L’artista del metallo e le sue opere dalla logica irrazionale

Vuole raccontare le sue sensazioni di fatti e fenomeni per comprendere il perché si è vittime di un egoismo sconsiderato e di una smoderata sete dell’avere e non dell’essere. Per Giovanni Di Nicol gli uomini di oggi sono «ciechi ai bisogni degli altri». Lo abbiamo intervistato.

Chi è oggi Giovanni Di Nicola
Lo sa chi mi conosce, forse, credo, un mediocre, fortunato. Veniamo lanciati ad affrontare la vita come una pallina nel flipper, alla quale, viene data, nel lancio iniziale, una certa energia. Poi i rimbalzi imprevedibili, e le spinte successive, sono affidate quasi sempre al caso, con l’unica certezza che la pallina andrà in buca. La fine. Ci sarà, a seguire, un’altra pallina. Oggi mi sento temprato e indurito, modellato dalle vicissitudini della vita, deluso dall’egoismo di quelli che hanno tanto di più di quello che si meritano, un cittadino che fatica a continuare a essere onesto, ma sempre con la voglia di essere utile. Ho la mia famiglia che mi fa sentire importante, a volte, indispensabile. Il lavoro di scultura che mi rilassa, mi immerge in un contesto psicologico che mi astrae dalla realtà quotidiana.

Cosa sta facendo in questo periodo nel campo dell’arte
Dedico il mio tempo libero alla produzione di lavori in metallo. Le opere sono condizionate per mia inclinazione dalla simmetria, e rappresentate con un linguaggio compositivo delirante e concepite mediante una logica irrazionale. Il tentativo è di raccontare le mie sensazioni dovute alla percezione dei fatti e dei fenomeni del mondo di cui ho conoscenza. Il fine è quello di comprendere il perché siamo vittime di un egoismo sconsiderato e di una smoderata sete dell’avere e non dell’essere, ciechi ai bisogni degli altri. Lo scopo del mio impegno ultimo è di portare a compimento un lavoro che mi dia la sensazione di essere, senza alcun dubbio, soddisfatto e appagato.

Che progetti hai per il prossimo futuro
Coltivare gli affetti familiari, vivere in salute, dedicarmi alla ricerca per la produzione di opere che vadano oltre il condizionamento del mio linguaggio ermetico, “incomprensibile alla massa per la strada” (parole scritte dal poeta futurista Giacomo Giardina) nel tentativo di trovare un modo di raccontare, chiaro e inequivocabile, capace di superare le barriere linguistiche e culturali.

Da quanto tempo fai arte e perché hai scelto di realizzarti in questa dimensione.
“Fare arte”, lavorare, manipolare materiali, per ottenere una forma che esprime una volontà, è una debolezza che ho avuto fin da piccolo. Ricordo, piccolissimo giocavo con un’argilla rossa che affiorava dal terreno naturale in una parte di una piazza del mio paese natio. Realizzavo cavallini in modo semplice ed elementare. Poi ho avuto un casuale incontro con un allievo dell’istituto d’arte di Comiso, il quale mi descrisse i laboratori della scuola, mi entusiasmai. Dissi a mia madre che volevo andare alla scuola d’arte, invece del liceo classico cui ero stato destinato dai miei genitori, a malincuore fui accontentato.

Hai quindi frequentato la scuola d’arte…
Sono stato fortunato, frequentare la scuola d’arte è stato appagante, ero contentissimo. Nelle materie artistiche e laboratorio metalli ero avido di apprendere e di realizzare il più possibile. Non potendo fare a casa esperimenti, con argilla, gesso, pietra tenera di Comiso, perché sporcavo, sentendo la necessità, insieme ad alcuni miei amici abbiamo affittato una vecchia casa nel centro storico, via Ferreri, dove ci riunivamo per parlare di arte e fare esercizi di modellato con materiali vari, nacque così, per caso, la Bottega d’Arte Ippari, dove sfogavamo la nostra acerba fantasia. La biblioteca comunale di Comiso è stata un validissimo supporto, mi dava la possibilità di consultare bellissimi e costosissimi libri d’arte antica, moderna e contemporanea.

Quando hai partecipato ad una prima collettiva
Nel 1961 per la prima volta ho partecipato, ad una collettiva, con delle tempere. Dal 1963 mi sono dedicato in prevalenza alla scultura con i metalli, che ancora oggi mi impegna e mi affascina. La fantasia è una insana folle attività mentale, che orientata verso la ricerca estetica, mi ha coinvolto e reso dipendente, consentendomi di realizzarmi in questa dimensione, nella scultura. L’impegno nel manipolare i materiali e costringerli ad essere plasmati in forme volute, dà una sensazione di benessere, il fatto di dare forma voluta e significativa ad una massa informe è fortemente appagante.

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