Lo storico palermitano Rosario La Duca (1923 – 2008) menzionò l’antico Carnevale di Palermo sulle pagine del Giornale di Sicilia, descrivendolo, almeno per quanto ne sappiamo noi, in due articoli: quello che proponiamo oggi, intitolato: “Un carnevale di tanti anni fa”, e l’altro, dal titolo: “Il carnevale nel passato” che abbiamo già avuto modo di proporre il 6 novembre 2016, sempre su questa testata giornalistica.
Per gli “addetti ai lavori”, il motivo conduttore di La Duca è sempre quello ricorrente: gli anni d’oro della Palermo carnasciale del XVII e XVIII sec.
Però, andando a ritroso, già nel XVI secolo nella Capitale del Regno era usanza festeggiare il Carnevale. Ma, in quel torno di tempo per causa di forza maggiore: “Guerre, sollevamenti, pestilenze e carestie”, proprio negli anni 1541 e 1549, dal Senato cittadino furono proibiti l’uso delle maschere (1).
Lo storico ed erudito Francesco Maria Emanuele Gaetani (1720 – 1802), marchese di Villabianca, nei suoi preziosi “Diari palermitani” raccolti in 25 volumi, descrisse con ricchezza di informazioni, gli avvenimenti accaduti nella città di Palermo negli anni che vanno dal 1743 al 1802, menzionando anche le celebri manifestazioni carnevalesche.
Arrivando per così dire ai più recenti secoli, XIX e XX, vengono ad aggiungersi parimenti, le testimonianze sia dell’etno-antropologo Giuseppe Pitrè (1841 – 1916) e sia dello storico, nonché giornalista, Vittorio Gleijeses (1913 – 2001), autore del libro: “Piccola storia del Carnevale”.
Il Gleijeses, passò in rassegna, raccontandoli con accortezza, i carnevali di Roma, Toscana, Romagna, Emilia, il carnevale in Abruzzo e Molise, Liguria, Piemonte, Veneto e nell’Istria, Milano, Sicilia e infine Napoli.
E a proposito de “ Il Carnevale in Italia meridionale”, così scrisse:
[…] L’Italia meridionale è presente nella storia del Carnevale italiano con le feste del Reame di Napoli, poi Regno delle due Sicilie. Il Carnevale siciliano e quello napoletano, anche se possono essere considerati inferiori, per magnificenza e studio coreografico, a quello delle città dell’Italia centrale e settentrionale, avevano però, per essere più schiettamente popolari, un loro folklore caratteristico che li rendeva altrettanto brillanti e vivi […].
Sfogliando ancora il libro di Gleijeses a destare la mia curiosità è stata la lettura del brano (che riportiamo qui di seguito), in cui fu descritta la manifestazione carnascialesca, svoltasi a Napoli nel 1876, eccola:
[…] Il Carnevale del 1876 fu caratterizzato da una sfilata di magnifici carri molto veristici, tra i quali primeggiava uno rappresentante la Sirena Partenope. Questa sirena librata nel vuoto a statura naturale, tutta nuda, destò ammirazione e scandalo nello stesso tempo per la sua spregiudicatezza. Il corpo modellato in maniera stupenda tutto proteso indietro a mo’ di offerta, di un colore trasparente e nello stesso tempo carnoso e sensuale, fu oggetto di aspre critiche, tanto che la terza sera si fece l’impossibile per far andare il Carro della Sirena nelle zone della città più popolari, cercando di lasciare almeno nei quartieri della Napoli bene i giovincelli nella loro pura ignoranza di… nudi. Di questa «opera d’arte» furono artefici Mancini (1) Toma (2) Dichirico, Matanìa e Jerace […].
La magistrale costruzione della leggendaria creatura che sfilò insieme agli altri carri per le vie della città partenopea, rimane ancora adesso indelebile nel nostro immaginario attraverso i disegni e le stampe dell’epoca.
