. Esse non sono opzioni, ma valori e diritti imprescindibili, di cui tutti dovremmo pretendere il rispetto.

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