La Sicilia è famosa in tutto il mondo per l’Etna, l’imponente titano scoppiettante che domina il versante orientale della regione, e per le isole vulcaniche come Stromboli e Vulcano, che fanno parte dell’arcipelago delle Eolie. Meno noti, ma non per questo meno affascinanti, sono però i vulcani che si nascondono sotto la superficie del mare, nei dintorni e al largo dell’isola.
I “giganti sommersi” del Tirreno
Nel tratto di mare che separa la Sicilia dal resto della penisola si trovano numerosi rilievi vulcanici sommersi, vere e proprie montagne celate sotto la superficie dell’acqua. Tra questi, il più noto è senza dubbio il Marsili, considerato il vulcano sottomarino attivo più esteso d’Europa: la sua base si estende per circa 70 chilometri di lunghezza e 30 di larghezza, mentre la sommità si trova a soli 500 metri di profondità. Nonostante le sue dimensioni, è stato individuato soltanto nel secolo scorso grazie a ricerche oceanografiche approfondite. Si trova a circa 140 km a nord dell’isola ed è il più vicino al territorio siculo.
Oltre al Marsili, nella zona tirrenica che si espande più lontana dalla Sicilia, si trovano altri vulcani sommersi come Vavilov, Palinuro e Magnaghi, che insieme formano un sistema vulcanico-sommerso ancora parzialmente inesplorato. Questi “giganti sommersi” sono il risultato di una complessa evoluzione tettonica: si sono formati e modellati nel corso di milioni di anni, in concomitanza con i movimenti delle placche terrestri che influenzano tuttora l’intera area mediterranea.
Sebbene non emergano come l’Etna o lo Stromboli, i vulcani sottomarini sono oggetto di costante studio perché la loro attività può causare fenomeni sismici, rialzi improvvisi della temperatura dell’acqua, rilascio di gas tossici o persino tsunami. Le ricerche, in gran parte svolte dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), sono cruciali per tenere sotto controllo queste aree e approfondire la comprensione dei loro processi geologici. Al tempo stesso, i fondali che li circondano ospitano specie marine uniche, trasformando questi territori marini in importanti “rifugi” di biodiversità.
L’Axial Seamount
Parlando di vulcani sottomarini, uno degli esempi più studiati a livello internazionale sta facendo molto parlare di sé, ultimamente. Si tratta dell’Axial Seamount, localizzato però nell’Oceano Pacifico al largo delle coste dell’Oregon, negli Stati Uniti. Secondo una notizia riportata su Il Bosone, il risveglio dell’Axial Seamount sarebbe imminente ed è previsto durante il corso del 2025.
Questa ipotesi è più di un semplice rumor e si basa su dati scientifici derivanti da una prolungata attività di osservazione, messa in atto soprattutto dal 2015, momento in cui l’Axial Seamount eruttava per l’ultima volta. Di recente, il suolo vulcanico ha ricominciato a “gonfiarsi”, indicando un accumulo di magma.
Sulla base delle informazioni raccolte, i ricercatori hanno ipotizzato che il prossimo “evento” – potenzialmente un’eruzione o comunque un’importante fase di attività – potrebbe verificarsi durante il corso, o tendenzialmente verso la fine, dell’anno appena iniziato. Si tratterrebbe della quarta eruzione documentata, quelle precedenti avvenute nel 1997, 2011 e 2015 confermerebbero le aspettative di una fase a cicli che dura circa 8 anni in media.
Pur trovandosi in un contesto geologico diverso, l’Axial Seamount rappresenta un “laboratorio naturale” per comprendere i fenomeni vulcanici profondi e migliorare le nostre tecnologie di sorveglianza. La conoscenza dei suoi processi di risalita del magma e dei segnali geofisici correlati può essere preziosa anche per lo studio dei vulcani sottomarini italiani.
Patrimonio naturalistico da preservare
Oltre agli aspetti legati alla sicurezza, i vulcani sottomarini rappresentano un autentico patrimonio naturalistico, poiché custodiscono ambienti spesso inesplorati e ricchi di forme di vita. In queste aree sottomarine, le pareti rocciose offrono rifugio a organismi che si sono adattati a condizioni di elevata pressione e a temperature talvolta estreme. Questo delicato equilibrio biologico rende i vulcani sommersi veri e propri scrigni di biodiversità, soprattutto laddove sono presenti catene alimentari uniche e delicate.
Se il “risveglio” di un vulcano come l’Axial Seamount mostrasse il suo lato più distruttivo, non ci insegnerà soltanto a temere i rischi diretti di un’eruzione sottomarina, ma anche quanto fragile sia la ricchezza degli habitat che ospitano.
L’impatto di un eventuale disastro naturale coinvolgerebbe non soltanto le aree costiere e i loro abitanti, di per sé qualcosa di molto preoccupante, ma potrebbe mettere a repentaglio contesti ambientali tuttora poco conosciuti e di grande valore sia in termini di conoscenza che di risorse naturali.
Osservare attentamente ciò che accade all’Axial Seamount, ci consente di comprendere meglio la complessità di questi fenomeni. Allo stesso tempo, ci ricorda quanto sia indispensabile implementare misure di protezione e piani di emergenza che tutelino sia gli umani che questi “giganti sommersi” e i loro preziosi ecosistemi, in modo da prevenire o mitigare le conseguenze di eventi potenzialmente simili anche nel Mediterraneo.