L’interesse in me suscitato non è stato soltanto nell’aver letto l’esposizione scrupolosa dello scrittore, circa la meravigliosa, sensuale e incantatrice sirena “Partenope”, in posa sul “Carro degli artisti”. Artefici dell’opera: Antonio Mancini (1852-1930), Gioacchino Toma (1836 – 1891), Giacomo Di Chirico (1844-1883), Edoardo Matania (1847-1929), e Francesco Jerace (1853-1937). Ma, anche, l’anno in cui si svolse la sfilata.
In realtà, a Termini Imerese nel 1876, per merito di Giuseppe Patiri nasceva la primigenia “Società del Carnevale”: la prima forma organizzata di manifestazione carnevalesca documentata e di cui rammentiamo ancora una volta, che:
Il Carnevale di Termini Imerese è l’erede diretto dell’antico Carnevale di Palermo
Il Carnevale di Palermo che ebbe la sua popolarità nel periodo vicereale perdurò ancora nel primo Ottocento, proprio al tempo del Pitré.
Il secolo decimonono si contraddistinse per la nascita in Italia dei comitati organizzatori per la gestione delle feste carnascialesche. Come lo furono ad esempio nella Sicilia occidentale, le originarie Società carnevalesche di Palermo e Termini Imerese. Quest’ultima, operante nella cittadina sin dal 1876, e presente con alterne vicende, almeno sino al 1911.
La primigenia “Società del Carnevale” di Termini Imerese conteneva nel suo repertorio folcloristico una forte analogia, o meglio una chiara “fotografia” della cerimonia che si svolgeva un tempo a Palermo lungo il Corso Vittorio Emanuele.
Sempre a Palermo, la tradizione carnevalesca continuò in tono minore. Sono del 1931 (almeno così sembrano) le foto catturate da internet, verosimilmente immortalate dal fotografo il Giovedì Grasso del 12 febbraio.
La didascalia che accompagna le foto recita:
“Carri allegorici sfilano lungo i viali laterali di via Libertà e sostano all’angolo di via Catania”. Continua ancora la dicitura “Alla riuscita della manifestazione contribuì anche il comm. Emanuele Finocchiaro che mise, a disposizione del Comitato, ben 120 operai del suo “Cantiere lavori in cemento”. Dietro i carri, denominati “L’Aviazione dell’avvenire” e “La Giraffa”, si riconosce Palazzo Pintacuda (1908) prima della sua sopraelevazione”.
Mentre è documentata la datazione relativa alle due immagini tratte dall’articolo di Rosario La Duca. Le foto in questione rappresentano i carri dal titolo: «Nozze nella terra dei zulù» e «‘u nannu e ‘a nanna».
Nel dopoguerra ci furono dei tentativi di rilancio della manifestazione. Però è certo che negli storici quartieri palermitani la tradizione della bruciatura dei fantocci del “Nannu ca nanna” non smise mai di cessare, e continua tuttora.
Il carnevale a Palermo “non è morto”, poiché è stato riscoperto da alcuni anni a questa parte, grazie ad una nota manifestazione.
Infine, riporto per gli storici e gli appassionati di questa festa, il “pezzo” dell’illustre e compianto Rosario La Duca.
«Sul Carnevale nel passato ci siamo già intrattenuti in questa rubrica un paio danni fa (16-2-1972) e, non volendoci ripetere, avevamo pensato di spulciare diari e cronache per conoscere come si fosse svolto quello dell’anno 1774 e riferirne quindi ai lettori.
Ma siamo stati sfortunati in quanto, proprio in quell’anno «il carnovale passò freddissimo» – come riferisce il Villabianca – «a causa delle disgraziate circostanze per le quali la città si trovava in lutto». Era infatti ancora vivo il ricordo della sommossa popolare del settembre 1773, conclusasi con la cacciata del vicerè Fogliani, e gli animi non si erano del tutto placati. Quindi – annotava il Villabianca – «non si vide una maschera, né alcun giuoco popolaresco fu celebrato, essendo stati tutti proibiti ed eliminati affatto dal governo».
Né le cose dovettero andare in miglior modo nell’anno successivo, se lo stesso Villabianca, tanto pignolo nel riportare fatti e avvenimenti, ignora del tutto questa ricorrenza. Ma il 1776 segnò una vera e propria rivincita sul «mortorio» dei due anni precedenti. Ed il nostro ineffabile marchese, nel suo diario, gongola di gioia mettendo in particolare evidenza il contributo dato dall’aristocrazia affinchè il Carnevale quell’anno riuscisse veramente sontuoso.
In primo luogo furono aperti «per divertimento del pubblico» il teatro di S. Cecilia, dove vennero date delle opere in musica, e l’altro di S. Caterina Valguarnera (l’odierno Bellini, già Real Carolino) «pei ridotti di maschere». Ma la città tutta impazzì, da un capo all’altro, e lungo il Cassaro (l’attuale Corso Vittorio Emanuele) sfilarono ininterrottamente magnifici carri e carrozzate e fu un continuo viavai di dame e cavalieri «foggiatamente vestiti».
Il 20 febbraio – vigilia delle Ceneri – «arrivò il corso del Cassaro a superare le pompe del corso dell’alma città di Roma con le sue mascherate» e soprattutto «nella profusione delle confetture e dei pregevoli dolci riversati al popolo da prodiga mano al segno di essere arrivata la povera gente a rivendere il superfluo per empirne le povere borse». Precisa poi il Villabianca che «colle confetture si gettarono anche numerosissime ceste di dolci di zucchero, detti volgarmente caramelloni». Autori di queste elargizioni popolari furono i migliori nomi dell’aristocrazia locale in gara tra loro nel superarsi in sfarzo e splendore.
Primo tra tutti pare fosse Ercole Michele Branciforte e Pignatelli, principe di Pietraperzia. «Si arrivò a dire» – commenta il Villabianca – «che un sovrano per dimostrazione di sua generosità non potrà farne maggiore di quella, ch’ei fece gettando moneta al popolo».
Ma anche il principe di Paternò, Giovan Luigi Moncada e Ruffo non fu da meno. Se il principe di Pietraperzia aveva organizzato con carrozzate «il trionfo della nazione de’ Moscoviti sopra i Turchi, strascinando avvinte in catene molte donne turche di speciose beltà dietro al carro trionfale del vittorioso generale conte di Romanoff». Giovan Luigi Moncada «si attirò non poca laude colla dimostrazione della sua carrozzata degli Argonauti per l’acquisto del vello d’oro». Il vicerè inoltre, il 17 febbraio, tenne una serata in palazzo in ossequio della nobiltà, ed un’altra simile ne tenne la sera del 18 «per complimentare la gente civile ed i primarii consoli delle maestranze». Come ben si vede, a quel tempo, neppure il Carnevale riusciva ad accorciare le distanze tra i diversi ceti sociali Semel in anno era ben lecito impazzire, ma le caste però andavano rispettate.
Il principe di Paternò tenne una festa di maschere nel suo gran palazzo di Aiutamicristo, a Porta termine, e fece uno strappo alla regola ammettendo oltre al corpo nobile «non pochi del civile.
In aggiunta a tutte queste feste organizzate dalla nobiltà vi furono «i giuochi popolareschi della povera gente»: quelli dell’Oca, del Mastro di Campo e del Castello, ed anche corride che ebbero luogo nei piani di S. Onofrio della Conceria e di S. Euno. Terminata la corrida nel piano della Conceria, la maestranza dei conciapelle organizzò dei balli in maschera «sotto un gran baraccone formato di arazzi».
Il Villabianca non potè fare a meno di commentare, con una punta di orgoglio che «la nobiltà ed il vicerè ne riscossero con ragione un generale evviva, facendovi sonoro eco le lingue de’ buoni patriotti, che internamente han goduto della ripristinata felicità della patria, manifestatasi maggiore che ne’ tempi passati con le dette festive dimostrazioni».
Tra tanti aristocratici meritevoli ci fu però la solita pecora nera, il marchese di Spaccaforno Antonio Statella e Grifeo. Al momento di saldare il conto delle confetture, che a piene mani aveva gettate al popolo, non volle pagarle «per la ragione di averle buttate al popolo, e perché avendole ricevute dalle mani di mercenarii popolari le avea restituite ai popolari medesimi, ed in conseguenza non si credeva obbligato a cosa alcuna».
Il Villabianca non precisa se il marchese di Spaccaforno con questo suo ragionamento bizantino riuscì a non pagare la fattura «per amor di patria», preferisce tacere, stendendo col suo silenzio un velo sulle follie dell’aristocrazia palermitana dei suoi tempi».
Note:
(1) Villabianca Diarij, t.13 pp.78-79
Bibliografia e sitografia
Francesco Maria Emanuele Gaetani, Diario storico palermitano degli anni 1743, 1744 e 1745, Sec. XVIII.
Vincenzo Mortillaro, Guida per Palermo e pei suoi dintorni – P. Pensante 1847.
Gaspare Palermo, Girolamo Di Marzo-Ferro – Guida istruttiva per Palermo e suoi dintorni riprodotta su quella del cav. D. Gaspare Palermo dal beneficiale Girolamo Di Marzo Ferro – tip. P. Pensante, 1858.
L’Illustrazione Italiana, Carnevale, Anno III n. 18, 28 febbraio 1876. Fratelli Treves Editori, Milano
Serafino Amabile Guastella, “L’antico carnevale nella Contea di Modica”, 1877.
Giuseppe Pitrè, “Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo Siciliano” – Volume I, Palermo, 1889.
Luigi Ricotta – Aspetti del folklore di Termini Imerese, Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Lettere, Relatore prof. Giuseppe Cocchiara, A.A. 1956-57, Tesi di Laurea inedita, 268 p.
Vittorio Gleijeses, “Piccola storia del Carnevale” Alberto Marotta Editore, 187 p. 1971.
Rosario La Duca, “Il carnevale nel passato”, Giornale di Sicilia, 16 febbraio, 1972.
Rosario La Duca “Un carnevale di tanti anni fa”, Giornale di Sicilia, 27 febbraio, 1974.
Giuseppe Navarra, “Termini com’era” GASM, 352 pp. 2000.
Giuseppe Longo, 2010 – “Gli albori del Carnevale di Termini Imerese La “Società del Carnovale” – Sicilia Tempo anno XLVIII n.470, gennaio-febbraio, 22-23.
Giuseppe Longo 2016, “Il Real Teatro di S. Cecilia e il Carnevale di Palermo”, Cefalunews, 17 agosto.
Giuseppe Longo 2016, “Il Carnevale di Termini Imerese: un’antica eredità venuta da Palermo?”, Cefalùnews, 6 novembre.
Giuseppe Longo 2016, “Il Teatro di S.ª Lucia e il Carnevale di Palermo”, Cefalunews, 18 dicembre.
Giuseppe Longo 2017, “Il Carnevale di Palermo del 1799 nel racconto di Giuseppe Pitrè”, Cefalunews, 10 aprile.
Giuseppe Longo 2018, “Il binomio Palermo-Termini, tra porte civiche, manifestazioni carnascialesche e “gustose” leggende metropolitane”, Cefalunews.org, 22 dicembre.
Giuseppe Longo 2019, “La rivincita della “vera” storia del Carnevale Termitano”, Cefalunews.org. 19 gennaio.
Giuseppe Longo 2019, “Riflessioni sulla festa carnascialesca di Termini Imerese l’erede indiscussa dell’antico Carnevale di Palermo”, Cefalunews, 4 febbraio.
Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Napoli
https://catalogo.beniculturali.it/
http://periodici.librari.beniculturali.it/
Foto di copertina: Palermo Quattro Canti, o piazza Villena, o Ottagono del Sole, o Teatro del Sole. Litografia del XVIII secolo. Dalla rete internet
Ph.
Carnevale di Palermo, carro dei Nanni (anni 30’ del XX secolo). Ph. Rosario La Duca (a sin.); Carnevale di Termini Imerese, le due maschere del Nannu e della Nanna anni ’30 del XX secolo. Collezione privata.
“La Sirena”, carro degli artisti, Carnevale di Napoli, 1876. stampa a colori. Certosa e Museo Nazionale di San Martino.
Giuseppe Longo
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